Il Chinino
Il Chinino
Il chinino è un alcaloide di origine naturale avente proprietà antipiretiche, antimalariche e analgesiche; la formula chimica bruta del chinino è: C20H24N2O2.
Il chinino prende il nome dalla pianta da cui è estratto e cioè la Cinchona calisaya, o China calisaia; questa è una pianta arborea diffusa originariamente sulle Ande e nota per l’utilizzo in farmacopea di questo alcaloide presenti nella corteccia. La C. calisaya era nota come corteccia peruviana ed è stata utilizzata, fino ai primi decenni del Novecento, per l’estrazione del chinino, sostanza impiegata nella prevenzione della malaria.
Il nome del genere deriva, secondo una leggenda, da Ana de Osorio, contessa di Cinchon e moglie del viceré del Perù, che avrebbe scoperto su se stessa le virtù della corteccia di china, guarendo da febbri malariche e decidendo così di importarla nel 1639 in Europa.
Linneo, dando fede a questa leggenda, storicamente però poco probabile, in onore della Chinchón, diede il nome di Cinchona al genere cui appartiene l’albero della china.
È invece più probabile che la storia del chinino sia legata al gesuita Bernabé Cobo (1582-1657), che esplorò Messico e Perù, che lo introdusse in Europa. Il gesuita portò le bacche di questa pianta da Lima fino in Spagna e poi a Roma ed in altre parti d’Italia nel 1632; da cui il nome con cui era conosciuto il chinino di “pulvis gesuiticus”.
La prima estrazione dalla corteccia dell’albero della china e l’isolamento di questo alcaloide avvenne nel 1817 ad opera dei ricercatori francesi Pierre Joseph Pelletier e Joseph Bienaimé Caventou, che lo chiamarono chinino. Risale invece al 1908 la prima sintesi chimica dell’alcaloide chinina, che fu scoperta nel 1856, ma venne effettuata solo in quell’anno dal chimico Paul Rabe. Il principio attivo del chinino prende il nome di chinoline-metanolo.
Dopo la prima introduzione in Italia, solo dopo un secolo più tardi, Federico Torti, avrebbe descritto ad avviato l’uso medico-terapeutico del chinino. La scoperta delle qualità del chinino fu riconosciuta nel 1906 dalla famosa rivista medica “Lancet” che diede merito all’importante azione svolta dai gesuiti.
Il chinino è un potente farmaco che svolge una efficace azione contro le quattro specie del plasmodium; interferendo anche con il DNA del plasmodio.
Il chinino è stato di fatto il farmaco principalmente usato per la cura della malaria fino alla scoperta della clorochina. Oggi il chinino sta tornando nuovamente come rimedio per la cura in quanto verso la clorochina si sono manifestate importanti e diffuse resistenze.
Di fatto, ancora oggi, il chinino si dimostra il rimedio migliore per la cura della malaria in quanto estirpa velocemente il parassita ed elimina lo stato febbrile, anche se, causando ipoglicemia, richiede il monitoraggio dei pazienti e la somministrazione di glucosio per via endovenosa.
Il chinino presenta però delle controindicazioni, in quanto è un farmaco ad elevata tossicità che si manifestano con effetti collaterali (sindrome di cinchonismo) che spesso persistono anche dopo la sospensione della terapia ed è, inoltre, controindicato in alcuni casi di pazienti con disturbi della conduzione cardiaca.
Altri utilizzi del chinino sono di tipo alimentare dove nella forma di cloridrato ed in minime dosi lo si trova nell’acqua tonica, nel Martini Rosso, ed in altre bevande.