Agricoltura: Ritorno al Futuro
Agricoltura: Ritorno al Futuro
Come nel famoso film prodotto, tra gli altri, da Steven Spielberg: “Ritorno al futuro” del 1985, diretto da Robert Zemeckis e interpretato da Michael J. Fox e Christopher Lloyd anche per l’agricoltura è iniziata la grande rivoluzione che darà un nuovo volto alla più antica attività dell’Uomo.
E se è vero che questa risale a circa 10.000 anni or sono, dimenticando il buio e nero periodo che va dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, con l’illusione dell’agricoltura industrializzata, della meccanizzazione esasperata, della chimica e dei veleni a controllare “l’errore ecologico” dell’Uomo, allora ci accingiamo, pur nel diradare della nebbia del riduzionismo culturale, scientifico e tecnologico ad un vero e reale Futuro dell’Agricoltura.
Un ritorno al Futuro alla Steven Spielberg, dove i colpi di scena e “quello che non t’aspetti” saranno all’ordine del giorno e dove le conseguenze e gli apparenti paradossi riconfigureranno tutta l’impalcatura della più affascinante delle attività umane: l’Agricoltura.
Già i dati statistici ci raccontano di un binomio: Agricoltura e innovazione, che sta sorgendo sotto gli occhi di tutti: si parla di giovani e occupazione. Tantissimi i ragazzi che oggi, hanno deciso di investire il proprio futuro in agricoltura. Non si tratta di teorie prive di fondamento, ma di dati concreti fatti di numeri insindacabili: basti pensare che oggi, solo nel Mezzogiorno, sono ben 26.587 le imprese condotte da ragazzi under 35, ovvero, ben il 52% di quelle presenti in Italia.
Sogni, speranze idee, voglia di reinventarsi e inventare – come ripetiamo spesso – innovando. Molti di loro hanno iniziato la propria attività imprenditoriale in agricoltura, grazie alle tradizioni tramandate dai propri avi e hanno deciso di rinnovare queste tradizioni, grazie anche al progresso tecnologico e allo studio. Diversi di loro, infatti, sono ragazzi laureati o che hanno comunque seguito un percorso di studi che gli ha permesso di applicarsi in ambito agricolo.
Innovare, reinventare, creare: i giovani agricoltori sono ragazzi che, grazie ad idee creative e soprattutto innovative, sono stati capaci di fare l’impresa e di creare opportunità di lavoro.
Ma dietro questa innovazione che molti dipingono come tecnologica, avveniristica, innovativa c’è molto di più: c’è un nuovo sentire che, sopra il piano squisitamente tecnologico, si sta sviluppando e sta prendendo sempre più forma in un ambito che tecnologico non è ma che trascinerà con se tutte le visioni che sin qui abbiamo ipotizzato o che qualcuno, con grandi interessi economici nel settore (vedi multinazionali) ci vorrebbe far capire.
Parliamo di una nuova visione olistica della Vita dove l’agricoltura diverrà solo un’appendice applicativa.
Questa nuova visione olistica si sta sviluppando proprio a partire da feedback generati dagli errori del passato, dove la crisi ecologica, le emergenze ambientali, la sofferenza di intere popolazioni sono il prodotto di una equazione antroplogica errata e fuorviante.
E mentre l’umanità sembrerebbe schiacciata sotto il peso dei grandi interessi economici che vorrebbero “denaturalizzare” i processi produttivi agricoli, ecco che dalle macerie del recente passato e sotto la spinta di discipline nuove (o per lo meno nei tempi moderni) del settore (filosofia, spiritualità, etica, salute umana, ecologia, ecc.) sta prendendo forma il modello agricolo del futuro.
Un ritorno al futuro in cui potremmo rappresentare il viaggio a ritroso di novelli Marty McFly e Emmett Brown (uomo e scienza) a rivedere tutti le logiche ed i parametri che sin qui hanno rappresentato la logica del mondo agricolo.
Un ritorno al futuro non completo senza un viaggio a ritroso nel passato, così come nella splendida trilogia di Steven Spielberg, dove i contatti tra antiche tradizioni ed illusioni e nuova saggezza derivata daranno forma all’agricoltura che sarà.
Un’agricoltura che si dovrà muovere dentro i codici della Natura, unica depositaria della Verità Ecologica, ed unica possibile tra passato, presente e futuro.
Un’agricoltura dentro i canoni della biodiversità, dei processi ecosostenibili, dell’attenzione ad una alimentazione salubre e di una impronta ecologica a misura planetaria ed umana.
Biodiversità e quindi anche prossimità dei processi, dei rapporti, dei legami, delle relazioni dove produzione e consumo siano sempre più vicini, dove identità e tipicità dei processi generino quella nuova energia potenziale che tutta la nuova storia sta aspettando. Dove l’illusione di una produzione disancorata dai cosiddetti “Codici della Natura” rischia di condurre Uomo e Pianeta in rotta di collisione per una corsa sfrenata ad un consumismo che esce bocciato sia dalla termodinamica che dall’economia reale.
Un’agricoltura pertanto più sobria ma più umana; reale generatrice di un nuovo concetto del benessere non solo fondato su quello monetario (oggi fallito nel vero senso della parola) ma di un benessere basato su un reale equilibrio tra l’intera creatura umana e l’intera creatura planetaria.
Iniziamo ad immaginarci una nuova civiltà rurale dalla quale nascerà una nuova civiltà urbanistica, l’una e l’atra oggi gravemente scompensate da un capitalismo e da economie di mercato surrettizie e spesso fittizie (in cui accordi internazionali ed artificiose normative di “libero mercato” non riescono a risolvere la grande crisi generata da se stesse).
Non saranno i droni, o tecnologie avveniristiche a cambiare questa civiltà (questi sono solo applicazioni utili solo se a servizio di una ecologia dei processi) ma come nel principio olistico “la sommatoria funzionale delle parti è sempre maggiore/differente dalla somma delle prestazioni delle parti prese singolarmente”.
Così la vera innovazione nascerà dal crocevia di più conoscenze ed esperienze in cui l’incontro della macchina del tempo, e dei suoi componenti, con le tradizioni ma anche le illusioni del passato genererà (come sta generando) una nuova coscienza.
Si mettano il cuore in pace quanti, tra fautori di tecnologie superavanzate (idroponica, produzioni fuori suolo, OGM, robotica, ecc.) ritengono di aver trovato la soluzione.
La soluzione non sta nella tecnologia (che è solo un’arma ma sempre un’arma e come tutte le armi utilizzabile per difesa o per uccidere). La soluzione risiede nella comprensione olistica della Realtà molto più complessa di quanto economisti, politici e Dirigenti di multinazionali vorrebbero farci capire.
E siccome l’olismo è, secondo l’Oxford English Dictionary, «…la tendenza, in natura, a formare interi che sono più grandi della somma delle parti, attraverso l’evoluzione creativa», allora sarà proprio l’incremento dei fattori della biodiversità, della diversità, delle componenti dell’agricoltura a ricalibrare totalmente l’intera visione che di essa anche troppi scienziati hanno.
Basti pensare che malgrado esistano 50.000 specie vegetali commestibili, ed i nostri progenitori preistorici basarono la propria dieta solo su un migliaio, e nel neolitico ne vennero scelte giusto alcune. Da allora le cose non sono cambiate più di tanto: la domesticazione di nuove specie vegetali si è praticamente fermata 1.000 anni prima di Cristo. Di fatto oggi ricorriamo solo a 150 piante per alimentarci. Non solo: a livello mondiale i 2/3 delle calorie che assumiamo provengono da solo tre colture: mais, frumento e riso.
Ma questo è solo uno degli aspetti e nemmeno il principale: oggi le tecniche colturali si sono evolute sul concetto di specializzazione produttiva e non su quello di diversificazione (anche varietale e genetica) delle produzioni. Il risultato è il continuo ricorso a regolatori esterni (veleni e pesticidi) per correggere un errore olistico della produzione; la somma dei singoli è maggiore degli stessi: morale della favola? Strada senza possibilità di ritorno se non si opera un immediato e repentino “Ritorno al Futuro” proprio nell’ottica del grande regista Steven Spielberg.
Il rischio è imminente: in un mondo dove il clima cambia e diventa sempre più instabile, puntare su poche coltivazioni per il sostentamento di miliardi di persone sta diventando decisamente un pericolo. Certo i cereali e legumi che abbiamo già a disposizione offrono molti vantaggi, sono prevedibili e facili da mietere. Ma con il tempo stanno anche diventando sempre più vulnerabili a parassiti, malattie e capricci metereologici, proprio perché alienati da principi olistici e di coltivazione, fuori dai “Codici della Natura”.
Guarda caso parallelamente all’innalzamento delle temperature assistiamo ad un innalzamento della “temperatura umana”: diete insalubri, mancanza di stagionalità, povertà nutrizionali (se non assoluta) stanno generando nuove e sempre maggiori malattie a tal punto che non sappiamo più se è maggiormente pericolosa la temperatura ambientale di quella umana.
A dare un ulteriore contributo a questa, che non è una teoria, secondo l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale in Italia vengono attualmente coltivate non più del 10 per cento delle varietà presenti sul territorio, molte delle quali, attestate fin dai tempi antichi, sono destinate a estinguersi.
Se a questo aggiungiamo l’impoverimento dei processi e delle conoscenze ecologiche del settore agricole allora il quadro è chiaro e preoccupante. Oltre a creare nuove colture (vedi OGM e company) è forse ancora più importante salvare quelle che già abbiamo a disposizione ed organizzarle in un modello olistico di produzione che rispetti la temperatura ambientale e quella umana.
Il futuro è già iniziato e non si può fermarlo.
Guido Bissanti