Cynara cardunculus
Cynara cardunculus
Il cardo (Cynara cardunculus L.) è una specie di pianta appartenente alla famiglia delle Asteraceae che viene diviso in tre sottospecie.
Sistematica –
Il Cardo appartiene al Dominio Eukaryota, al Regno Plantae, alla Divisione Magnoliophyta, Classe Magnoliopsida, Ordine Asterales, Famiglia Asteraceae, Sottofamiglia Cichorioideae, Tribù Cardueae, Sottotribù Echinopsidinae e quindi al Genere Cynara ed alla Specie C. cardunculus.
Il genere include una sola specie. Originario del bacino mediterraneo, che viene diviso attualmente in tre sottospecie:
• Cynara cardunculus L. subsp. cardunculus (in questa scheda descritta)
• Cynara cardunculus subsp. scolymus (L.) Hayek, pianta più elevata, con squame carnose senza spine o con spine deboli, capolino più grosso (Ø 8-10 cm) e foglie lunghe fino a 1 m, pennatosette o ± intere, spesso senza spine. Quest’ultimo è il carciofo comune coltivato nelle sue molteplici varietà e non lo si conosce spontaneo, ma avventizio e subspontaneo.
• Cynara cardunculus subsp. flavescens Wiklund presenta delle differenze morfologiche alle brattee involucrali ed in una recente revisione tassonomica è stata riconosciuta come una sottospecie indipendente e separata dalla subsp. cardunculus. Nella flora italiana è presente solo in Sicilia.
Etimologia –
Il nome di questo genere deriva dal gr. “kynàra”, canina, in riferimento per le punte dure dell’involucro paragonate ai denti di un cane. Le prime descrizioni risalgono allo storico greco Teofrasto e probabilmente si trattava di carciofo selvatico. L’epiteto specifico dal lat. “carduus” con suffice diminutivo “unculus”, ossìa piccolo cardo.
Distribuzione Geografica ed Habitat –
Il cardo cresce negli incolti aridi, pascoli, bordi stradali, dai 0 ai 1800 m s.l.m.. Il Cynara cardunculus presenta una spiccata adattabilità all’ambiente mediterraneo, la quale si concretizza fondamentalmente in una stagione di crescita, che coincide con il periodo in cui si hanno i maggiori apporti idrici naturali e con l’accumulo nelle radici di sostanze di riserva, in grado di sostenere la riattivazione vegetativa dopo la quiescenza estiva.
Descrizione –
Il Cynara cardunculus è una robusta specie emicriptofita, cioè una pianta erbacea perenne che affida la propria sopravvivenza, oltre che agli acheni, a specifiche gemme poste a livello della superficie del terreno, portate sulla frazione basale del fusto e sui rizomi.
L’asse fiorale è eretto, ramificato all’epoca della fioritura, robusto, striato in senso longitudinale e fornito di foglie alterne. Le ramificazioni dell’asse fiorale portano, in posizione terminale, le infiorescenze. L’altezza è variabile, da 40 cm sino a 250 cm.
I fiori sono ermafroditi, tubulosi, tipici delle Asteraceae e sono riuniti in una infiorescenza a capolino detta anche calatide. Questi a completa maturità raggiungono anche oltre gli 8 mm, presentano colore violetto-azzurro di varia tonalità, ma possono anche essere riscontrati mutanti di colore bianco. Il frutto è un achenio tetragono-costato, di colore grigiastro scuro e screziato, unito al calice trasformato in pappo, per favorire la disseminazione. Il peso di mille acheni può oscillare tra i 15 e i 70 g.
Coltivazione –
Il Cardo era coltivato già al tempo dei Romani; Plinio, nella sua “Storia Naturale”, lo annovera fra gli ortaggi pregiati. E’ molto affine al carciofo ma presenta un maggior sviluppo in altezza e foglie con picciolo e nervature spessi e carnosi che costituiscono il prodotto utilizzato nell’alimentazione.
Questa specie predilige terreni fertili, freschi e profondi, di medio impasto e senza ristagni idrici, tendenzialmente neutri; si adatta anche a terreni più o meno marcatamente sabbiosi e sopporta anche una certa salinità; le esigenze termiche sono analoghe a quelle del carciofo (è un po’ più sensibile alle basse temperature: arresta la crescita a 0°C e può andare incontro a morte se scendono al di sotto dei -2°C. L’esposizione deve essere sempre soleggiata.
Il terreno deve essere preparato con una buona aratura e con una abbondante concimazione a base di letame e minerale, e successivamente ben preparato e spianato.
L’impianto, che va effettuato in primavera, si può realizzare con semina diretta a dimora (nel periodo aprile-maggio a file distanti 1 metro l’una dall’altra e 80 cm tra una pianta e l’altra, o a buche distanti 80/100 centimetri. Si collocano 3/4 semi per buca – 2/2,5 kg per ettaro – e dopo la nascita si diraderà lasciando una sola pianta); oppure con trapianto di piantine ottenute in semenzaio o in appositi contenitori (nel periodo maggio-giugno, quando le piante hanno raggiunto la cinquantesima o sessantesima foglia, con una densità di investimento di 12.000/13.000 piante per ettaro).
Successivamente dovranno essere eseguite delle sarchiature (per il controllo delle infestanti) e concimazioni in copertura e irrigazioni se necessario.
Poiché il cardo viene posto in vendita dopo aver subito l’imbianchimento, è necessario coprire la pianta, dalla parte basale fino a circa i due terzi dell’altezza, per proteggerla dall’azione della luce. Per tale scopo le foglie della pianta vengono legate insieme attorno all’asse centrale e quindi si può fare la rincalzatura, addossando alla pianta un cumulo conico di terra; oppure si può piegare la pianta, entro una fossa scavata di fianco ad essa, ricoprendola quindi di terra, lasciandone allo scoperto la parte apicale; oppure si avvolge la pianta con paglia o cartone o teli plastici opachi (posti in opera a macchina nelle colture industriali). La durata della tecnica d’imbianchimento varia in funzione della temperatura (da 2 a 3 settimane circa).
Per quanto riguarda la raccolta (che si effettua da settembre a fine primavera), il cardo viene estirpato, privato delle radici e delle foglie esterne e mozzato all’estremità.
Le rese in prodotto lordo si aggirano mediamente intorno ai 400 quintali ad ettaro; il prodotto commerciale raccolto, dopo aver eliminato le foglie esterne, la parte superiore della lamina e l’apparato radicale, si aggira intorno ai 150-200 quintali. Il prodotto viene normalmente commercializzato fresco appena raccolto.
Il Cardo è sensibile ad alcune avversità e parassiti. Tra le malattie fungine ricordiamo:
• Oidio o mal bianco (Leveillula taurica f. sp. cynarae Jaczewski);
• Peronospora (Bremia lactucae Regel.).
• Batteriosi: Marciume batterico (Erwinia carotovora var. carotovora (Jones) Dye);
• Virosi: Maculatura anulare.
Tra gli attacchi entomologici (Insetti) ricordiamo:
• La Cassida (Cassida deflorata Suffr.);
• Il Punteruolo (Larinus cynarae F.);
• L’Altica (Sphaeroderma ribudum Graells);
• La Nottua (Hydroecia xanthenes Germ.);
• La Vanessa (Vanessa cardui L.);
• La Gelechia ( Depressaria erinacella Stgr.);
• L’Afide (Brachycaudus cardui L.);
• La Mosca del cardo (Agromyza andalusiaca Strobl);
• I Molluschi: limaccia grigia (Agriolimax agrestis L.).
Per la coltivazione in biologico vedi la seguente scheda.
Usi e Tradizioni –
È una specie ampiamente conosciuta in tutto il bacino del mediterraneo per l’impiego a fini alimentari dell’infiorescenza a capolino (carciofo) e per le sue proprietà farmaceutiche, oltre che per l’estrazione di un agente coagulante il latte per la preparazione di formaggi ovini (noto nella Toscana contadina con il nome dialettale di “presura” e da non confondersi con il caglio ovino). Negli ultimi tempi è aumentato l’interesse per questa specie come fonte di sostanze con proprietà terapeutiche. Queste derivano principalmente dal metabolismo dei fenilpropanoidi e dei flavonoidi, quali: acido clorogenico, acidi di-caffeoilchinici (vedi: cinarina), acido caffeico e luteolina. L’azione farmacologica principale della cinarina riguarda le sua potenzialità nel limitare la biosintesi di colesterolo ed inibire l’HIV-integrasi.
La cinarina è una molecola peculiare della specie Cynara cardunculus L. ed è attualmente in commercio sotto forma di estratti fogliari grezzi, non standardizzati.
I cardi selvatici nelle tradizioni culinarie popolari si possono considerare un’altra prelibatezza per palati sia delicati che non, da tenere nella dovuta considerazione e indicati per la preparazione delle pietanze di tutti i giorni o di quelle dei giorni di festa.
Anche se il loro aspetto può sembrare poco invitante, si può dire che trattasi di “erbe da intenditori”, in grado di assecondare palati particolari a motivo del gusto amaricante che non ha eguali. Se tutti conosciamo la bontà del carciofo che troviamo dall’ortivendolo, che cotto in tutti i mille modi noti conserva una propria “personalità”, alla stessa stregua si possono apprezzare le decine di specie di cardi selvatici della flora spontanea italiana.
Con i termini cardo, stoppione, scardaccione, onopordo, spina bianca e in dialetto “aprocchiu”, “caccabilisci”, “carduna”, “cacucciuliddi”, “cardugna”, etc. sono indicati i tanti nomi che individuano le diverse specie, ognuna buona per una particolare preparazione culinaria.
Premesso che tutte le specie necessitano di una particolare ” despinatura”, operazione che solo in pochi accettano di fare, nonostante la certosina accortezza ed attenzione necessaria, alla fine qualche spina ci avrà trafitto la pelle delle mani, ma di questo non dobbiamo scoraggiarci e quindi desistere, pensando alle operazioni successive. Per la raccolta si consigliano naturalmente buoni guanti o meglio guantoni e per la raccolta dei carciofini selvatici è necessario attrezzarsi anche di affilatissimi coltelli a manico lungo, questi ultimi buoni anche per la raccolta delle spinosissime foglie, allo scopo di schivare al massimo le aculeatissime spine. I cardi nella loro eterogeneità vegetazionale hanno in comune, purtroppo, le spine , ma in compenso sono vegetali che bisogna saper apprezzare per quello che in concreto sono e che rappresentano per la cucina popolare tradizionale.
Queste piante appartenenti alla vasta famiglia botanica delle Composite o Asteracee, comprendente tutte le specie di margherite, i cardi e le specie similari sono delle erbe apparentemente insignificanti, che si cerca di schivare durante una passeggiata all’aria aperta ed invece sono lì, create da Madre Natura, per ciò che rappresentano per la scienza e per ciò che determinati palati possono apprezzare.
C’è da rimarcare che sull’origine del carciofo comune è possibile soltanto fare delle congetture. La pianta appare in Europa solo nel medioevo e con nomi derivati dall’arabo ‘kharshuf’ (fr. artichaut, sp. alcachofa) e quindi secondo alcuni Autori se ne ipotizza l’origine orientale. Ma le imponenti popolazioni selvatiche di C. cardunculus L. subsp. cardunculus nella fascia collinare tra Civitavecchia ed i Monti della Tolfa, in tutta vicinanza degli insediamenti etruschi di Cerveteri fanno supporre che in questa zona abbia potuto aver origine, come pianta coltivata, il Carciofo comune e questo probabilmente proprio ad opera degli Etruschi. (nota riassuntiva dal Pignatti, vol. III, p. 163).
Le prime tracce del Cardo sono state rinvenute in Etiopia e successivamente in Egitto. Plinio, nella sua “Storia Naturale”, lo annovera fra gli ortaggi pregiati. Fin dai tempi antichissimi germogli e semi di cardo servivano per produrre il caglio dei formaggi, ma solo nel ‘500 si hanno le prime testimonianze della sua presenza in cucina, e delle sue tecniche d’imbiancamento. Due medici della corte sabauda, alla fine del XVI sec. scrivevano: “i cardi si mangiano ordinariamente nell’autunno e nell’inverno fatti teneri e bianchi sotto terra”. Nel ‘700 il rinomato libro di cucina “Il Cuoco Piemontese” cita la ricetta più classica a base di cardi: la bagna cauda (o caoda), piatto simbolo della gastronomia del Piemonte. Appare in modo riconoscibile forse per la prima volta su alcune monete d’argento emesse nel 1470 durante il regno di Giacomo III e, a partire dagli inizi del XVI secolo, fu incorporato nello stemma reale della Scozia.
Insieme al tartan, il cardo è forse il simbolo che identifica maggiormente gli scozzesi e oggi lo si vede usato per contraddistinguere come scozzesi una serie di prodotti, servizi e organizzazioni. Una leggenda racconta che un manipolo di guerrieri scozzesi stavano per essere sorpresi nel sonno da un gruppo di vichinghi invasori, e si salvarono solo perché uno dei nemici mise un piede nudo sopra un cardo selvatico. Le sue grida diedero l’allarme e gli scozzesi, risvegliati, sconfissero come di dovere i danesi. In segno di ringraziamento la pianta fu chiamata Guardian Thistle (cardo protettore) e venne adottata come simbolo della Scozia. Non esiste alcuna testimonianza storica che sostenga questa leggenda, ma qualunque siano le sue origini, il cardo è stato un simbolo scozzese importante per più di 500 anni.
Modalità di Preparazione –
Intanto, come visto, esistono diverse varietà di cardo: anzitutto si distinguono i cardi selvatici da quelli coltivati.
Tra i cardi selvatici, citiamo il Cardo Mariano (chiamato anche Benedetto o della Madonna), che cresce spontaneo in molte zone del Sud Italia e nelle Isole.
Tra i coltivati, nominiamo il Gobbo di Monferrato che, essendo sottoposto a imbiancamento, assume una forma a uncino da cui prende il nome.
Altre varietà di cardi molto note sono il Cardo di Bologna, caratterizzato dall’assenza di spine; il Cardo di Chieri, in Piemonte; il Cardo Gigante di Bologna; il Cardo Alato e il Cardo triste, caratterizzato dai fiorellini color porpora.
I capolini immaturi vengono spesso utilizzati a scopi culinari come quelli delle numerose varietà orticole, ma sin dall’antichità il genere è noto soprattutto per le sue virtù medicinali. Le foglie e il rizoma contengono importanti principi attivi (cinarina, glucosidi, tannini, inulina) che hanno proprietà ipoglicemizzanti, aperitive, toniche, digestive e diuretiche. Dai fiori si ottiene, come detto, un caglio vegetale, chiamato “caglio fiore”, ancora utilizzato in alcune località per la produzione di formaggi.
I cardi si cucinano gratinati al forno o fritti. La prima cottura, molto lunga, da 2 a 4 ore, viene generalmente fatta nel latte o in acqua. Conviene portarsi avanti il giorno prima con la cottura e lasciare poi raffreddare i cardi immersi nel liquido. In Piemonte, vengono accompagnati con la famosa Bagna cauda. In Sardegna viene prodotto il liquore di cardo selvatico e i cardi selvatici sottolio.
La preparazione dei cardi è molto lunga, sia per il tempo che si impiega a pulirli che per il lungo tempo di cottura. Alcune varietà sono consumate anche crude, in pinzimonio. Tra le ricette più comuni troviamo i cardi gratinati e i cardi fritti
La pulizia dei cardi è molto laboriosa, in quanto è necessario eliminare le coste esterne più dure, per poi spuntarle e tagliarle a pezzetti. I cardi vanno cucinati immediatamente dopo essere stati puliti, per evitare che anneriscano.
I cardi si conservano generalmente appesi: se li volete riporre in frigorifero, avvolgete la base con dell’alluminio e inseriteli in un sacchetto per alimenti in cui avete praticato dei fori, riponendoli nello scomparto della frutta e verdura, dove si possono mantenere anche per una settimana.
Se non volete cucinarli subito dopo averli puliti, per evitare che anneriscano, immergete immediatamente i cardi in acqua acidulata con succo di limone (esattamente come si usa per i carciofi). Potete aggiungere del succo di limone anche nell’acqua in cui li lessate, aggiungendo anche un cucchiaio di farina.
Il Cynara cardunculus può essere usato in fitoterapia in estratti e tisane, il cardo alimentare è noto per le sue virtù depurative, in particolare come tonico per il fegato grazie alla presenza di una sostanza nota come silibina che aiuta a smaltire le tossine accumulate nell’organismo.
Inoltre ha anche proprietà lassative, essendo molto ricco di fibre. Contiene anche sostanze antiossidanti, che contribuiscono a mantenere giovane l’organismo, sali minerali e vitamine.
L’insieme conferisce al cardo anche proprietà anticolesterolemizzanti, digestive e brucia grassi.
Guido Bissanti
Fonti
– Wikipedia, l’enciclopedia libera.
– Treben M., 2000. La Salute dalla Farmacia del Signore, Consigli ed esperienze con le erbe medicinali, Ennsthaler Editore
– Pignatti S., 1982. Flora d’Italia, Edagricole, Bologna.
– Conti F., Abbate G., Alessandrini A., Blasi C. (a cura di), 2005. An annotated checklist of the Italian vascular flora, Palombi Editore.
Attenzione: Le applicazioni farmaceutiche e gli usi alimurgici sono indicati a mero scopo informativo, non rappresentano in alcun modo prescrizione di tipo medico; si declina pertanto ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.