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Foeniculum vulgare

Foeniculum vulgare

Il finocchio (Foeniculum vulgare Mill.) è una pianta erbacea originaria dell’Asia minore. Il Foeniculum vulgare, finocchio selvatico, anche detto finocchietto, è una pianta erbacea perenne appartenente alla famiglia delle ombrellifere.

Sistematica –
Dal punto di vista sistematico appartiene al Dominio Eukaryota, Regno Plantae, Divisione Magnoliophyta, Classe Magnoliopsida, Sottoclasse Rosidae, Ordine Apiales, Famiglia Apiaceae, al Genere Foeniculum ed alla Specie F. vulgare.

Etimologia –
Il primo termine del binomio proviene dal latino con cui si indicava il finocchio; esso deriva da foenum = fieno, per la sottigliezza delle foglie e per il suo intenso odore aromatico o forse perché un tempo veniva impiegata come foraggio. Il secondo termine sta a significare che la pianta è abbastanza diffusa (vulgare = comune), per distinguerla da altre specie affini più rare.

Distribuzione Geografica ed Habitat –
Il Finocchio selvatico è una pianta tipica dell’area mediterranea. Si rinviene con maggior frequenza in popolazioni più dense nelle regioni meridionali e nelle isole, dal piano basale fino a ca. 1000 m di quota. Predilige i luoghi soleggiati, incolti, secchi e ciottolosi; si trova però anche nelle zone erbose, ai piedi dei muretti a secco e sui margini delle stradelle di campagna.

Descrizione –
Nella descrizione dobbiamo fare la distinzione tra le varietà di finocchio selvatico dalle varietà di produzione orticola (dolce).
Il finocchio selvatico è una pianta spontanea, perenne, dal fusto ramificato, alta fino a 2 m. Possiede foglie che ricordano il fieno (da cui il nome foeniculum), di colore verde e produce in estate ombrelle di piccoli fiori gialli. Seguono i frutti (acheni), prima verdi e poi grigiastri. Del finocchio selvatico si utilizzano i germogli, le foglie, i fiori e i frutti (impropriamente chiamati “semi”).
Il finocchio coltivato (o dolce) è una pianta annuale o biennale con radice a fittone. Raggiunge i 60–80 cm di altezza. Si consuma la grossa guaina a grumolo bianco che si sviluppa alla base.

Coltivazione –
Il finocchio è ampiamente coltivato negli orti per la produzione del grumolo, una struttura compatta costituita dall’insieme delle guaine fogliari, che si presentano di colore biancastro, carnose, strettamente appressate le une alle altre attorno a un brevissimo fusto conico, direttamente a livello del terreno.
Il suo colore bianco è dato dalla tecnica dell’imbianchimento: si tratta di una rincalzatura e si effettua a cadenza regolare nel corso dello sviluppo del grumolo o almeno due settimane prima della raccolta.
La raccolta dei grumoli avviene in tutte le stagioni, secondo le zone di produzione. Si adatta a qualsiasi terreno di medio impasto con presenza di sostanza organica. Le piante vengono disposte in file e distanziate di circa 25 cm l’una dall’altra. La raccolta del grumolo avviene dopo circa 90 giorni dalla semina. Richiede frequenti e abbondanti irrigazioni e preferisce un clima temperato di tipo mediterraneo.
La raccolta del fiore del finocchio selvatico avviene in Italia appena il fiore è “aperto”, normalmente a partire dalla metà d’agosto fino a settembre inoltrato. Il fiore si può usare fresco o si può essiccare, all’aperto, alla luce, ma lontano dai raggi diretti del sole, che farebbero evaporare gli olii essenziali. I diacheni si possono raccogliere all’inizio dell’autunno, quando è avvenuta la trasformazione del fiore in frutto. Le “barbe” o foglie e i teneri germogli si possono cogliere dalla primavera all’autunno inoltrato.
La comune distinzione tra finocchio femmina e finocchio maschio è solo formale: il primo è di forma allungata e il secondo di forma tondeggiante. Il cosiddetto finocchio maschio, più apprezzato sotto l’aspetto merceologico perché meno fibroso e più carnoso, si ottiene grazie al concorso di fattori ambientali associati alla natura del terreno e alla sua sistemazione superficiale e a un’adeguata tecnica colturale.

Usi e Tradizioni –
Il Foeniculum vulgare contiene: anetolo (da cui dipende il suo aroma), fencone, chetone anisico, dipinene, canfene, fellandrene, dipentene e acido metilcavicolo.
È emmenagogo, diuretico, carminativo, antiemetico, aromatico, antispasmodico, antinfiammatorio, tonico epatico. È utilizzato per chi ha difficoltà digestive, aerofagia, vomito e nell’allattamento per ridurre le coliche d’aria nei bambini. È noto infatti che una tisana fatta con i semi di questa pianta sia molto efficace nel trattamento di gonfiori addominali da aerofagia.
Inoltre combatte i processi fermentativi dell’intestino crasso, e quindi diminuisce il gas intestinale. Quindi può essere utile per ridurre la componente dolorosa della sindrome da colon irritabile. A dosi elevate (concentrati nell’olio essenziale estratto dai semi), i principi attivi in esso contenuti possono avere effetti allucinogeni.
Il Foeniculum vulgare, più che come verdura, viene utilizzato in cucina come aromatizzante, a causa degli olî essenziali che impartiscono odori e sapori forti alle pietanze.
In particolare, le fronde del Finocchio selvatico, opportunamente mondate dalle foglie più vecchie, si usano per dare “tono” alle mesticanze, per condire la “pasta chi sardi” (propria del Palermitano) o la “pasta cu masculino” (propria del Catanese) oppure vanno aggiunte a particolari minestre, fra cui tipica è quella fatta con le fave secche detta “maccu” diffusa in varie provincie ma soprattutto nella provincia di Agrigento; da qui un detto popolare: essere favi e finocchi, riferito a cose e persone che filano in perfetto accordo. I fusti con le ombrelle hanno una caratteristica collocazione gastronomica: vengono immersi nella salamoia in cui si conservano le olive, alle quali conferiscono il loro tipico aroma. I frutti del Finocchio selvatico rientrano fra le spezie che si aggiungono alla salsiccia oppure nell’arte pasticcera; in questo caso sono utilizzati soprattutto come ripieno nei cosiddetti “cimini”, sorta di confetti ricoperti di zucchero pralinato, nei quali al loro posto dovrebbero essere usati i più costosi semi di altre specie di Ombrellifere, quali il Cumino (Carum carvi L.), l`Anice (Pimpinella anisum L.) e il Tragoselino (Pimpinella anisoides Brig.)
In Italia l’uso alimentare del Finocchio selvatico è diffuso in tutto il territorio, con maggiore o minore incidenza in relazione alla maggiore o minore presenza della pianta. In Piemonte, come nella vicina Francia, si usa condire il pesce alla griglia con il cosiddetto “olio di finocchio”, preparato ponendo alcuni gambi dell’erbaggio in infusione con olio di oliva. Un`altra usanza propria di questa regione è quella di aggiungere un pizzico di frutti di Finocchio selvatico all`acqua di cottura delle “castagne ballotte” (cioè bollite con la buccia) con lo scopo di insaporirle. In Lombardia i germogli di Finocchio selvatico si aggiungono, oltre che alle mesticanze, anche alle insalate crude come aromatizzanti. I frutti invece si usano in pasticceria per preparare un dolce tipico del luogo, la “schiacciata al finocchio”. Nel Veneto le foglie, i rametti e le ombrelle vengono fatti essiccare all’ombra (il Finocchio selvatico è una delle poche erbe aromatiche che rafforzano il loro profumo disseccandosi) per essere impiegati come aromatizzanti in cucina nei mesi in cui la pianta è in riposo; si usano infatti nei piatti di pesce, nelle carni, nelle patate, nelle insalate, nelle olive, ecc. In Toscana i germogli si usano per condire minestre, specialmente quella coi “fagioli all’occhio”, e per le carni lesse. I gambi secchi vengono gettati sulla brace su cui si cuoce il pesce alla griglia. I frutti del Finocchio selvatico hanno in questa regione una grande varietà di impieghi: si aggiungono ai tipici “fegatelli” di maiale e alla caratteristica “zuppa frantoiana” (CORSI e PAGNI, 1979b); si mescolano al fine tritato di carne di manzo o di maiale; si spargono, inoltre, sulle forme di pane, come si fa nel nostro territorio con i semi del Sesamo (la cosiddetta giuggiulena) (NERI, 1990). A S. Gimignano viene preparato un tipo di salame di cinghiale fra i cui ingredienti figurano i frutti di Finocchio selvatico. Nelle Marche, foglie, pezzi di fusto e frutti sono ingredienti basilari per preparare il classico “potacchio” (o “potaggio”), uno spezzatino di pollo o coniglio. Nel Lazio i frutti di Finocchio selvatico sono insostituibili nelle preparazioni della”porchetta”, che si ottiene dai maialini da latte (lattonzoli), cotti interi al forno e riempiti di droghe varie. In Calabria il finocchio selvatico entra nella composizione del singolare condimento detto “sardella” o “rosamarina”, che si fa impastando bianchetto di pesce, peperoncino e frutti di Finocchio selvatico. L`uso del Finocchio selvatico è diffuso anche fuori dell`Italia; ad esempio, in vari paesi del Mediterraneo, i frutti servono per aromatizzare le olive nere ed i fichi secchi, mentre nell`Europa continentale essi, insieme a quelli dell`affine Cumino, sono usati per insaporire i crauti.
Si raccolgono, dall’autunno alla primavera, i novelli getti fogliari e, dall`estate all’autunno, i fusti fioriferi con le ombrelle nonché i frutti (erroneamente noti come “semi”).
Molte le proprietà medicamentose attribuite in passato al Finocchio selvatico, di cui si utilizzano, in tisane e decotti, le foglie, i frutti e la radice: antiscorbutiche, antispasmodiche, aromatiche, aperitive, carminative, colagoghe, digestive, diuretiche, emmenagoghe, espettoranti, galattogoghe, come attestano Galeno e Dioscoride e, se non bastasse, purgative, vermifughe e vulnerarie.
Già Plinio, nel primo secolo dopo Cristo, scrive che il Finocchio è impiegato, secco, per aromatizzare un gran numero di vivande.
Plinio riporta, con ironia, curiosità del suo tempo: per ottenere un alito gradevole, ad esempio, si consigliava di strofinare i denti con cenere di topo mista a miele e radici di Finocchio.
Bartolomeo Scappi, cuoco segreto di Papa Pio V, nella sua monumentale Opera edita nel 1570, ricorda il fior di Finocchio “Per cuocere (allo spiedo) testicoli di Vitello, d’Agnello, di Toro, di Bufaletto, di Cignale, di Cervo, & d’altri animali quadrupedi …”, per preparare occhi (sic) di vitella lessati e cotti “nello spedo tramezati con fettoline di lardo, o di gola di porco, …” ed anche “Per cucinar la carne d’orso in diversi modi”.
Alcune ricette di Maestro Martino, famoso cuoco del Patriarca di Aquileia, vissuto nella seconda metà del Quattrocento, ricordano il Finocchio “per cuocere i bechafichi quando sono ben grassi”, per le braciole di carne di vitello e “per fare figatelli de ucello, o di polastri, o di porcho, o d’altro animale”.
Un testo di medicina egiziano del II secolo riporta la ricetta di una pietanza per i sofferenti di stomaco, con carne di piccione e di oca, fave, grano, cicoria, giaggiolo e Finocchio.
Ippocrate prescrive semi di Finocchio se, alle donne, viene meno il latte.
Al medico siriano Mesuè si attribuisce la ricetta dei locchi di polmone di volpe, giovevoli a quanti “hanno li Polmoni essulcerati, sono Consummati, & Tabidi (colpiti da affezioni)”, tra i cui ingredienti vi sono i frutti di Finocchio oltre, naturalmente, ai polmoni di volpi disseccati!
Santa Ildegarda di Bingen, che fu badessa benedettina del XII secolo, prescrive succo di Finocchio per gli occhi, unguento a base di Finocchio per i testicoli gonfi e dolenti e “semi” di Finocchio per frenare nell’uomo la follia dovuta al vino.
Pietro de Crescenzi nel suo Liber ruralium commodorum del XIV secolo, raccomanda “acqua ove fia cotto comino, e seme di finocchio, per ugual parte, in buona quantità” per lenire i dolori di ventre dei cavalli, provocati da “ventusità”.
Il Thresor de santé, del 1607, raccomanda di mangiare le pere, che sono “ventose”, cotte sulla brace con Finocchio, anice e coriandolo, bevendovi sopra un buon bicchiere di vino vecchio.
All’inizio del XVII secolo la Pharmacopoeia Londinensis menziona le radici del Finocchio per le loro proprietà aperitive e carminative.
Gli Anglosassoni in tempi antichi attribuivano anche poteri magici al Finocchio selvatico ed usavano metterlo nei finimenti dei cavalli per tener lontane le pulci.
L’espressione “lasciarsi infinocchiare” deriva dall’abitudine dei cantinieri di offrire spicchi di finocchio orticolo a chi si presentava per acquistare il vino custodito nelle botti. Il grumolo infatti contiene sostanze aromatiche che rendono gustoso anche un vino di qualità scadente o prossimo all’acetificazione.

Modalità di Preparazione –
Il frutto del Finocchio, un “diachenio” spesso impropriamente chiamato seme, è tradizionalmente usato per aromatizzare la salamoia delle olive e l’acqua in cui si lessano le castagne; per preparare diverse salse; per certi tipi di pane e di biscotti od anche tal quale, da masticare per profumare l’alito.
Le infiorescenze sono impiegate per la cottura delle carni di maiale.
Le foglie, ma soltanto se sono giovani, servono tanto per ornare i piatti di portata quanto per aromatizzare, in modo gradevole ma deciso, insalate, verdure cotte, minestre, piatti di pesce ed altro ancora.
Con frutti di Finocchio e vino bianco secco, alcuni dicono preferibile il Porto, si ottiene un ottimo digestivo, buono anche per il singhiozzo ed il meteorismo, ma soprattutto indicato come afrodisiaco e nei casi di frigidità!
Sempre con i frutti, alcol e zucchero si può preparare l’elisir al finocchio.
L’infuso di frutti di Finocchio, origano, menta e peduncoli di ciliegia è consigliato per i casi di obesità; foglie e frutti di Finocchio sono indicati, in bagni e vaporizzazioni, per la pulizia del viso; il decotto lenisce le infiammazioni oculari.
Ma vediamo la preparazione di un piatto tipico della cucina italiana e di preciso di quella della provincia di Palermo:
• La pasta con le sarde, di cui si riporta una delle innumerevoli ricette che spesso si distinguono per piccole variazioni: Per la ricetta della pasta con le sarde alla siciliana, mondate il finocchietto, ricavando solo la parte più tenera; lavatelo e lessatelo in acqua bollente salata per circa 10’. Scolatelo conservando l’acqua nella pentola. Pulite le sarde, aprendole a libro e togliendo la testa e la lisca con la coda. Ammollate l’uvetta nell’acqua. Tritate la cipolla e raccoglietela in una larga padella con i filetti di acciuga spezzettati, un bicchiere di acqua, un pizzico di sale e 70 g di olio; cuocete finché non sfrigola, poi aggiungete mezza bustina di zafferano sciolto in un po’ di acqua. Aggiungete alla cipolla l’uvetta scolata e strizzata e i pinoli, e fate insaporire per 1’ mescolando. Unite le sarde, il finocchietto, tritato, e pepate; mettete il coperchio e cuocete per 2’. Tuffate intanto i bucatini nell’acqua di cottura del finocchietto, riportata a bollore, poi scolateli al dente e versateli nella padella con le sarde; mescolate delicatamente per insaporirli e lasciateli riposare per 2-3’ prima di servirli. A questa prelibatezza si può aggiungere, per chi la gradisce della mollica preventivamente tostata ed opportunamente salata ed aggiunta di pinoli.
Comunque sia in cucina si possono usare tutte le parti del finocchio. Il grumolo bianco (erroneamente ritenuto un bulbo) del finocchio coltivato si può mangiare crudo nelle insalate oppure lessato e gratinato e si può aggiungere agli stufati.
Per quanto riguarda il finocchio selvatico, chiamato in cucina anche “finocchina” o “finocchietto”, si usano sia i fiori freschi o essiccati, sia i frutti o “diacheni”, impropriamente chiamati “semi”, che sono più o meno dolci, pepati o amari, a seconda della varietà, sia le foglie (o “barba”), sia i rametti più o meno grandi utilizzati nelle Marche per cucinare i bombetti (lumachine di mare); le foglie si usano fresche e sminuzzate per insaporire minestre, piatti di pesce, insalate e formaggi: nella “pasta con le sarde”, nota ricetta siciliana, le foglie del finocchio selvatico sono uno degli ingredienti essenziali.
I fiori si usano per aromatizzare le castagne bollite, i funghi al forno o in padella, le olive in salamoia e le carni di maiale (in particolare la “porchetta” dell’Alto Lazio). I cosiddetti “semi” si usano soprattutto per aromatizzare tarallini (Puglia), ciambelle o altri dolci casalinghi e per speziare vino caldo o tisane. Fanno inoltre parte della ricetta di un biscotto tipico del Piemonte, il finocchino. È in uso nelle regioni costiere del Tirreno, un “liquore di finocchietto”, per il quale s’utilizzano i fiori freschi e/o i “semi” e le foglie.
La raccolta per il consumo del finocchio selvatico, sia dei germogli che delle foglie può essere effettuata nel corso di tutto l’anno a seconda delle necessità. I semi vanno raccolti a completa maturazione e prima che cadano dalle ombrelle.
La conservazione delle sementi va effettuata previa essiccazione. È importante che i semi siano puliti e ben secchi prima di riporli nei barattoli, questo per evitare la formazione di pericolose muffe.
Vengono prelevate le ombrella prima della caduta dei semi, nella tarda estate, i rametti vengono legati in piccoli mazzi e tenuti per qualche giorno in un posto caldo, areato e ben asciutto.
Vengono poi lasciati ulteriormente al sole per qualche giornata affinché venga eliminato ogni residuo di umidità.
Dopodiché separati dalle ombrelle e ripuliti vengono conservati in barattoli di vetro preferibilmente dotati di guarnizione in gomma.
I semi servono anche per aromatizzare vari piatti a base di pesce oltre che carni e insaccati.

Guido Bissanti

Fonti
– Wikipedia, l’enciclopedia libera.
– Treben M., 2000. La Salute dalla Farmacia del Signore, Consigli ed esperienze con le erbe medicinali, Ennsthaler Editore
– Pignatti S., 1982. Flora d’Italia, Edagricole, Bologna.
– Conti F., Abbate G., Alessandrini A., Blasi C. (a cura di), 2005. An annotated checklist of the Italian vascular flora, Palombi Editore.

Attenzione: Le applicazioni farmaceutiche e gli usi alimurgici sono indicati a mero scopo informativo, non rappresentano in alcun modo prescrizione di tipo medico; si declina pertanto ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.




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