Un Mondo Ecosostenibile

Desertificazione

La Desertificazione

Sono occorsi milioni di anni per poter giungere alla formazione dei suoli agrari così come oggi li vediamo e conosciamo. Eppure siamo capaci di mettere in crisi e di degradare, nel giro di pochi decenni, un suolo attraverso un uso improprio di coltivazioni e tecniche agronomiche.

Tutto questo ci fa percepire come sia diventato necessario investire di più nel settore di una ricerca finalizzata soprattutto ad un’agricoltura di tipo conservativo. Agricoltura conservativa e massimizzazione dei profitti aziendali hanno percorso fino ad oggi vie contrapposte e difficilmente compatibili. La desertificazione di vaste aree dei paesi in via di sviluppo e dei paesi industrializzati, sia pur se con problematiche diverse, nasce comunque da una divergenza tra le necessità economiche aziendali di brevissimo periodo e le esigenze dell’ecosistema suolo di lungo periodo.Queste due necessità dovranno essere rese compatibili se vogliamo trovare una linea che soddisfi il concetto dello Sviluppo Sostenibile di settore. Secondo l’OCSE i principali processi di degradazione ambientale sono generalmente riconducibili all’erosione del suolo, alla sua sommersione, all’acidificazione, salinizzazione sodicizzazione, compattamento, formazione di croste superficiali e di strati compatti lungo il profilo, perdita di sostanza organica, deterioramento della struttura, desertificazione, accumulo di sostanze tossiche, perdita di elementi nutritivi, ecc. Anche in Italia i due terzi dei suoli presentano preoccupanti problemi di degradazione in virtù di una gestione territoriale non sempre corretta. Tali fenomeni di degradazione ambientale si sono più accentuati in quelle aree ove è stata più forte l’attività antropica, la quale non sempre è avvenuta in maniera compatibile con i criteri fondamentali della conservazione del suolo. E’ evidente che la modernizzazione dell’agricoltura degli ultimi 30 anni se nell’immediato ha portato ad un aumento produttivo, nel lungo termine ha prodotto in alcuni casi preoccupanti fenomeni di degradazione del suolo e quindi dell’ambiente. D’altro canto anche la pianificazione “urbanistica” del territorio (aree industriali e urbane con le relative infrastrutture) raramente, in particolar modo in passato, ha tenuto conto dell’impatto ambientale prodotto soprattutto per quanto concerne il suolo, con conseguente innesco di fenomeni di degradazione, in molti casi, molto spinta. E’ quindi necessario, prima di tutto, quantificare proprio questi aspetti di degradazione del suolo e, soprattutto è fondamentale definire quella soglia oltre la quale un processo degradativo diventa irreversibile, accelerando così i processi di dissesto e di desertificazione. A questo proposito un esempio tipico è rappresentato dall’erosione del suolo: non è pensabile praticare un’agricoltura, sia pure sostenibile, capace di annullarla completamente; è importante però conoscere il limite, per ogni determinato ambiente pedologico, entro il quale l’erosione deve essere contenuta. Allo stato attuale, il rischio di erosione è rappresentabile a livello italiano, seppure ad una scala non ottimale. Molto più difficile risulta essere la quantificazione di altri fenomeni di degrado, quali la perdita di struttura, la formazione di strati compatti lungo il profilo, il crepacciamento, la formazione di croste superficiali, le variazioni di porosità e di conducibilità idraulica satura, il rilascio di sedimenti da aree agricole. Per questi indicatori non sono al momento disponibili dati con copertura nazionale, anche se si stanno mettendo a punto diverse tecniche di valutazione che utilizzano, ad esempio, le foto aeree o i rilievi satellitari oppure che cercano di stimare i fenomeni per via indiretta.Un esempio di applicazione di indicatore “proxi” è proprio la stima del rischio di compattazione in relazione al numero ed alla potenza delle trattrici. Un altro indicatore rappresentabile a livello nazionale è rappresentato dalle superfici occupate da urbanizzazione ed infrastrutture viarie e ferroviarie. La capacità di un suolo di mantenere le sue molteplici funzioni è però connessa non solo alle proprietà fisiche precedentemente citate, ma anche a quelle chimiche e biologiche. Molte di queste proprietà sono una funzione del contenuto di sostanza organica, che a sua volta è la principale riserva terrestre di elementi essenziali quali Carbonio, Azoto, Fosforo e Zolfo. L’importanza della componente biologica del suolo è frequentemente sottovalutata, anche se i processi microbiologici di mineralizzazione e di conservazione della sostanza organica del suolo regolano i cicli e la disponibilità degli elementi C, N, P e S e quelli dell’acqua. I microrganismi partecipano a una serie di processi che influenzano la struttura fisica del terreno e le proprietà chimiche, rendendolo favorevole alla crescita dei vegetali. In conseguenza infatti dell’aumento di fertilità mediato dai microrganismi, si hanno cambiamenti chimico-fisici nel suolo come la stabilizzazione della sostanza organica, la fissazione dell’azoto, il movimento dei nutrienti, tutti gli equilibri biologici del suolo tra cui la decomposizione di numerose sostanze contaminanti e altre alterazioni nelle proprietà del suolo necessarie alla crescita delle piante. Purtroppo si rileva una grande mancanza di dati proprio sugli indicatori biologici e, di conseguenza, lo scarso uso di questa tipologia di indicatori sul suolo, contrariamente ad altre matrici ambientali quale l’acqua e l’aria. Allo stato attuale, nessuno degli indicatori biologici individuati dal CTN SSC è rappresentabile a livello nazionale, anche se sono disponibili alcuni studi a livello locale.

Un Esempio di indicatori

Guido Bissanti