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Beta vulgaris var. saccharifera

Beta vulgaris var. saccharifera

La Barbabietola da zucchero (Beta vulgaris var. saccharifera L.) è una specie erbacea della famiglia delle Chenopodiaceae.

Sistematica –
Dal punto di vista sistematico appartiene al Dominio Eukaryota, Regno Plantae, Divisione Magnoliophyta, Classe Magnoliopsida, Ordine Caryophyllales, Famiglia Chenopodiaceae e quindi al Genere Beta, alla Specie Beta vulgaris ed alla Sottospecie B. vulgaris var. saccharifera.

Etimologia –
Il termine Beta è l’antico nome latino in Plinio, Cicerone e altri, forse derivato dal greco βλίτον blíton bietola (in Teofrasto). L’epiteto specifico vulgaris deriva da vúlgus volgo: molto comune, ordinario per la grande diffusione, banale. Il nome saccharifera proviene dal greco σάκχἄρ, -αρος sácchar, -aros zucchero e da φέρω phéro portare: che produce sostanze zuccherine, atto a produrre zuccheri.

Distribuzione Geografica ed Habitat –
L’origine della Barbabietola da zucchero è incerto essendo possibili due centri differenti: uno rappresentato dal bacino del Mediterraneo o dalle regioni steppiche dell’Asia sud-occidentale ed il secondo ubicato nelle isole Canarie o del Capo Verde. È una specie che predilige terreni profondi, di medio impasto, ricchi di sostanza organica e con buona capacità idrica.
Oggi, questa pianta è una delle più importanti colture della zona temperata. I principali produttori sono i Paesi europei e quelli dell’ex-Unione Sovietica.

Descrizione –
Beta vulgaris var. saccharifera è una pianta biennale con stadio vegetativo al primo anno e riproduttivo al secondo.
La pianta ha radice fittonante, grossa, carnosa, più o meno conica, che può raggiungere 2 metri, di colore grigiastro, provvista di rugosità trasversali nella parte superiore e di due solchi longitudinali (detti solchi saccariferi) decorrenti a spirale e provvisti di abbondante capillizio.
Il fusto è corto ed eretto e le foglie sono disposte in verticilli (rosette), picciolate, di norma cuoriformi alla base, ottuse, tondeggianti o affusolate, lisce, ondulate o bollose, di colore verde più o meno intenso.
I fiori, che compaiono generalmente al secondo anno, sono piccoli ed inseriti direttamente su scapi lunghi 1,5-2 m, eretti, ramificati in alto, riuniti in infiorescenze normalmente bi-tetraflore.
Le infruttescenze, sono dei glomeruli rotondeggianti, angolosi, grinzosi ed i semi sono di colore bruno-verdastro, bruno-giallastro o bruno-nerastro, di forma lenticolare, spessi 1,5 m; lunghi 2,4-4 mm, del peso di 2-3 mg,

Coltivazione –
Per la coltivazione della Barbabietola da zucchero bisogna attendere una temperatura minima di 5-6°C affinché inizi la germinazione; la temperatura ottimale è pero di almeno 10-12°C.
Per un buon accumulo delle sostanze di riserva, inoltre, non bisogna avere temperature diurne e notturne troppo elevate, in quanto aumentano l’intensità della respirazione. Notti fresche e giorni caldi, dalla seconda metà di agosto, favoriscono l’accumulo di zucchero.
I suoli dove coltivare questa pianta devono essere profondi, di medio impasto, ricchi di sostanza organica e con buona capacità idrica e con pH neutro, tra 6,5 e 7; risultano inadatti i terreni acidi e con ristagni idrici.
Per ottenere buone rese sono inoltre necessarie buone disponibilità idrica durante tutto il ciclo.
Nel bilancio degli elementi nutritivi si tenga poi conto che ogni 10 tonnellate di radici vengono asportati mediamente 40-50 kg di azoto, 15-18 kg di P2O5 e 55-65 di K2O.
Dal punto di vista agronomico la Barbabietola da zucchero è una coltura sarchiata da rinnovo e si colloca generalmente tra due colture di frumento. Lascia un terreno ben preparato per la coltura successiva. Si consiglia di frapporre un intervallo di alcuni anni tra l’una e l’altra coltura di barbabietola.
Per la preparazione della coltivazione si effettua un’aratura profonda nel periodo estivo. Prima della semina va apportata una abbondante concimazione a base di letame e, nelle tecniche agroecologiche bisogna pensare al recupero della sostanza vegetale ed al reinterro della coltura precedente.
L’epoca di semina, tenendo conto delle temperature minime ottimali, inizia a febbraio nell’Italia centrale e in marzo nella Pianura Padana, inoltre nelle zone aride del Mezzogiorno d’Italia e delle isole, si pratica la coltura autunnale (semina in ottobre e raccolta a giugno-luglio), grazie anche alla selezione di tipi di barbabietola non biennali ma poliennali, cosicché le basse temperature subite durante l’inverno non riescono ad indurre la fioritura.
La semina è meccanizzata con seminatrici di precisione, a righe intervallate in media di 45 cm con densità di semina di circa 10 piante a metro quadrato alla raccolta e che una quota dei semi posti a dimora è destinata a non andare a buon fine. Data la delicatezza delle plantule di barbabietola normalmente si hanno forti fallanze: il numero di semi da seminare è di 15-20 per ottenere 10 piante a metro quadrato.
La profondità di semina è intorno a 3-4 cm, dopodiché si effettua una rullatura che favorisce inumidimento e germinazione.
La barbabietola da zucchero è molto sensibile alla competizione esercitata dalle erbe infestanti per cui bisogna attuare azioni a svantaggio delle erbe infestanti, come falsa semina, sarchiature. Il diserbo chimico molto utilizzato fino ad oggi si sta rivelando sempre più inadatto sugli effetti della fertilità e struttura dei suoli, con problemi di lungo periodo altamente negativi.
Per la raccolta si aspetta il periodo in cui nella radice si è accumulata la massima quantità di zucchero; la tecnica prevede l’ estirpazione delle radici dal terreno; scollettatura, cioè eliminazione mediante taglio della parte superiore del corpo radicale (colletto) con inserite le foglie, parte povera di zucchero e ricca di impurità che renderebbero difficile la lavorazione industriale; caricamento sui mezzi che trasporteranno le radici allo zuccherificio. Queste operazioni oggi sono totalmente meccanizzate.
La resa media è di oltre 400 q.li/Ha con il 16% di zucchero ma si possono raggiungere rese molto più elevate.
Esistono differenti varietà classificate in base a parametri botanici o tecnologici.

Usi e Tradizioni –
La Barbabietola da zucchero è una coltivazione praticata sin dai Greci e dai Romani, anche se veniva coltivata come pianta ortiva.
Fino alla fine del XVIII secolo e gli inizi del XIX secolo, quando non esisteva ancora un procedimento industrialmente conveniente per l’estrazione del saccarosio, la sua era una coltura marginale e se ne usava solo il fogliame crescente fuori terra ad uso foraggio.
La sua importanza come pianta saccarifera risale al Settecento quando il chimico Margraff scoprì nella barbabietola zucchero cristallizzabile ed i suoi studi vennero ripresi da Franz Karl Achard che, con l’aiuto di Federico il Grande e poi di Guglielmo III, impiantò delle coltivazioni in Slesia, perfezionando i procedimenti di estrazione e di lavorazione e trasformazione.
Con l’instaurazione del blocco napoleonico si ampliarono le ricerche su questa coltura si moltiplicarono le iniziative in quanto i Paesi europei vennero a trovarsi improvvisamente sprovvisti dello zucchero di canna fornito fino a quei tempi dall’Inghilterra. In Italia la diffusione della barbabietola fu molto lenta e alterna fino al 1887. In quell’anno E. Maraini, ritenuto il padre dell’industria saccarifera italiana, si adoperò per razionalizzare la tecnica colturale ed estrattiva e promosse il potenziamento della fabbrica di Rieti già sorta e fallita in precedenza.
Della Barbabietola da zucchero si impiegano le radici scollettate negli zuccherifici. Le foglie e i colletti possono essere utilizzati come foraggio. Dalla lavorazione industriale si ottengono dei sottoprodotti: polpe fresche esauste (utilizzate nell’alimentazione animale); polpe secche (si ottengono dalle precedenti previa essiccazione rapida; utilizzate anch’esse nell’alimentazione animale).
Per questa pianta si adotta il parametro di “qualità interna o tecnologica” che si riferisce alla sua attitudine ad essere trasformata in zucchero. Il saccarosio totale è il parametro più importante, esprime la concentrazione di zucchero nella radice della bietola ed è espresso in percento in peso.
Questo viene misurato con il polarimetro che individua il valore economico della coltura e viene definito zucchero teorico, perché non può essere interamente estratto e cristallizzato. La parte di zucchero che, rispetto al totale, è possibile estrarre e cristallizzare viene definita zucchero bianco e rappresenta il valore industriale del prodotto. La percentuale di zucchero teorico che diventa zucchero bianco costituisce la Resa Estraibile, che dipende dalla quantità, presente nella radice, di alcune sostanze che interferiscono negativamente con il processo di estrazione, abbassando la percentuale di zucchero che cristallizza ed aumentando quella che resta legata al sottoprodotto della raffinazione, che è il melasso (saccaro-melasso). Per questo motivo, tali elementi vengono definiti sostanze melassigene o melassigeni.
Per individuare la qualità tecnologica, del prodotto conferito negli stabilimenti, l’industria saccarifera determina in tutti i campioni il contenuto (in mmol per 100 g di polpa) dei tre melassigeni principali: potassio (K), sodio (Na) ed azoto alfa-amminico (αN). Oltre a questi, nel sugo di estrazione sono a volte presenti altri composti che hanno una notevole influenza nel processo di cristallizzazione, in particolare gli zuccheri riducenti (glucosio e fruttosio, i quali vengono determinati sui campioni, soltanto in alcuni stabilimenti). Queste sostanze melassigene, durante il processo di estrazione, causano danni diretti: immobilizzando parte del saccarosio ed impedendogli la cristallizzazione; ed indiretti: acidificando i sughi di estrazione. In ambiente acido si attivano gli enzimi in grado di scindere la molecola di saccarosio in glucosio e fruttosio, zuccheri semplici che comunque non cristallizzano; inoltre per ripristinare l’alcalinità dei sughi occorre aggiungere soda (NaOH) che contiene sodio, sostanza di per sé melassigena.
In generale la composizione media della polpa di bietola:
– Acqua 75%;
– Sostanza secca 25%;
– Sostanze solubili totali 20 %;
– Saccarosio 16%;
– Non zuccheri solubili 4%;
– Sostanza organica azotata 1,8%;
– Sostanze organiche inazotate 1,4%;
– Sostanze minerali 0,8%;
– Sostanze insolubili totali 5 %.
Oltre agli utilizzi di natura industriale bisogna fare un cenno sulle proprietà benefiche della barbabietola da zucchero: la pianta, infatti, non va ricordata solo per la produzione dello zucchero, ma anche per le qualità salutari e nutritive. La radice è ricca di sali minerali e vitamine, pertanto è rimineralizzante e vitaminizzante. Inoltre, vanta proprietà depurative, antisettiche, ricostituenti, digestive e stimolanti la produzione della bile; in analogo modo, la barbabietola da zucchero è in grado di assorbire le tossine dalle cellule e di facilitarne l’eliminazione. Ancora, la barbabietola da zucchero si configura un ottimo rimedio naturale per il trattamento di anemie e infezioni cerebrali, oltre a stimolare il sistema linfatico e la produzione di eritrociti.
Per quanto riguarda l’aspetto nutrizionale, 100 grammi di barbabietola da zucchero forniscono circa 20 Kcal: il 91% è costituito da acqua, i carboidrati sono il 4%, le proteine poco più dell’1%. Anche sostanze antiossidanti, nitrati ed acido ossalico compongono il fitocomplesso della barbabietola da zucchero.

Modalità di Preparazione –
La Barbabietola da zucchero è una pianta che nei secoli ha ricevuto un notevole lavoro di selezione e miglioramento tanto da passere da coltura ortiva a coltura industriale, soprattutto per la produzione di zucchero.
In generale comunque questa pianta viene utilizzata indirettamente in cucina, e nell’industria alimentare per la produzione dello zucchero ma anche direttamente per la preparazione di vari piatti e per le sue proprietà benefiche, legate al contenuto in sali e sostanze antiossidanti ma anche nel campo dell’alimentazione del bestiame per l’uso delle foglie.

Guido Bissanti

Fonti
– Acta Plantarum – Flora delle Regioni italiane.
– Wikipedia, l’enciclopedia libera.
– Treben M., 2000. La Salute dalla Farmacia del Signore, Consigli ed esperienze con le erbe medicinali, Ennsthaler Editore
– Pignatti S., 1982. Flora d’Italia, Edagricole, Bologna.
– Conti F., Abbate G., Alessandrini A., Blasi C. (a cura di), 2005. An annotated checklist of the Italian vascular flora, Palombi Editore.

Attenzione: Le applicazioni farmaceutiche e gli usi alimurgici sono indicati a mero scopo informativo, non rappresentano in alcun modo prescrizione di tipo medico; si declina pertanto ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.




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