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Impatto ambientale dell’acqua in bottiglia

Impatto ambientale dell’acqua in bottiglia

La storia dell’acqua minerale in bottiglia e del suo consumo è un tema che ci riguarda tutti da vicino sia per le ricadute economiche sui nostri bilanci che per l’impatto ambientale che questa provoca.
La prima acqua minerale in bottiglia, storicamente documentata, risale al 1583 e proveniva dalle antichissime sorgenti termali di Spa, cittadina della valle belga situata nelle Ardenne da cui probabilmente deriva il nome dei moderni centri benessere.
Fu Enrico II di Francia, in quella data, ad ottenere il diritto esclusivo di importare le sue acque preferite per il proprio personale consumo.
Anche se quello di Enrico II fu un caso isolato, risale, invece, al maggio del 1605 il primo editto al mondo sullo sfruttamento delle risorse idriche del sottosuolo e delle acque freatiche. A firmarlo fu Enrico IV di Francia.
Tralasciando l’evolversi della crescita dell’industria dello sfruttamento ed imbottigliamento delle acque minerali, è dagli anni ’70 del secolo scorso che l’acqua minerale è entrata sempre più prepotentemente sulle tavole.
In Italia coincide con il boom economico e con la pubblicità. Complice l’introduzione delle prime bottiglie in PET, più leggere e meno costose.
Secondo gli ultimi dati il nostro Paese è al primo posto in Europa e al terzo nella classifica mondiale dei consumatori di acqua minerale, con 196 litri pro capite all’anno, dietro solo a Emirati Arabi (260 l) e Messico (205).
Dietro questa grande industria ed alle nostre abitudini quotidiane si cela però un grande problema, poco affrontato a livello politico soprattutto adesso che si parla di transizione ecologica; una transizione che sembra più una corsa all’oro più che una vera presa di coscienza politica per come far transitare la nostra civiltà verso stili di vita ecosostenibili.
Secondo un recente studio pubblicato su Science of the total environment, l’abitudine di bere acqua imbottigliata ha un impatto ambientale 3.500 volte maggiore rispetto a quella bevuta dal rubinetto. Si tratta di uno studio eseguito su un campione della città di Barcellona in Spagna.
I risultati di questo studio hanno mostrato che se l’intera popolazione di Barcellona decidesse di passare all’acqua in bottiglia, per la produzione richiesta servirebbe un tributo di 1,43 specie all’anno e un costo di 83,9 milioni di dollari all’anno a causa dell’estrazione di materie prime.
Sempre secondo questo studio l’acqua in bottiglia ha un impatto ambientale 3.500 volte più pesante sui costi per le risorse e di 1.400 volte sugli ecosistemi rispetto a quella del rubinetto. Lo studio condotto dal Barcelona institute for global health (ISGlobal), un centro sostenuto dalla Fondazione ‘la Caixa’, non lascia scampo ad alcuna interpretazione, confermando che “almeno nella città di Barcellona , l’acqua del rubinetto è l’opzione che offre più vantaggi complessivi.
Lo studio ha mirato a fornire dati oggettivi su tre diverse scelte di consumo di acqua: acqua in bottiglia, acqua di rubinetto e acqua di rubinetto filtrata.
Gli impatti sull’ambiente e sulla salute sono generalmente valutati separatamente a causa delle diverse metodologie applicate e dei risultati.

Il Life Cycle Assessment è stato condotto utilizzando un software specifico e un metodo chiamato ReCiPe, che ha permesso ai ricercatori di stimare i danni agli ecosistemi e alla disponibilità di risorse, nonché gli impatti indiretti sulla salute umana derivanti dal processo di produzione dell’acqua in bottiglia e del rubinetto. I risultati hanno mostrato che se l’intera popolazione di Barcellona decidesse di passare all’acqua in bottiglia, per la produzione richiesta servirebbe un tributo di 1,43 specie all’anno e un costo di 83,9 milioni di dollari all’anno a causa dell’estrazione di materie prime.
Anche se, nel caso della città di Barcellona, la qualità dell’acqua è aumentata negli ultimi tempi, tuttavia, a questo notevole miglioramento non è conseguito un aumento del consumo di acqua del rubinetto, il che suggerisce che il consumo di acqua potrebbe essere motivato da fattori soggettivi diversi dalla qualità. Uno di questi fattori soggettivi è la presenza percepita di composti chimici nell’acqua del rubinetto. I risultati stimano, inoltre, che invece un passaggio completo all’acqua del rubinetto aumenterebbe il numero complessivo di anni di vita persi nella città di Barcellona e che l’intero processo collegato ai due modelli di distribuzione tra acqua bevuta dal rubinetto ed acqua bevuta dalle bottiglie è notevolmente a favore del primo.
Negli impatti ricordiamo che, uno dei fattori di maggiore preoccupazione è quello della produzione di plastica.
Se dovessimo fare una stima soltanto per il consumo annuo dell’Italia escono fuori numeri raccapriccianti.
Anche se la ricerca ha permesso di apprezzare come nel decennio che va dal 2000 al 2011 il peso medio di una bottiglia in PET sia sceso notevolmente, mediamente, una bottiglia di 1,5 litri (considerandola come media tra le confezioni da due litri e quelle da 500 ml), pesa 40 grammi.
Se moltiplichiamo questo peso per un numero di 130,66 (dato dalla divisione di 196 litri procapite in bottiglie da 1,5 litri) si ha che solo in Italia si accumulano annualmente quanto segue:
130,66 x 40 x 59.300.000 abitanti
cioè 309.941.333 Kg o, se preferite, 309.941,33 tonnellate di plastica.
Se consideriamo che ad oggi (2019) il riciclo della plastica è pari ad una percentuale del 45 %, ogni anno abbiamo un surplus di plastiche immesse nell’ambiente (suolo, fiumi, mari, ecc.) di circa 170.468 tonnellate di plastica a cui vanno ovviamente aggiunti gli apporti provenienti da altri consumi.
Un volume difficilmente calcolabile per via delle diverse consistenze e compattazioni di un materiale che ha un peso specifico che si aggira intorno a 1,38 g/cm³ ma sicuramente una incredibile quantità di materiali che pian piano stiamo accumulando e lasciando alle future generazioni.
È evidente che la questione acqua minerale deve avere una centralità differente nell’attuale PNRR che è tanto proteso e preoccupato alla transizione energetica senza preoccuparsi (se non in maniera marginale) alla questione che la prima e vera transizione è quella delle politiche per promuovere il cambio di alcune abitudini ed alcuni stili di vita che ci permetterebbero un grande risparmio di risorse e quindi anche un minore impatto ambientale.
Se a questo si aggiunge la questione, non secondaria, che l’accesso alle acque minerali è un ulteriore fattore di discriminazione sociale per i suoi costi diretti ed indiretti si intuisce come questa transizione va rivista nel solco di quella conversione da subito rivendicata dal sottoscritto.

Guido Bissanti




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