Un Mondo Ecosostenibile
ErbaceeSpecie Vegetali

Cynara scolymus

Cynara scolymus

Il carciofo (Cynara scolymus L.) è una specie erbacea, orticola e medicinale, appartenente alla famiglia delle Asteraceae.

Sistematica –
Dal punto di vista sistematico appartiene al Dominio Eukaryota, Regno Plantae, Divisione Magnoliophyta, Classe Magnoliopsida, Ordine Asterales, Famiglia Asteraceae, Sottofamiglia Cichorioideae, Tribù Cardueae, Sottotribù Echinopsidinae e quindi al Genere Cynara ed alla Specie C. scolymus.

Etimologia –
Il termine Cynara proviene dal greco κῑνάρα kinára, carciofo in Galeno e Dioscoride. L’epiteto specifico scolymus proviene da scolymus cardone, carciofo, nome presente in Plinio (latinizzazione del greco σκόλυμος scólymos, una sorta di cardo commestibile in Aristarco e Teofrasto).

Distribuzione Geografica ed Habitat –
Cynara scolymus è una specie originaria del Medioriente; secondo alcuni documenti storici, linguistici e molecolari sembra che la domesticazione del carciofo (Cynara scolymus) dal suo progenitore selvatico (Cynara cardunculus) possa essere avvenuta in Sicilia, a partire dal I secolo circa. Ancora oggi, in orti familiari della Sicilia centro-occidentale (nei dintorni di Mazzarino), si coltiva un’antica cultivar che, sotto il profilo morfo-biologico e molecolare, sembrerebbe una forma di transizione tra il cardo selvatico ed alcune delle varietà di carciofo di più ampia diffusione.

Descrizione –
Il carciofo è una pianta erbacea perenne alta fino a 1,5 metri, con rizoma sotterraneo dalle cui gemme si sviluppano più fusti, che all’epoca della fioritura si sviluppano in altezza con una ramificazione dicotomica. Il fusto è molto raccorciato (2-4-cm), mentre lo stelo fiorale è robusto, cilindrico e carnoso, striato longitudinalmente, fornito di foglie alterne (grandi, di colore verde più o meno intenso o talvolta grigiastre nella pagina superiore, più chiare e con presenza di peluria in quella inferiore; la spinosità delle foglie è legata invece a fatti varietali. I fiori sono azzurri ermafroditi tubolosi riuniti in una infiorescenza a capolino (calatide) che comprende una parte basale (il ricettacolo carnoso), sul quale sono inseriti i fiori ermafroditi detti “flosculi”; inframmezzati ai fiori sono presenti sul talamo numerose setole bianche e traslucide (il “pappo”).
Sul ricettacolo sono inserite le brattee o squame involucrali, a disposizione imbricate l’una sull’altra, con le più interne tenere e carnose e le più esterne consistenti e fibrose. Ricettacolo e brattee interne costituiscono la porzione edule del carciofo (cuore).
Il frutto del carciofo è un achenio allungato e di sezione quadrangolare, di colore grigiastro bruno e screziato. La morfologia fiorale ed il meccanismo di antesi impediscono normalmente l’autoimpollinazione; la fecondazione è entomofila.

Coltivazione –
Cynara scolymus è una specie che si moltiplica per via gamica, utilizzando l’“ovolo”, il “pollone” o “carduccio” o “porzione del ceppo”. Le diverse varietà coltivate si distinguono in base alla presenza e allo sviluppo delle spine, in base al colore del capolino ed in base al comportamento nel ciclo fenologico. Per la tecnica di coltivazione del carciofo puoi consultare la seguente scheda.

Usi e Tradizioni –
La pianta del carciofo era già conosciuta dai greci e dai romani, ma sicuramente si trattava di un parente selvatico. Il carciofo selvatico ha costituito fin dall’antichità un prodotto importante per i fitoterapisti di Egizi e Greci, ma pare che altrettanto antico sia il suo impiego nella cucina. Già nel IV sec. a.C. era coltivato dagli Arabi che lo chiamavano “karshuf” (o kharshaf), da cui l’attuale termine. Teofrasto nella “Storia delle piante” parla di “cardui pineae” che per caratteristiche di forma, proprietà e virtù sarebbero assimilabili ai nostri carciofi. L’uso di una qualche varietà di carciofo selvatico nella cucina romana è ricordata da Columella, che chiamandolo col nome latino di Cynara, conferma come a quel tempo si usasse consumare quella pianta sia a scopo medicinale che alimentare. Nel “De re coquinaria” di Apicio, si parla anche di cuori di cynara che, a quanto pare, i Romani apprezzavano lessati in acqua o vino.
Dopo la domesticazione siciliana del carciofo una seconda introduzione del carciofo in Europa fu operata dagli Arabi sin dal ‘300, ma notizie molto dettagliate sul suo sfruttamento risalgono al ‘400, quando dopo vari innesti, dalle zone di Napoli si diffuse prima in Toscana, e successivamente in molte altre regioni.
I colonizzatori spagnoli e francesi dell’America introdussero il carciofo in questo continente nel secolo XVIII, rispettivamente in California e in Louisiana. Oggi in California i cardi sono diventati un’autentica piaga, esempio tipico di specie aliena invasiva in un habitat in cui non si trovava precedentemente.
Nella pittura rinascimentale italiana, il carciofo è rappresentato in diversi quadri: “L’ortolana” di Vincenzo Campi, “L’estate” e “Vertumnus” di Arcimboldo. Il carciofo non fu subito apprezzato ma gradualmente fu introdotto in trattati di cucina. Anche la fama di alimento afrodisiaco forse contribuì alla sua diffusione; nel 1557, il Mattioli nei suoi “Discorsi” scrive: “la polpa dei carciofi cotti nel brodo di carne si mangia con pepe nella fine delle mense e con galanga per aumentare i venerei appetiti”.
Oggi i carciofi si coltivano soprattutto in Italia, Egitto, Spagna e Stati Uniti d’America e Perù. Le varietà spinose più conosciute sono: i verdi della Liguria e di Palermo, e i violetti di Chioggia, Venezia e Sardegna. Un’ulteriore varietà di spinoso è quello di Toscana, di colore violaceo. Fra i non spinosi, invece, troviamo il cosiddetto Romanesco, comunemente conosciuto come mammola, quello di Paestum e di Catania.
Il carciofo è un ortaggio ricco di principi attivi, utili sia per la digestione e la diuresi che per la cura della bellezza di viso, corpo e capelli.

Modalità di Preparazione –
Per la preparazione in cucina del carciofo si consigliano quelli più piccoli e con le punte ben chiuse. Il gambo deve essere duro e senza parti molli o ingiallite. Per la conservazione si consiglia: se sono molto freschi ed hanno il gambo lungo di immergerli nell’acqua come si farebbe con i fiori freschi. Per riporli in frigo si devono togliere le foglie esterne più dure e il gambo; lavati e ben asciugati vanno messi in un sacchetto di plastica o un contenitore a chiusura ermetica: si conserveranno per almeno 5-6 giorni. I carciofi si possono anche congelare dopo averli puliti e sbollentati in acqua acidulata con succo di limone, lasciati raffreddare e sistemati in contenitori rigidi. Ma i carciofi molto teneri si possono mangiare anche crudi, mentre gli altri vengono preparati fritti, alla giudia, alla romanesca, insomma nei più svariati modi. In molte regioni italiane c’è inoltre la grande tradizione di fare con i carciofi le conserve sott’aceto o sott’olio.

Guido Bissanti

Fonti
– Wikipedia, l’enciclopedia libera.
– Treben M., 2000. La Salute dalla Farmacia del Signore, Consigli ed esperienze con le erbe medicinali, Ennsthaler Editore
– Pignatti S., 1982. Flora d’Italia, Edagricole, Bologna.
– Conti F., Abbate G., Alessandrini A., Blasi C. (a cura di), 2005. An annotated checklist of the Italian vascular flora, Palombi Editore.

Attenzione: Le applicazioni farmaceutiche e gli usi alimurgici sono indicati a mero scopo informativo, non rappresentano in alcun modo prescrizione di tipo medico; si declina pertanto ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.




Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *