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Come si coltiva il Moro degli Osagi

Come si coltiva il Moro degli Osagi

Il moro degli Osagi o arancio degli Osagi (Maclura pomifera (Raf.) C.K. Schneid.) è una pianta arborea della famiglia delle Moraceae, originaria del Nordamerica ed introdotta in Europa nel 1818 ed in Italia nel 1827. Il nome è legato alla conoscenza di questa pianta da parte degli Indiani d’America, in particolare, sembra, la tribù degli Osage, che ne utilizzavano il legno flessibile ed elastico per la costruzione di archi (e, per questo motivo, nel Lazio viene anche detto “legno d’arco”).
Il moro degli Osagi è una pianta dioica (quindi con esemplari maschili separati da quelli femminili) con infiorescenze, sia maschili che femminili, sferiche con diametro di 2-3 centimetri. Il frutto ha una forma sferica di diametro variabile dagli 8 ai 15 centimetri, verde e rugoso. Ha consistenza legnosa, con una superficie verdastra e rugosa, e con succo lattiginoso. Si tratta di un frutto multiplo (in particolare di un sorosio), cioè derivato dalla trasformazione di un’intera infiorescenza. Non è commestibile.

Coltivazione –
La Maclura pomifera, per poter essere coltivata al meglio, ha bisogno di pieno sole per molte ore al giorno ma può crescere anche in zone parzialmente ombreggiate. Sopporta i venti, anche molto forti o salmastri delle zone costiere. La pianta resiste bene al freddo e sopravvive anche alle temperature rigide dell’inverno inferiori ai 15 -18°C.
Si ricorda, inoltre che, per il tipo di apparato radicale molto esteso questa pianta va coltivata solo in piena terra ed in zone con molto spazio attorno.
Dal punto di vista pedologico è una pianta che pur adattandosi a qualunque tipo di suolo, anche se preferisce i terreni sciolti, profondi e ben drenati che le consentono un corretto sviluppo dell’apparato radicale.
Il moro degli Osagi va posto a dimora in primavera o in autunno anche su suoli franosi; inoltre essendo una pianta resistente all’inquinamento è adatta, oltre che in aperta campagna ad essere coltivata nelle aree urbane dove contribuisce a depurare l’aria. Generalmente si coltivano varietà senza spine e piante maschili che non producono frutti.
La concimazione della Maclura pomifera va effettuata in pre impianto, ponendo nella buca che ospiterà la pianta del concime organico e successivamente ogni anno, a fine inverno, alla base del colletto e miscelando successivamente il concime col terreno.
Per quanto attiene alle irrigazioni si ricorda che solo le piante giovani, soprattutto appena impiantate, hanno bisogno degli apporti irrigui. Le piante adulte reperiscono da sole, tramite l’esteso apparato radicale, l’acqua necessaria.
In ogni caso, nelle prime fasi dopo l’impianto ad ogni irrigazione evitare ristagni idrici.
Si ricorda che la Maclura pomifera si riproduce per seme e viene propagata per via vegetativa anche per talea e che la potatura si effettua a fine inverno recidendo i rami secchi ed accorciando di circa 1/3 quelli troppo lunghi e disordinati. Vanno ridotti anche quelli più interni per favorire l’arieggiamento ed una maggiore insolazione dell’intera chioma.

Usi –
Il moro degli Osagi, nelle aree di origine, era da tempo noto ai nativi e impiegata nella costruzione di archi, tintura dei tessuti, nonché come rimedio contro le congiuntiviti e infiammazioni degli occhi. Il colorante ricavato dalla corteccia e dalle radici si usava per tingere il volto con un colore giallo limone nei rituali degli Osage.
Questa pianta ha un legno durissimo ed elastico e dal gradevole colore ocra, dotato di bellissime venature più scure; può essere utilizzato per creazioni artigianali pregiate o per la realizzazione di attrezzi durevoli, oltre ai già menzionati archi. Infatti, il nome dato alla pianta dai primi coloni francesi fu “bodarc”, ovvero la contrazione di “bois d’arc”.
Il frutto è apprezzato dagli scoiattoli, mentre negli esseri umani, seppur non velenoso, causa il vomito e non è commestibile.
La pianta ha avuto poi negli Stati Uniti, sin dal primo Ottocento, una certa diffusione, sia perché se potata e tenuta a livello arbustivo grazie alla caratteristica spinosità forma ottime siepi, capaci di tenere a bada il bestiame e di fungere da frangivento, sia perché è ornamentale, sia perché il suo legno dalla grande capacità di non marcire anche in ambienti saturi d’acqua era prediletto per la costruzione di pontili, ponti ferroviari e altri manufatti durevoli che dovevano resistere all’acqua. Fu impiegata anche per le piccole imbarcazioni, soprattutto in Texas a metà Ottocento.
Inoltre durante la crisi del ’29, che negli stati del West coincise con un processo di erosione e desertificazione, fu scelta da Roosevelt come principale pianta per costruire ampie siepi e boschetti frangivento.
Da sottolineare, inoltre, come in Italia, a partire da metà Ottocento, in seguito alla comparsa di una grave forma di infezione che colpì le radici dei gelsi bianchi utilizzati in bachicoltura, si tentò di utilizzarne le foglie nell’alimentazione del baco da seta, ma con poco successo, vista la scarsità di nutrienti rispetto alla foglia del gelso.
Oggi viene impiegata come pianta ornamentale e per realizzare siepi invalicabili. Raggiungendo dimensioni ragguardevoli come esemplare isolato, l’albero adulto perde in gran parte la spinosità.




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