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Alberi e vegetazione per le città del futuro

Alberi e vegetazione per le città del futuro

I criteri con cui abbiamo edificato e costruito le città dove viviamo sono il frutto di una errata visione antropologica.
Negli ultimi tempi le città del nostro pianeta si sono sempre più allontanate dai principi su cui si regge l’ecosistema e, giunti ai giorni nostri, ci troviamo a fare i conto con centri abitati pieni di smog, con condizioni ambientali poco vivibili, soprattutto nel periodo estivo, e qualità della vita molto bassa.
L’umanità si è così allontanata da se stessa ipotizzando un modello di civiltà alienato dai principi e dalle costanti della natura.
L’ecosistema di cui siamo parte ed insieme è rimasto fuori e noi fuori da esso.
Così la mancanza di alberi, vegetazione e condizioni più naturali, hanno diminuito tutti quei “servizi” di loro pertinenza.
Gli alberi ( e la vegetazione in generale) sono dei filtri naturali per l’aria, grazie al processo della fotosintesi clorofilliana che assorbe anidride carbonica e produce ossigeno. Inoltre, soprattutto nei grandi centri abitati, trattengono una grande quantità di particolato, tramite le loro foglie e le loro superfici.
Un ruolo importante è poi quello degli scambi gassosi. Gli stomi fogliari, presenti sulla pagina inferiore della foglia, consentono lo scambio gassoso fra l’interno e l’esterno: così le piante assorbono e rimuovono gli inquinanti gassosi attraverso il suo metabolismo. Il processo di assorbimento e metabolizzazione degli inquinanti viene poi completato dagli organismi che vivono nella terra, a contatto con le radici della pianta.
Gli alberi ben curati e ben potati sono delle grandi centrale di assorbimento degli inquinanti.
Un altro grande ruolo, assicurato soprattutto dai grandi alberi, è quello di mitigazione del clima.
L’Ibimet (Istituto di biometeorologia del Cnr di Bologna) ha compiuto approfonditi studi sulla mitigazione del clima urbano attraverso l’utilizzo delle alberature in città.
Vediamo alcune caratteristiche emerse da questo studio.
Il bagolaro (Celtis australis) ha dimostrato di avere le migliori prestazioni contro le polveri sottili. Nell’assorbimento della CO2 si sono dimostrati ottimi il tiglio selvatico (Tilia cordata), il biancospino (Crataegus monogyna) e il frassino (Fraxinus ornus).
In generale, comuqnue, le specie migliori che possono resistere al forte inquinamento urbano sono quelle autoctone e della flora locale come frassino maggiore, orniello, biancospino, acero campestre, acero platanoide, acero di monte (Acer pseudoplatanus), bagolaro, albero di giuda (Cercis siliquastrum), gelso, ontano nero, carpino bianco, tiglio e olmo.

Tiglio selvatico, frassino e biancospino sono alcune delle essenze che offrono la massima assimilazione di anidride carbonica per metro quadrato di foglie. Mentre per le polveri sottili sono particolarmente indicati, oltre ai tigli, anche gli olmi, gli ippocastani e gli aceri.
Per avere una misura della capacità di assorbimento di queste piante, basti pensare che cinquemila piante in un anno assorbono 228 chili di PM10: pari alle emissioni di oltre mille macchine che percorrono 20 mila chilometri in 12 mesi.
In assoluto il tiglio è una delle essenze che offre la massima assimilazione di anidride carbonica per metro quadrato di foglie.
Esistono inoltre degli arbusti mediterranei che metabolizzano ottimamente metalli pesanti e particolato. Uno studio del CREA (Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) ha individuato alcune essenze che sono risultate ottime per creare siepi o più alte barriere arbustive contro lo smog: l’agrifoglio (Ilex aquifolium), il viburno (Viburnum L.), il corbezzolo (Arbutus unedo), la fotinia (Photinia serrulata), l’alloro (Laurus nobilis), l’eleagno (Elaeagnus), il ligustro (Ligustrum lucidum).
La riconversione e la progettazione delle città del futuro dovrà tenere conto di creare barriere e filtri che tengano conto delle zone in cui si concentrano maggiormente traffico, impianti termici e combustioni di tipo industriale, al fine di attenuare le esalazioni di sostanze nocive come polveri sottili e metalli pesanti.
Così alberi e vegetazione ci dovranno riportare verso una condizione antropologica di maggiore equilibrio con ricadute sociali e di qualità della vita notevolmente migliori.
Infatti la presenza di vegetazione, oltre che al ruolo antismog, è particolarmente efficace per la riduzione diretta dell’anidride carbonica e per il miglioramento del microclima. In generale si ha così una riduzione dell’uso dei combustibili fossili di circa 18 chili all’anno per ciascun albero. Ciascuna pianta messa a dimora in ambiente urbano svolge un’azione di riduzione della CO2 equivalente a quella di 3 – 5 alberi forestali di pari dimensioni.
Ma i “servizi” dei nostri amici verdi non finisce qui.
Le piante hanno la grande capacità di intercettare, per esempio, uno dei metalli pesanti più nocici; parliamo del piombo. Questo metallo pesante è uno degli elementi più pericolosi per la salute umana e viene intercettato in maniera diversa dalle diverse specie di piante: tra queste, i maggiori valori di deposito fogliare sono stati riscontrati nell’eleagno, nel ligustro e nel viburno lucido.
Vari test hanno mostrato che il deposito di inquinanti sulle foglie è progressivamente aumentato tra giugno e agosto, in un periodo di assenza di piogge, mentre è diminuito con il verificarsi dei primi eventi piovosi autunnali che, evidentemente, hanno dilavato parte del deposito. Dall’analisi microscopica sulle foglie è emerso che l’eleagno è il miglior accumulatore, con lo 0,60 per cento dell’area fogliare “coperta”, mentre il ligustro, con lo 0,27 per cento, ha registrato il valore più basso.
Al di la delle analisi e delle capacità di ogni singola pianta a svolgere un servizio utile per l’umanità c’è poi il rapporto tra queste e l’essere umano che si completa in aspetti molto più complessi quali l’emissione di sostanze che, come informazioni diversificate, rendono la vita umana molto più piena e stabile.
Forse la torre di Babele che abbiamo costruito negli ultimi tempi sta iniziando a crollare a causa dell’errata visione di una evoluzione umana impossibile e giunta oramai al termine.

Guido Bissanti




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