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Agricoltura: Giovani promossi, Economisti bocciati

Agricoltura: Giovani promossi, Economisti bocciati

Anche a non voler sentire tutte le notizie che ci invadono giornalmente sarebbe comunque impossibile non cogliere un elemento di fondo nello scenario sociale degli ultimi tempi: la parola crisi.
Una crisi (dal greco κρίσις, decisione) è un cambiamento traumatico o stressante per un individuo o per una società, che può generare elementi di instabilità ma anche di indefinibile cambiamento.
Eppure, tra le mille incertezze, variabili, preoccupazioni, di una cosa si è oramai certi: l’invasione dei giovani nel settore agricolo. Per tradizione e per passione. Sono le due leve principali che spingono i giovani a scegliere l’agricoltura come professione. In Italia gli occupati aumentano e questa non è solo una sensazione ma lo dice il rapporto annuale del Censis.
Gli occupati nel settore agricolo hanno raggiunto nel 2015 le 910.000 unità, con un incremento in termini assoluti di circa 20.000 occupati rispetto al 2014 e di 18.000 rispetto ai due anni precedenti. Questi sono i dati emersi nel capitolo “Lavoro, professionalità, rappresentanze” del 50° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese chiuso col 2016.

Sono dati che fanno ben sperare per riuscire a realizzare nel giro di qualche anno quel necessario ricambio generazionale di cui l’agricoltura italiana avrebbe bisogno. Avvicendamento che favorirebbe anche l’innovazione, un tema sul quale i giovani sono sicuramente più attenti rispetto ai loro genitori o nonni.
Nel confronto con il 2014, lo scorso anno gli occupati sono aumentati del 2,2%. La crescita delle ore lavorate e delle unità di lavoro tende invece a consolidarsi a partire dal 2014: le prime aumentano nel 2014 del 2,1%, mentre nel 2015 l’aumento supera i 3 punti percentuali. Le seconde crescono del’1,5% nel 2014 e del 2,2% nel 2015. La tendenza positiva innescata nel corso del 2015 verrebbe confermata anche dai dati del primo semestre 2016. A livello nazionale gli occupati aumentano di 45.000 unità rispetto al primo semestre 2015. Da una recente indagine del Censis sulle imprese aderenti alla Confederazione Italiana Agricoltori emerge che tra i fattori che hanno contato di più nella scelta del lavoro agricolo, accanto alla tradizione familiare (52,6%), figura la grande passione (28,9%).
Tutti questi dati rischiano però di diventare solo numeri se non ne seguirà un’attenta programmazione politica che, di certo, non può essere prospettata con l’ultimo Programma di Sviluppo Rurale (PSR) che è nato stanco, vecchio, incrostato di un improponibile modello di numeri senza contenuti e senza anima.
C’è bisogno di una rivoluzione dove al centro non ci sia solo la produzione (e questo uno dei grandi errori del PSR) ma soprattutto la struttura sociale che dovrà scaturire da una nuova rivoluzione verde.
Pensare ad un modello rurale innovativo senza comprendere non solo gli equilibri eco sistemici ma anche quelli urbanistici equivale a fare un ulteriore buco nell’acqua, dove indici finanziari e modelli economici la fanno da padroni ma dove, in sostanza, manca l’anima del settore. Si perché l’agricoltura non è solo produrre per ricavare il massimo reddito (errore fin qui perpetrato da tutti i PSR o POR) ma modello di equilibrio sociale, ecologico e strutturale dove il vero reddito è una sommatoria di costi (ecologici e sociali) oltre che economici ed i ricavi sono privati (l’azienda agricola) e pubblici (la collettività e la Natura).
Questioni che richiedono una differente definizione del diritto privato e del diritto pubblico e che pretendono un sistema di bilanci completamente diversi da quelli maldestramente adottati nei PSR, dove indici ROI, ROE, ROS, CTO, ecc. la fanno da padroni senza alcun riferimento agli indici ed indicatori ecologici, sociali e cosi per questa strada.
Chiediamo a tanti economisti di mettersi un momentino da parte per dare modo alla scienza agronomica (cosa molto più complessa) di ritornare ad essere quell’arte .
Un’arte che si è evoluta anche grazie alla grande sapienza di alcuni studiosi del settore: pensiamo a Catone, Columella, Varrone, Palladio, Plinio il Vecchio, per non parlare, nell’alto Medioevo dei compendi classici quali il De agris di Isidoro di Siviglia per fare poi un accenno alle stupende opere  (nel tardo Medioevo)  contenute nel libro di agricoltura di Ibn–el–Awwam (XII sec.) e nel Ruralium commodorum di Pier de Crescenzi.
Se andate a leggere queste opere capirete una cosa su tutte: l’aridità dei nostri tempi (anche quella agronomica) nasce nella cultura di questi “scienziati” moderni.
La parola passa adesso ai giovani. La crisi, e la sua risoluzione, passa anche tramite loro.

Guido Bissanti




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