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Smaterializzare la civiltà

Smaterializzare la civiltà

Il terzo millennio si è presentato con una serie di questioni che chiedono soluzioni non semplici, sia per la portata globale dei fenomeni che per la complessità delle variabili in gioco.
Questioni che non possono essere risolte in maniera disgiunta ma con un approccio sistemico che consenta di agire come una cura che risani l’intero organismo planetario (umanità compresa).
Crisi sociali, ambientali ed energetiche vengono richiamate dal grande programma oramai noto col nome di Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile; un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità, sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Un grande programma d’azione per un totale di 169 ‘target’ o traguardi.
La novità di questo programma è più di ordine metodologico che di contenuti. I contenuti sono infatti noti da anni: problemi come la lotta alla fame, la desertificazione, la diminuzione di biodiversità o i diritti sociali non sono di certo nuovi nelle agende politiche ma è la connessione tra i vari problemi che Agenda 2030 tenta di risolvere in maniera differente e, cioè, con un approccio d’insieme.
Sullo sfondo della soluzione di tutte queste emergenze c’è ovviamente un minimo comune denominatore che altro non è poi che la questione di fondo.
L’Umanità si trova di fronte alla necessità di cambiare il suo paradigma di crescita mettendosi in sincronia con i modelli ed i principi ecologici.
Detto in parole semplici significa che i modelli organizzativi umani (e quindi politici) devono essere perfettamente sincroni a quelli ecosistemici, attivando una coesistenza di lungo periodo. Facile a dirsi più complesso a farsi.
Eppure alla base di questa dinamicità bisogna individuare le conflittualità tra i due modelli per trovare le soluzioni più idonee.
La conflittualità tra i due modelli è semplicemente di natura termodinamica (anche le emergenze sociali ne sono un effetto). Ecosistema Umano ed Ecosistema Naturale vibrano su due piani differenti; per dirla in termini appropriati: non sono polarizzati.
Questa mancanza di polarizzazione ha alla base il modello di gestione della massa e della energia dei due sistemi.
Quello naturale tende alla realizzazione di sistemi termodinamici chiusi mentre quello sociale, si è evoluto progressivamente (sopratutto con questa primordiale globalizzazione) verso sistemi termodinamici aperti.
Per chiarezza di esposizione i sistemi termodinamici chiusi sono quelli che funzionano con una minore mobilità della massa (ricordiamo che qualunque massa per poter essere spostata richiede un’aliquota di energia tanto più elevata quanto più lunga è la percorrenza); i sistemi termodinamici aperti sono quelli che utilizzano (a parità di energia) una maggiore mobilità della massa.
I sistemi termodinamici chiusi hanno una efficienza di sistema molto più elevata di quelli aperti.

La graduale globalizzazione economica del nostro mondo (fenomeno che si è accentuato negli ultimi tempi) ha inciso gradualmente sul sistema termodinamico planetario, operando una sempre maggiore apertura dello stesso a scapito del rendimento dei processi, producendo aliquote di entropia crescente con evidenti ripercussioni negative sulle stabilità fisiche e sociali del nostro mondo.
Il passaggio dall’economia lineare (adottato fin qui) a quella circolare è l’oggetto della soluzione della questione ma questa da sola non basta.
È necessario agire proprio sul modello termodinamico economico.
Bisogna smaterializzare (nei limiti del possibile) i nostri modelli sociali, cosa che si ottiene riducendo lo spostamento delle masse (principio adottato nel cosiddetto chilometro zero) e chiudendo quanto più possibile i sistemi termodinamici. Precisiamo subito che sistema termodinamico chiuso non corrisponde a chiusura fisica delle frontiere o a politiche di tal portata ma ad un modello in cui si è più liberi di trasferire e trasformare energie ma si è più vincolati a far trasferire e trasformare masse (termodinamica docet).
La soluzione, che da più parti ascoltiamo, della cosiddetta Transizione Energetica non è la soluzione perfetta in quanto questa condizione si preoccupa del graduale passaggio del modello produttivo dell’energia (da fossile a rinnovabile) ma affronta troppo superficialmente (o non lo affronta affatto) il trasferimento delle masse. E qui, come direbbe qualcuno: casca l’asino.
La vera crisi non è di natura energetica in quanto, se volessimo fare dei calcoli semplici, di questa ne abbiamo in esubero (vedasi soprattutto quella solare) ma è di natura materiale, sia nella disponibilità che nel trasferimento della stessa.
La Transizione Ecologica (e quindi anche energetica), come ho sostenuto di recente, durante un convegno, risolve solo il 10 % della questione; per poter risolvere l’intera equazione serve la presenza di una variabile ancora poco calcolata e che coinvolge i modelli umani (o se volete gli stili di vita) che sono complessi modelli termodinamici.
La civiltà moderna e meglio ancora, quella futura, deve essere smaterializzata; deve cioè vibrare su un piano in cui sono consentiti i trasferimenti di energie (di ogni tipo, non ultimo certo quello intellettuale) ma limitati quelli delle masse.
Tutto questo, ovviamente, ha ricadute sociopolitiche ed ideologiche notevoli e siccome la Politica è il compendio o la summa di tutte le discipline umane (o almeno dovrebbe esserlo) non possiamo essere d’accordo con nessuna politica che affronti la questione così semplicisticamente.
Serve infatti, come detto spesso, non una Transizione Ecologica ma una Conversione Ecologica; serve una funzione integrale in cui, all’interno dell’equazione non solo si stabilisca la nuova incognita (l’ecologia umana) ma, come indicato da Agenda 2030, con i suoi 17 goals e 169 target, venga correlato l’intera conversione verso questo nuovo modello.
Le stesse politiche infrastrutturali, dei trasporti, di connessione, di realizzazione di reti e di comunità dovrà essere organizzata su questi principi se veramente vogliamo essere credibili.
D’altronde in gioco non c’è la carriera politica o l’arricchimento di qualche potenza economica o bancaria ma il destino del mondo intero.
Prendere o lasciare.

Guido Bissanti




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