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Orto botanico di Napoli

Orto botanico di Napoli

L’Orto botanico di Napoli, conosciuto anche come Real orto botanico, è una struttura dipendente dall’Università Federico II, che fa parte della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali.
Questo Orto botanico ha una estensione di 12 ettari e ospita circa 9000 specie vegetali e quasi 25000 esemplari.
È sito a Napoli nella via Foria, vicino al Real Albergo dei Poveri.

Storia –
L’Orto Botanico di Napoli fu fondato agli inizi del XIX secolo, al tempo della dominazione francese; furono questi ultimi che realizzarono un’idea concepita in precedenza da Ferdinando IV di Borbone e la cui attuazione era stata impedita dai moti rivoluzionari del 1799.
La fondazione di questo orto fu fatta con decreto del 28 dicembre 1807, con la firma di Re Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone.
La realizzazione del progetto dell’Orto Botanico di Napoli fu affidata agli architetti de Fazio e Paoletti.
Con un decreto del 25 marzo 1810 veniva nominato direttore dell’Orto Botanico, Michele Tenore. Questi aveva compiuto gli studi medici sotto Vincenzo Petagna, ereditando dal suo maestro la passione per la Botanica, che considerava non una branca della medicina, ma una scienza autonoma. Fu proprio tale concezione della Botanica che portò il Tenore ad organizzare scientificamente l’Orto in modo del tutto nuovo rispetto ai precedenti Giardini dei semplici.
Tra le numerose attività svolte nel Giardino partenopeo in questo periodo si possono ricordare la ricerca scientifica, la coltivazione di specie di interesse medicinale, la didattica, la pianificazione dei Siti Reali borbonici e la raccolta, la moltiplicazione e la diffusione di piante esotiche. Queste ultime venivano di solito acclimatate nella “Stufa temperata” e nella “Stufa calda”, che dal 1818 affiancò la prima.
A Michele Tenore successe Guglielmo Gasparrini. Durante la sua direzione, dal 1861 al 1866, furono risistemate alcune aree dell’Orto come l’arboreto, l’agrumeto e il “frutticeto”, cadute in stato di abbandono durante gli ultimi anni della direzione del Tenore. Inoltre, fu creata una “Valletta” per la coltivazione di piante alpine e costruita una nuova serra riscaldata, in sostituzione della precedente. Egli si occupò tra l’altro anche della sistemazione del Museo botanico e dell’ordinamento dell’erbario che fu arricchito dalle collezioni del Tenore.
Alla morte di Gasparrini divenne direttore ad interim Giuseppe Antonio Pasquale e nel 1868 la direzione fu affidata a Vincenzo Cesati, che resse l’Orto fino al 1883, anno della sua morte. L’evento principale che caratterizzò l’Orto in tale periodo fu la costruzione di una nuova serra riscaldata.
La direzione successivamente passò di nuovo a Giuseppe Antonio Pasquale, che la tenne fino al 1893. Durante questo periodo il Pasquale riuscì ad impedire la realizzazione di un progetto che prevedeva la costruzione di nuove sedi di Istituti universitari nell’area su cui si estendeva l’Orto Botanico.
Federico Delpino successe a Pasquale e rimase in carica fino al 1905. Il problema maggiore che egli si trovò ad affrontare fu la scarsissima sensibilità delle autorità universitarie nei riguardi dell’Orto; ciò portò molti problemi di tipo economico e gestionale che diedero il via ad un lento declino della struttura.
Numerosi mutamenti si verificarono durante il periodo in cui fu direttore Fridiano Cavara (1906-1929). Quest’ultimo arricchì le collezioni e fece realizzare un’area per le xerofite e le succulente, un laghetto e due vasche per la coltivazione di piante lacustri. Il Cavara, inoltre, fece restaurare la Serra temperata e fece iniziare la costruzione di una nuova sede per l’Istituto.
Ad ogni modo, il merito maggiore del Cavara fu senza dubbio l’istituzione, avvenuta nel 1928, della “Stazione sperimentale per le piante officinali”, destinata alla coltivazione delle piante medicinali e alla loro sperimentazione. Questa struttura, dotata di fondi propri, funzionava sotto il diretto controllo della direzione dell’Orto, pur non facendo parte da un punto di vista istituzionale di tale struttura.
Si arriva così al 1930 quando la direzione passò a Biagio Longo, che continuò l’opera iniziata dal suo predecessore. Nel 1936 l’Istituto fu trasferito nella nuova sede, la cui costruzione, durata 18 anni, finalmente terminò. Precedentemente, nel 1933, era stata realizzata una sede per gli uffici e per il laboratorio della “Stazione sperimentale per le piante officinali”.
In questo periodo dell’attività dell’Orto, il punto culminante fu raggiunto nel 1940 con la riunione straordinaria della Società Botanica Italiana, tenuta in occasione dell’inaugurazione della Mostra d’Oltremare.
Purtroppo l’avvento delle attività belliche ebbe ripercussioni negative sull’Orto Botanico di Napoli. Le strutture in ferro furono divelte per essere destinate ad uso militare; furono introdotte su larga scala coltivazioni di legumi, patate e grano; varie volte la popolazione invase l’Orto per trovarvi rifugio e acqua. I bombardamenti, inoltre, devastarono, al pari della città, anche l’Orto, ma il vero scempio fu compiuto durante l’occupazione delle truppe alleate. Il nuovo Istituto, così come parte del vecchio, fu adibito a caserma; i prati furono ricoperti con cemento o sterilizzati e utilizzati come parcheggio per gli automezzi militari; parte dell’Orto fu trasformata in campo sportivo. Nel 1947, poco dopo la fine della sua direzione, Longo pubblicò una relazione che testimoniava lo stato di totale disfacimento in cui versava la struttura.
Questa situazione fu ereditata da Giuseppe Catalano, che tenne la direzione dal 1948 al 1959. In questo periodo furono ristrutturati parzialmente il vecchio Istituto e totalmente il nuovo, in parte per opera del Genio Civile, in parte grazie a fondi straordinari messi a disposizione della direzione dell’Orto. Furono ripristinati i cancelli in ferro e restaurate le serre: in particolare, alla serra riscaldata fu aggiunto un corpo avanzato corredato da una grande vasca. I prati furono liberati dalle pavimentazioni in cemento e arricchiti da essenze arboree. La “valletta”, in cui erano riunite piante alpine, fu trasformata in “filicetum”.
Durante la sua direzione (1959-1963), Valerio Giacomini mantenne sostanzialmente immutata la situazione lasciatagli in eredità da Catalano.
Nel 1963 la direzione fu assunta da Aldo Merola. Va subito ricordato che fu per l’instancabile opera di questo studioso che si verificarono la rinascita e il rinnovamento dell’Orto botanico di Napoli. La premessa a questa rinascita fu il raggiungimento nel 1967 dell’autonomia amministrativa ed economica della struttura, che tra l’altro consentì di ottenere finanziamenti straordinari, come quello del C.N.R. con il quale, alla fine degli anni ’60, fu possibile la costruzione di un complesso di Serre di 5000 m2. Inoltre, fu realizzato un impianto di riscaldamento nella Serra temperata e furono costruite alcune piccole serre da lavoro.
Con la creazione di una rete di distribuzione idrica, interessante parte dell’Orto, si sopperì ad una grossa carenza: infatti l’acqua era fino ad allora prelevata da un pozzo e convogliata in vasche di raccolta da cui veniva attinta manualmente.
Merola si interessò degli Orti botanici anche a livello legislativo, riuscendo, per quanto possibile, a sensibilizzare il potere politico sui problemi di queste strutture. Il risultato principale da lui ottenuto in tal senso fu la creazione del ruolo di giardiniere degli Orti botanici, che portò ad un incremento di personale specializzato.
La maggiore disponibilità finanziaria permise inoltre l’acquisto di alcune macchine agricole con grande vantaggio per la funzionalità del lavoro.
Come sede degli uffici dell’Orto furono adibiti gli unici tre locali agibili del Castello, mentre il nuovo edificio divenne la sede dell’Istituto di Botanica.
Agli inizi degli anni ’70 fu abolita la “Stazione sperimentale per le piante officinali”, per cui l’area di coltivazione, il personale e le strutture divennero parte integrante dell’Orto.
Le collezioni, estremamente impoverite, furono notevolmente incrementate mediante l’acquisto di piante in diverse parti del mondo e, principalmente, grazie alla raccolta in natura di esemplari vegetali nel corso di spedizioni botaniche cui parteciparono giovani botanici italiani e un illustre botanofilo, il Prof. Luigi Califano. In particolare, furono notevolmente arricchite le collezioni di Cycadales, di specie del genere Tillandsia, di succulente e di felci.
Merola riallacciò i contatti con gli altri Orti botanici europei, favorendo lo scambio di materiale vegetale e di esperienze scientifiche e inserendo, quindi, la struttura da lui diretta in una realtà scientifica a più ampio respiro. L’Orto, così, cominciò ad affrancarsi dal provincialismo che lo aveva caratterizzato dagli inizi del XX secolo. Merola fu anche molto attento nel potenziare il ruolo didattico dell’Orto, corredando tutte le piante con etichette riportanti i dati tassonomici e di distribuzione delle singole specie, creando nuove zone espositive e riorganizzando alcuni settori preesistenti. Nella realizzazione di nuove aree, è stato seguito in alcuni casi un criterio sistematico, in altri un criterio ecologico. L’area delle Pinophyta, l’agrumeto, la vaseria e il palmeto costituiscono esempi di zone a carattere tassonomico, mentre il “deserto”, la “torbiera”, la “spiaggia” e la “roccaglia” rappresentano aree a carattere ecologico in cui si è tentata la ricostruzione di ambienti naturali.

Alla morte di Merola, avvenuta nel novembre del 1980, la direzione fu assunta ad interim da Giuseppe Caputo. In questo periodo la città fu colpita dal disastroso terremoto che arrecò notevoli danni al Castello, così come all’Orto, che fu invaso per alcuni giorni dalla popolazione in cerca di rifugio e persino da mezzi corazzati che intervennero per un’emergenza riguardante l’adiacente Albergo dei Poveri. Liberato con l’ausilio della forza pubblica, l’Orto fu dotato di un servizio di sorveglianza armata, anche per arginare i continui furti perpetrati ai danni della struttura.
Alla fine del 1981 fu nominato direttore Paolo De Luca. La riparazione dei danni causati dal terremoto fu in parte effettuata con i fondi stanziati dal governo per la ricostruzione delle zone colpite dal sisma.
Il Castello, che il sisma aveva parzialmente distrutto, è stato totalmente restaurato. Grazie ai fondi concessi dalla Sopraintendenza ai monumenti, anche la facciata, lunga più di 200 metri, e la Serra monumentale, attualmente dedicata ad Aldo Merola, sono state oggetto di restauro. Il complesso delle nuove serre, dedicate già durante la direzione di Merola a Luigi Califano, sono state dotate di impianti di riscaldamento e di umidificazione, mentre le piccole serre da lavoro sono state ristrutturate. Gli spogliatoi dei giardinieri, in condizioni fatiscenti, sono stati totalmente ricostruiti e dotati di riscaldamento.
La rete idrica è stata completata, cosicché ogni zona dell’Orto è ora raggiunta dall’acqua del pozzo artesiano.
La meccanizzazione del lavoro, iniziata da Merola, è continuata con l’acquisto di molti altri mezzi agricoli. Le collezioni sono state ulteriormente arricchite da esemplari acquistati e da piante raccolte in natura.
Alcune zone, ancora non bonificate da Merola, sono state liberate dai rovi e risistemate; i prati dell’Orto, che versavano in condizioni precarie, sono stati reimpiantati e, inoltre, è stata recuperata alla coltivazione una zona completamente abbandonata del settore in passato ospitante la Stazione sperimentale per le piante officinali. In tale area, oggi denominata “Sezione sperimentale delle Piante Officinali”, sono state inoltre create aiuole ospitanti piante di interesse etnobotanico.
L’agrumeto, ridotto a pochi esemplari della vecchia collezione impiantata verso la metà del XIX secolo, è stato arricchito con molte nuove specie del genere Citrus, alcune cultivar e rappresentanti di altri generi di Rutaceae affini a Citrus.
Alle aree espositive create da Merola, è stata aggiunta la “macchia mediterranea”, una collezione delle piante più rappresentative di questa associazione vegetale.

Descrizione –
Allo stato attuale la superficie dell’Orto botanico di Napoli è di quasi 12 ettari, sui quali sono presenti circa 9000 specie per un totale di quasi 25.000 esemplari raggruppati in collezioni organizzate secondo criteri sistematici, ecologici ed etnobotanici.
Le attività svolte attualmente dall’Orto riguardano, oltre la coltivazione e la presentazione a fini museologici delle collezioni e lo svolgimento di manifestazioni artistiche e culturali, principalmente la ricerca, la didattica e la conservazione di specie rare o minacciate di estinzione.
L’attività di ricerca svolta nell’Orto Botanico riguarda principalmente lo studio delle caratteristiche macro- e micromorfologiche di alcuni gruppi quali ad esempio le Cycadales e le Orchidaceae, lo svolgimento di indagini etnobotaniche presso comunità rurali dell’Italia centro-meridionale e l’analisi di fossili vegetali provenienti da geositi campani.
È inoltre da evidenziare che le collezioni dell’Orto Botanico rappresentano un serbatoio di materiale vegetale utilizzato a scopo di ricerca dai docenti della Sezione di Biologia Vegetale del Dipartimento delle Scienze Biologiche.

Strutture e Collezioni –
Le aree espositive sono disposte secondo tre criteri. Quello sistematico, quello ecologico e quello etnobotanico.
Fanno parte dell’area disposta secondo il criterio sistematico le seguenti zone:
– l’area delle Pinophyta;
– il filiceto, destinato alla coltivazione di felci e piante affini;
– il palmeto;
– l’area delle Magnoliophyta
– l’agrumeto;
– e altre piccole zone dedicate a singole specie.
Secondo il criterio ecologico, troviamo le aree denominate:
– deserto, area destinata ad accogliere le piante succulente;
– spiaggia, che vede coltivate le piante più diffuse, appunto, sulle spiagge italiane;
– torbiera, nella quale vengono coltivate le Cyperaceae;
– roccaglia, destinata all’esposizione di specie tipiche delle zone calcaree degli Appennini;
– macchia mediterranea;
– oltre alle vasche per la coltivazione delle idrofite.
Nella serra tropicale ubicata accanto alla serra Merola è stato riprodotto un mangrovieto con esemplari delle specie Rhizophora mangle, Avicennia nitida, Laguncularia racemosa e Conocarpus erectus.
Infine, l’area etnobotanica è la Sezione sperimentale delle piante officinali.

Guido Bissanti




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