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Basta animali in gabbia

Basta animali in gabbia

Non credo che la civiltà in cui viviamo e di cui ognuno di noi fa parte integrante, con le sue azioni e la sua coscienza, possa assolversi di fronte a comportamenti e, spesso, silenzi, inaccettabili.
La storia umana è cosparsa di fiori e di spine; di arte, poesia, spiritualità ma anche delle più incredibili atrocità.
Guerre e morte continuano a mietere vittime e sofferenza; guerre e soprusi per il dominio, il potere, l’accaparramento di fonti energetiche, cibo ed acqua.
Ma c’è una guerra che passa sotto i nostri occhi e che entra nelle nostre case, sui nostri piatti e di cui, consapevoli o inconsapevoli, siamo artefici e carnefici diretti o indiretti.
Al di la dei sostenitori della cultura vegetariana o vegana anche coloro che nella loro dieta fanno uso di carni non possono più nutrirsi senza una presa di coscienza alimentare.
Non ci si può nutrire di esseri senzienti se questi hanno dovuto vivere una vita di sofferenza e di incredibili atrocità.
Non si può continuare in questa direzione, della civiltà del benessere, se il nostro benessere è pagato caro ed amaro da altri esseri del Pianeta.
E questo è quello che succede, in tutto il mondo, oggi più di ieri nel silenzio più assordante della maggior parte di noi, donne ed uomini civili.

I dati mondiali –
Ogni anno sul pianeta civile Terra vengono allevati circa 70 miliardi di animali. Di questi due animali su tre vengono allevati con metodi intensivi. Tenuti sempre al chiuso, in gabbia, stipati o in spazi ristretti. Trattati come macchine da produzione invece che da esseri senzienti quali sono.
A livello globale il 70% della carne di pollame, il 50% di quella di maiale, il 40% di quella bovina, il 60% delle uova, vengono prodotti in allevamenti intensivi. In Italia 85% dei polli sono allevati intensivamente, oltre il 95% dei suini vivono in allevamenti intensivi, quasi tutte le vacche da latte non hanno accesso al pascolo.
È noto che gli allevamenti intensivi interrompono il legame fra la terra e gli animali: tolgono gli animali dal pascolo e li ammassano invece in capannoni e recinti fangosi.
Gli allevamenti intensivi rappresentano la più grande causa di maltrattamento animale sul pianeta, eppure si continua a parlare di benessere degli animali negli allevamenti.
Se ciò non fosse già troppo, gli animali allevati con metodo “industriale” vengono in genere nutriti con alimenti commestibili come cereali, soia o pesce che potrebbero nutrire invece gli esseri umani.
Dall’altra parte su una popolazione mondiale di 7 miliardi di persone, circa 1 miliardo di esse soffre la fame. Si prevede che la popolazione globale crescerà fino a 9 miliardi entro il 2050.
Se oggi riconvertissimo queste “fattorie della morte e della sofferenza” e piantassimo in un campo tutte le coltivazioni utilizzate per alimentare gli animali da allevamento intensivo arriveremmo a coprire l’intera superficie dell’Unione Europea, o la metà degli Stati Uniti.
I dati ci dicono che un terzo della raccolta mondiale di cereali viene utilizzato per alimentare il bestiame industriale; se questo fosse utilizzato direttamente per il consumo umano sfamerebbe circa 3 miliardi di persone. Inoltre quasi tutta la produzione mondiale di soia viene data come mangime agli animali allevati industrialmente sotto forma di farina di soia. Se data invece alle persone, ne nutrirebbe un miliardo.

Economia e clima –
L’analisi cruda e senza attenuanti ci dice che gli allevamenti industriali non producono cibo, lo sprecano. Per ogni 100 calorie di cereali commestibili utilizzati come mangime per il bestiame, otteniamo solo 30 calorie sotto forma di carne o latte; una perdita del 70%.
Inoltre gli allevamenti intensivi fanno crescere i prezzi del cibo aumentando la domanda di alimenti di base come i cereali in un periodo in cui la capacità mondiale di approvvigionamento si sta riducendo. Basti pensare che, tra gli altri, più di un terzo del pescato complessivo mondiale non raggiunge mai le nostre tavole; una larga parte di esso viene destinata ad alimentare pesci allevati, suini e pollame. Inoltre nel mondo, circa il 40% di tutto il pesce consumato dalle persone è oramai allevato e non è incluso nel summenzionato dato di 70 miliardi di animali.
In questa catena alimentare, che nasce dalla stessa ideologia materialista che ha generato le brutture di Auschwitz, delle guerre mondiali e dei genocidi umani, servono da 2 a 5 tonnellate di pesce selvaggio per produrre 1 tonnellata di pesci carnivori da allevamento come salmone, trota e halibut.
Questo “costume alimentare” fa si che nel mondo un terzo del cibo venga sprecato. Questo cibo costituisce il 28% dei terreni agricoli, per un valore di 750 miliardi di dollari; per intenderci quanto il PIL della Svizzera (che non è poco).
Ma c’è di peggio oltre a fare soffrire gli animali rendiamo la loro sofferenza inutile; infatti nel mondo ogni anno sprechiamo una quantità di carne corrispondente a 12 miliardi di animali allevati, per un valore di 486 miliardi di dollari.
Inoltre ogni anno viene abbattuta un’area di foresta pari alla metà della Gran Bretagna, prevalentemente per coltivare mangime per animali e allevare bestiame.
Dulcis in fundo, a livello mondiale l’industria del bestiame contribuisce al 14.5% delle emissioni di gas serra prodotte dall’uomo: un dato che è maggiore di tutte le nostre macchine, gli aerei, i treni messi assieme.
Con l’allevamento intensivo come traino, il numero degli animali allevati è destinato a raddoppiare entro il 2050.

Malattie e salute –
A corollario di quanto esposto, come se non bastasse, si aggiunge il quadro delle malattie indotte direttamente ed indirettamente dagli allevamenti intensivi; per esempio si è riscontrato che le forme gravi di Salmonella, il batterio che causa intossicazione alimentare, hanno sei volte in più la probabilità di verificarsi negli allevamenti in batteria piuttosto che in allevamenti non in gabbia.
Oltre a varie malattie e contaminazioni, legate agli allevamenti intensivi, metà degli antibiotici utilizzati nel mondo e circa l’80% di quelli usati negli Stati Uniti vengono somministrati agli animali da allevamento, principalmente per tenere lontane malattie altrimenti inevitabili negli allevamenti industriali. Pratica che contribuisce a creare l’emergenza dei superbatteri resistenti agli antibiotici.
La FAO ha dichiarato che “globalmente, si ritiene che la maggior parte dei casi di HPAI (Influenza Aviaria Altamente Patogena) siano stati originati dalla mutazione di un virus a bassa patogenicità, derivato dagli uccelli acquatici, in un virus altamente patogeno di HPAI, attraverso il passaggio nei polli domestici.
Inoltre gli animali allevati intensivamente e alimentati a grano producono carne con una concentrazione maggiore dei poco salutari grassi saturi, con meno proteine e con un valore nutrizionale più povera di quella degli animali allevati al pascolo.
Attualmente un tipico pollo da supermercato, allevato intensivamente, contiene circa il triplo di grassi e un terzo in meno di proteine di 40 anni fa.

Risorse ed inquinamento –
Per allevare gli animali in maniera intensiva si richiedono enormi quantità d’acqua: in media ci vogliono 22 vasche da bagno per un chilo di polli, 27 vasche per un chilo di suini e 90 per un chilo di manzo.
Il tutto mentre circa 2 miliardi di persone al momento stanno soffrendo per la scarsità di risorse idriche ed è probabile che questo numero cresca a 4-7 miliardi entro il 2050, ovvero più della metà della popolazione mondiale.
A questo aggiungiamo che una tonnellata di mais prodotto con l’agricoltura estensiva (alimento base per il bestiame degli allevamenti intensivi) richiede l’equivalente di un barile di petrolio per essere prodotto. L’agricoltura biologica e a maggior ragione le pratiche basate sull’agroecologia sono più efficienti energeticamente dell’agricoltura convenzionale.
Infatti l’impatto dell’allevamento intensivo va molto al di là dei confini dei “lager” in cui sono allevati gli animali; un enorme superficie di terreno è dedicata alle monocolture chimiche di cereali e soia per il mangime degli animali.
Alcuni uccelli sono scomparsi; specie una volta comuni come l’allodola, la tortora ed altre sono diminuite sensibilmente, per via dell’allevamento intensivo e dei cereali.
In tutto il mondo l’erosione degli habitat, per favorire il connubio produzioni cerealicole/zootecnia intensiva, sta producendo una diminuzione della biodiversità impressionante in soli 50 anni.
Gli allevamenti intensivi non solo sono energivori, utilizzando mangimi concentrati, intensa meccanizzazione e bassi standard lavorativi ma sono anche la causa principale di una diminuzione delle risorse e della biodiversità che rischia di far precipitare il Pianeta, con tutti i suoi passeggeri, negli abissi di un’epoca senza ritorno.

Eppure siamo nel 21°secolo: viviamo in tempi bui ed è il momento di assumere una coscienza retta, netta: è giunto il momento di andare verso forme di produzione e di allevamento che portino vero benessere e vera pace.
A discapito di quello che ci propinano le multinazionali della grande distribuzione e dell’alimentazione industriale, sul Pianeta potrebbero vivere più persone in condizioni di dignità e potrebbero coesistere allevamenti di cui non dobbiamo vergognarci: è giunto il momento che la zootecnia si evolva e si introducano sistemi alternativi di allevamento.
È il momento di dire basta alle gabbie, in nome del diritto degli animali a vivere almeno una vita degna, in sistemi più rispettosi del loro benessere.
Non possiamo più pensare di incentivare, con i soldi dei contribuenti, programmi (come il PSR) che destinano ancora fondi agli allevamenti intensivi. Ci offende e ci rende complici.
Questa è, tra l’altro, la direzione indicata da Compassion in World Farming (CIWF), che è la maggiore organizzazione internazionale senza scopo di lucro per il benessere e protezione degli animali da allevamento.
Questa è la direzione della campagna “End the Cage Age” che cerca di porre fine all’uso delle gabbie per centinaia di milioni di animali che vivono questo incubo in allevamenti di tutta Europa.
Si tratta di una iniziativa frutto della sinergia di 170 associazioni in tutta Europa, di cui 20 italiane. Un’enorme coalizione di ONG che sensibilizza il pubblico ed esercita pressioni sui governi nazionali e sulle istituzioni europee.
Alla campagna End the Cage Age, negli ultimi tempi, si sono uniti un gruppo internazionale di scienziati che hanno inviato una lettera a sostegno dell’appello dei cittadini europei per porre fine all’uso delle gabbie per gli animali allevati in tutta l’UE. Tra gli scienziati, l’etologa e conservazionista Jane Goodall, Messaggero di Pace delle Nazioni Unite e fondatrice del Jane Goodall Institute. La lettera chiede alla Commissione europea di eliminare gradualmente l’uso di tutte le gabbie negli allevamenti.
Credo che sia giunto il momento di una presa di posizione netta da parte di tutti noi.
Non si tratta di una battaglia per la esclusiva difesa dei diritti degli animali: è una lotta per affermare il diritto alla Vita ed alla vita dignitosa di tutti gli essere viventi; perché è sempre più chiaro che il principio su cui si basa la Vita non coincide con i principi messi in piedi negli ultimi tempi dalla nostra “civiltà”.
È tempo di uscire dall’oscurantismo dominato da un capitalismo subdolo, bugiardo e spietato.

Guido Bissanti




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