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Agricoltura: si ritorna alla trazione animale

Agricoltura: si ritorna alla trazione animale

Parlare di trazione animale in agricoltura sembra anacronistico e, come al solito, sembrerebbe ci si possa prestare anche alla derisione dei soliti modernisti.
La trazione animale in agricoltura chiaramente non è una novità. Anzi, prima della meccanizzazione dell’agricoltura era l’unico e prezioso mezzo cui i contadini facevano affidamento. Paradossalmente oggi si propone quale alternativa per la sua economicità ed efficienza. La trazione animale, ossia la reintroduzione degli animali (asini, cavalli, muli) nelle lavorazioni nei campi è la nuova frontiera di un mondo agricolo che, rinsavendo gradualmente dalle illusioni di un modello rurale poco percorribile di tipo industriale, sta ritornando all’antico ma con le conoscenze e tecnologie del moderno.
Lo stesso Jeremy Rifkin nella sua opera: Entropia, afferma quanto segue: Energeticamente ….”un contadino con un bue e un aratro ottiene delle rese migliori, in termini di energia spesa, che non le gigantesche fattorie meccanizzate dell’America dei nostri tempi”….
A leggere queste affermazione e tutte quelle contenute nel capitolo sull’agricoltura di questo interessantissimo libro si comprende quanto poco ortodossa sia stata gran parte della meccanizzazione agricola.
È evidente che non stiamo criminalizzando la meccanizzazione agricola ma vogliamo analizzarla criticamente e valutare li dove è possibile, come oramai si va diffondendo sempre più nel mondo, il ritorno degli animali da trazione che non svolgono solo funzioni meccaniche ma anche ecologiche.
Che la trazione animale sia economica ed efficiente e soprattutto a impatto ambientale non “zero”, bensì positivo, non lo sostiene ovviamente solo Jeremy Rifkin ma ne sono convinti oramai molti agricoltori che stanno sperimentando e ripromuovendo questa tecnica.
È chiaro che questa reintroduzione dovrà coinvolgere nuovamente una nuova classe di contadini, fabbri, sellai, maniscalchi, studenti universitari, e tanti “neofiti” che guardano con rinnovato interesse a questa possibilità.
Il ritorno degli equidi (o dei buoi) si sta rendendo sempre più necessario per i seguenti motivi:

  • Aumento dei costi di produzione;
  • Ribasso della redditività e l’impatto dei costi di mantenimento dei mezzi agricoli meccanici nel bilancio delle realtà contadine;
  • Maggiore versatilità degli animali rispetto a tecnologie oggi forse troppo avanzate per aziende di piccole e medie dimensioni;
  • Eccessiva diminuzione della sostanza organica nelle aziende non più compensata dalla presenza degli animali in azienda.

In Italia, la trazione animale era ancora in uso fino a mezzo secolo fa. Basti pensare che in Piemonte l’unità di misura dei campi è la “giornata”, ossia l’area che un animale riusciva a lavorare nell’arco di una giornata di lavoro, giusto a dire che la saggezza antica ancora permea il vocabolario moderno. Mentre in Italia c’è stato il totale abbandono di questa pratica, in Francia c’è stata un’evoluzione degli attrezzi che sono, oggi, tecnologicamente all’avanguardia e stanno aprendo nuovi scenari fino a pochi anni fa impensabili. Un’evoluzione possibile, dunque, per tutti coloro che desiderano evolvere in maniera intelligente il proprio lavoro in azienda.
D’altronde, oggi ai quattro punti sopra citati, i costi di mantenimento di un animale da soma non sono paragonabili a quelli di mantenimento di un mezzo agricolo (carburante, manutenzione, cambio gomme e la preghiera quotidiana che non si guasti, se i mezzi non son più nuovi). L’efficienza è garantita e maggiore anche in termini energetici (basta fare un piccolo calcolo termodinamico per comprenderne il senso.
Ma non soltanto, come detto, perché a beneficiare dell’uso degli animali è la stessa terra. La composizione chimico-fisica del terreno cambia in senso migliorativo nell’arco di pochissimi anni. Oltre agli apporti di sostanza organica, soprattutto nelle vigne, ad esempio, il trattore pesta sempre nello stesso punto, sia che sia gommato sia che sia cingolato. Il terreno viene dunque costipato, impedendo il ricambio di ossigeno e il lavoro dei microrganismi, impoverendolo progressivamente. Al contrario, una vigna il cui terreno è lavorato dagli animali ha bisogno di meno trattamenti perché è più forte. Ecco che così si genera una coazione virtuosa tra animale, terreno e pianta.
Adesso la parola deve passare alle Università che, se vogliono uscire dalle difficoltà imposte da stupide ed insensate politiche sulla Ricerca possono trovare nuovi filoni realmente virtuosi.

Guido Bissanti




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