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Programmi Rurali al 2030

Programmi Rurali al 2030 – Sotto accusa il PSR e la valutazione economica degli investimenti rurali

I programmi Rurali del futuro p.v. sembrerebbero non andare più d’accordo con l’intero impianto della PAC e dei programmi di Sviluppo Rurale messi in piedi dall’U.E. e validi (slittamenti a parte) per il periodo 2014-2020.
Le aree rurali, troppo a lungo considerate trappole di povertà, sono la chiave per la crescita economica dei paesi in via di sviluppo, sono però necessarie trasformazioni per sbloccare il loro potenziale di aiutare a nutrire e dare lavoro ad un pianeta più giovane, più affollato ma anche più bisognoso di una nuova cultura ecosofica.
Come è noto il termine ecosofia è stato utilizzato per la prima volta dal filosofo Arne Næss all’università di Oslo nel 1960, ed è il fondamento del movimento di Ecologia profonda, che invita ad un rovesciamento della prospettiva antropocentrica: l’uomo non si colloca alla sommità della gerarchia dei viventi, ma si inserisce al contrario nell’ecosfera; l’uomo è una parte nel Tutto.
Con questo nuovo approccio e con il giusto mix di investimenti e politiche, le zone rurali possono diventare terre di opportunità economiche.

Il nuovo rapporto della FAO pubblicato nel mese di ottobre del 2017 sottolinea come occorra mettere i milioni di giovani dei paesi in via di sviluppo che entrano nel mercato del lavoro nelle condizioni di non dover scappare dalle aree rurali per sfuggire alla povertà.
Infatti le aree rurali (purtroppo sempre più vuote in vaste aree del nostro Paese per una errata e non più proponibile Politica Agricola dell’U.E.) hanno un vasto potenziale di crescita economica legato alla produzione alimentare e ai settori ad essa connessi. E con la maggioranza dei poveri e degli affamati del mondo che vivono in queste aree, il raggiungimento dell’agenda di sviluppo 2030 dipenderà dal riuscire a sbloccare quel potenziale ancora inutilizzato.
Il rapporto fa notare come sia ampiamente dimostrato che i cambiamenti nelle economie rurali possono avere un grande impatto. A partire dagli anni ‘90 alle trasformazioni delle economie rurali si deve il merito di aver aiutato centinaia di milioni di persone rurali a venir fuori dalla povertà.
Tuttavia, questo progresso è stato irregolare e la crescita demografica ed i modelli dell’economia globale stanno aumentando il problema.
Si prevede che tra il 2015 e il 2030, la fascia di popolazione compresa tra i 15 ei 24 anni di età aumenterà  di circa 100 milioni raggiungendo 1,3 miliardi di persone. Quasi tutto questo aumento avrà luogo nell’Africa sub-sahariana dove la parte del leone la faranno le zone rurali.
Tutto ciò passa soprattutto attraverso una riconsiderazione urbanistica e di correlazione, soprattutto dei piccoli centri, con le aree rurali.
Così il rapporto della FAO “Invita i decisori politici a riconoscere il ruolo catalitico dei piccoli centri urbani come mediatori tra il mondo rurale e urbano, e a fornire ai piccoli agricoltori maggiori opportunità per commercializzare i loro prodotti e per condividere i benefici della crescita economica”.
Lo Stato dell’alimentazione e dell’agricoltura sostiene che le trasformazioni necessarie nelle economie rurali possono essere messe in moto sfruttando la crescente domanda di cibo nelle aree urbane per diversificare i sistemi alimentari e generare nuove opportunità economiche da attività agricole e non agricole.
Questo include le imprese che trasformano, o imballano, o trasportano e immagazzinano, o commercializzano o vendono alimenti, così come aziende che forniscono fattori produttivi come sementi, utensili, attrezzature e fertilizzanti o forniscono irrigazione, lavorazione del terreno o altri servizi.
Il rapporto fa notare che la domanda crescente proveniente dai mercati alimentari urbani ammonta attualmente fino al 70% dei prodotti alimentari nazionali, anche nei paesi con grandi popolazioni rurali.
Ciò comporta un diverso approccio all’economie rurali non più ipotizzabile solo in termini di redditività economica semplice ma in termini di sostenibilità umana, ecologica ed energetica.
L’intero impianto delle sostenibilità finanziarie degli investimenti in agricoltura va totalmente rivisto facendo di fatto uscire come bocciati tutti gli algoritmi di rendimento implementati dai moderni economisti ed applicati in agricoltura.
Gli indici di redditività che sono volti a misurare la capacità delle diverse aree di gestione di generare un certo rendimento del capitale investito in azienda e che mettono a confronto un risultato economico con il capitale impiegato per ottenerlo (tra cui ROE, ROI, ROS, ecc.) non possono essere più applicati così superficialmente nell’economia rurale senza mettere nel bilancio altri indici come gli “Indicatori di sostenibilità ambientale” che, gioco forza, cambiano completamente il criterio ed il concetto di redditività di un’attività agricola e quindi di una Economia Rurale.
Purtroppo nonostante le belle raccomandazioni della FAO il rapporto rimane vuoto di proposte concrete e, se non si rivede l’approccio ecosofico della programmazione e della progettazione in agricoltura, con un ribaltamento della piramide cognitiva, si rischia di fare bei proclami senza alcun costrutto.
In questo senso la decisione non può essere lasciata in mano agli attori economico-finanziari (alias banche) in quanto l’approccio non è più squisitamente di rendita finanziaria ma di efficienza ecologica e di conseguenza di sostenibilità sociale.
Se non si esce da questo equivoco, maldestramente provocato da una moderna scuola economica di filosofia postindustriale, rischiamo di farci ancora del male e di disorientare ancor di più la spaesata Politica.

Guido Bissanti




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