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Myrtus communis

Myrtus communis

Il mirto (Myrtus communis L., 1753) è una pianta a portamento arbustivo della famiglia delle Myrtaceae. È una pianta tipica della macchia mediterranea  sempreverde longeva che, in alcune condizioni, può essere secolare.

Sistematica –
Dal punto di vista sistematico il mirto appartiene al Dominio Eukaryota, Regno Plantae, Divisione Magnoliophyta, Classe Magnoliopsida, Sottoclasse Rosidae, Ordine Myrtales, Famiglia Myrtaceae e quindi al Genere Myrtus ed alla Specie M. communis.

Etimologia –
Secondo alcuni ricercatori il nome generico sembra che derivi da Myrsine; costei era una leggendaria fanciulla greca, uccisa da un giovane da lei battuto nei giochi ginnici e trasformata da Pallade in un arbusto di Mirto. Il nome specifico invece indica la frequenza della diffusione di questa specie. Il nome utilizzato in Itali di Mortella, deriva dalla mortadella, perché questa in passato veniva aromatizzata con le sue foglie.

Distribuzione Geografica ed Habitat –
Il Mirto, insieme all’Olivastro, al Lentisco, al Rosmarino ed ai Cisti e ad altre specie è uno dei principali componenti della macchia mediterranea bassa; è frequente sui litorali, dune fisse, garighe e macchie, dove vive in consociazione con altri elementi caratteristici della macchia. Questa pianta tende a formare densi cespugli resistenti al vento nelle aree a clima mite. Si adatta molto bene a qualsiasi tipo di terreno anche se predilige un substrato sabbioso e tollera bene la siccità. Lo si trova tra il livello del mare e i 500 m s.l.m..

Descrizione –
Il Myrtus communis  ha un portamento arbustivo o di piccolo alberello, alto da 50 a 300 cm, molto denso. In piante mature e molto vecchie può arrivare a 4-5 m. ha una corteccia rossiccia nei rami giovani che col tempo assume un colore grigiastro.
Le foglie del mirto sono opposte, sempreverdi, ovali-acute, coriacee, glabre e lucide, di colore verde-scuro superiormente, a margine intero, con molti punti traslucidi in corrispondenza delle glandole aromatiche.
I fiori di questa pianta sono solitari e ascellari, profumati, lungamente peduncolati, di colore bianco o roseo. Hanno simmetria raggiata, con calice gamosepalo persistente e corolla dialipetala. L’androceo è composto da numerosi stami ben evidenti per i lunghi filamenti. L’ovario è infero, suddiviso in 2-3 logge, terminante con uno stilo semplice, confuso fra gli stami e un piccolo stimma.
La fioritura di questa specie si manifesta in maniera abbondante dalla tarda primavera  all’inizio dell’estate (maggio – luglio). Un evento piuttosto frequente è la seconda fioritura che si può verificare in tarda estate, da agosto a settembre e, con autunni caldi, in ottobre.
I frutti sono delle bacche globoso-ovoidali di colore nero-azzurrastro fino al rosso-scuro, (in alcune varietà possono essere biancastri), con numerosi semi reniformi. Questi maturano da novembre a gennaio persistendo per un lungo periodo sulla pianta.

Coltivazione –
Per la coltivazione di questa pianta si deve considerare che il mirto è una pianta rustica.  Si adatta pertanto abbastanza bene ai terreni poveri e siccitosi ma trae vantaggio sia dagli apporti idrici estivi sia dalla disponibilità d’azoto manifestando in condizioni favorevoli uno spiccato rigoglio vegetativo e un’abbondante produzione di fiori e frutti. Vegeta preferibilmente nei suoli a reazione acida o neutra, in particolare quelli a matrice granitica, mentre soffre i terreni a matrice calcarea.
Di questa pianta esistono numerose varietà coltivate a scopo ornamentale come il Myrtus communis var. variegata (alta fino a 4,50 m), con foglie dalle eleganti striature colorate di bianco-crema e fiori profumati. Esistono anche varietà nane usate per coltivazione in vaso oppure altre ancora con fiori colorati e più grandi. L’interesse economico che sta riscuotendo questa specie in Sardegna ha dato il via negli anni novanta ad un’attività di miglioramento genetico da parte del Dipartimento di Economia e Sistemi Arborei dell’Università di Sassari, che ha selezionato oltre 40 cultivar fino al 2005. Lo scopo di questo miglioramento genetico è stato quello della produzione di bacche da destinare alla produzione del liquore di mirto. Negli ultimi una ulteriore ricerca è stata rivolta alla valutazione di questa specie  per la produzione dell’olio essenziale.
Dal punto di vista della propagazione il mirto può essere riprodotto per talea o per seme.
La riproduzione è utile per clonare ecotipi o varietà di particolare pregio da utilizzare in mirteti intensivi, perché consente di ottenere piante vigorose e precoci, in grado di fruttificare già nelle fitocelle dopo un anno. Per aumentare la percentuale di radicazione si fa spesso ricorso a tecniche per incrementare il potere rizogeno quali il riscaldamento basale e il trattamento con fitoregolatori oltre che al mantenimento di una buona umidità.
Si consiglia invece la riproduzione per seme, per la sua semplicità e per i costi bassissimi, per attività amatoriali. Le piante ottenute da seme sono meno vigorose e difficilmente entrano in produzione prima dei quattro anni. La semina va fatta nel periodo di maturazione delle bacche, nei mesi di dicembre-gennaio, in quanto i semi perdono ben presto il potere germinativo. Nel semenzaio si sbriciolano le bacche semi appassite, distribuendo uniformemente il seme con una densità di 3-4 semi per centimetro quadrato e ricoprendolo con uno strato leggero di terriccio, dopo di che ci si deve preoccupare di irrigare frequentemente e moderatamente. Il semenzaio va mantenuto ben riparato, all’aperto nelle regioni ad inverno mite, in serra nelle zone ad inverno rigido. Le piantine vanno trapiantate in vasetti o in fitocelle della capacità di mezzo litro quando hanno raggiunto un’altezza di 4–6 cm.
L’impianto del mirteto si esegue con gli stessi criteri applicati nella frutticoltura e nella viticoltura. Il terreno va preparato con lo scasso e la superficie sistemata con le lavorazioni complementari, in occasione delle quali si può valutare l’opportunità di una concimazione di fondo su terreni particolarmente poveri.
Il sesto d’impianto più adatto per la meccanizzazione della coltura è di 1 x 3-3,5 metri, con un investimento di circa 3.000 piante ad ettaro. Le piante, omogenee per età e cultivar, vanno messe a dimora in autunno o al massimo entro l’inizio della primavera per facilitare l’affrancamento. Si possono impiegare anche piante di un anno d’età provenienti da un vivaio, in quanto in grado di fornire una prima produzione già al secondo anno.
Il sistema d’allevamento più vicino al portamento della pianta è la forma libera a cespuglio. Con questo sistema in pochi anni le piante formano una siepe continua che richiede pochi interventi di potatura anche se negli ultimi anni si sta utilizzando la forma di allevamento ad alberello. Con questo sistema le piante sono costituite da un fusto alto circa 50 cm con chioma libera. In questo caso sono richiesti interventi di potatura più drastici per correggere il naturale portamento cespuglioso della pianta e l’allestimento di un sistema di sostegno basato su pali e fili. Il mirto fruttifica sui rametti dell’anno, pertanto la potatura dovrebbe limitarsi ad interventi di contenimento dello sviluppo e di ringiovanimento, oltre alla rimozione dei nuovi getti basali nel sistema ad alberello.
Per la sua rusticità e la capacità di competizione il mirto richiede per lo più il controllo delle infestanti con lavorazioni superficiali nell’interfila, qualora si adotti un sistema d’allevamento a cespuglio, e sulla fila nei primi anni e soprattutto con l’allevamento ad alberello. In caso di coltura in asciutto si opera secondo i criteri dell’aridocoltura con lavorazioni più profonde nell’interfila per aumentare la capacità d’invaso.
Nonostante il mirto si avvantaggi positivamente della concimazione azotata in quanto la produzione è potenzialmente correlata allo sviluppo vegetativo primaverile si sconsiglia l’uso indiscriminato di questa tecnica in quanto incide sulla qualità organolettica che sulla suscettibilità alle avversità parassitarie. Gli interventi vanno pertanto operati con molta oculatezza e si consiglia comunque apporti di sostanza organica o consociazione con leguminose. In questo modo si diminuisce l’alternanza di produzione senza forzare gli aspetti vegetativi a decremento delle qualità organolettiche della pianta e dell’ecosistema.
La tecnica di irrigazione è indispensabile per garantire buone rese ma anche qui va concretamente utilizzata in funzione delle rese ottenibili e delle qualità organolettiche della pianta. Si ricorda che il Mirto resiste bene a condizioni di siccità prolungata e potrebbe essere coltivata anche in asciutto anche se, in questo caso, si hanno rese più basse. Le dimensioni delle bacche inoltre sono piuttosto piccole e rendono proibitiva la raccolta con la brucatura o la pettinatura. Tre o quattro interventi irrigui di soccorso nell’arco della stagione estiva possono migliorare sensibilmente lo stato nutrizionale delle piante e di conseguenza le rese. I migliori risultati si ottengono naturalmente con irrigazioni più frequenti adottando sistemi di microirrigazione con turni di 10-15 giorni secondo la disponibilità e il tipo di terreno. I volumi stagionali ordinari possono probabilmente oscillare dai 1.000 ai 3.000 metri cubi ad ettaro.
Tradizionalmente la raccolta nella macchia è eseguita con la brucatura o con l’impiego di strumenti agevolatori (pettini forniti di contenitori per l’intercettazione), questi ultimi in grado di aumentare leggermente la capacità di lavoro. Si deve invece assolutamente evitare il sistema di tagliare i rami e lasciarli appassire per qualche giorno in modo da staccare le bacche con la semplice scrollatura. Questa tecnica comporta un grave impatto ambientale se ripetuta negli anni.
Le rese possono variare sensibilmente secondo le condizioni operative. Le rese effettive nella macchia dipendono dalle caratteristiche intrinseche dell’associazione floristica, con particolare riferimento alla percentuale di copertura del mirto, dall’andamento climatico della stagione, dalle condizioni pedologiche.
In Sardegna in diverse stazioni si sono rilevate rese variabili da poche decine di kg fino ai  200 kg ad ettaro. Negli impianti intensivi si possono realizzare rese intorno ai 4-6 t ad ettaro in regime irriguo e con investimenti di 3.000-3.500 piante.

Usi e Tradizioni –
Al Mirto sono attribuite proprietà balsamiche, antinfiammatorie, astringenti, leggermente antisettiche, pertanto trova impiego in campo erboristico e farmaceutico per la cura di affezioni a carico dell’apparato digerente e del sistema respiratorio. Dalla distillazione delle foglie e dei fiori si ottiene una lozione tonica per uso eudermico. La resa in olio essenziale della distillazione del mirto è alquanto bassa.
I costituenti principali del Myrtus communis sono: mirtolo, contenente mirtenolo, geraniolo, alfa-pinene, limonene, cineolo, tannini e resine.
Gli oli più apprezzati di questa specie provengono dalla Corsica e dalla Sardegna.
Si utilizzano i suoi principi attivi  per uso interno in caso di infezioni urinarie, perdite vaginali, congestione bronchiale, tosse secca e per uso esterno contro l’acne (olio) infezioni gengivali ed emorroidi.
Il prodotto più importante però, dal punto di vista quantitativo, è rappresentato dalle bacche, utilizzate per la preparazione del liquore di mirto propriamente detto, ottenuto per infusione alcolica delle bacche attraverso macerazione o corrente di vapore. Un liquore di minore diffusione è il Mirto Bianco, ottenuto per infusione idroalcolica dei giovani germogli, erroneamente confuso con una variante del liquore di mirto propriamente detto ottenuto per infusione delle bacche di varietà a frutto non pigmentato.
I principi attivi del Myrtus communis sono facilmente assorbiti e conferiscono all’urina un aroma di violetta entro 15 minuti dall’ingestione.
L’olio è impiegato in profumeria, nella preparazione di saponi e cosmetici.
L’essenza tratta dai fiori è usata in profumeria e cosmetica, nota come “Acqua degli angeli” o “Acqua angelica” ed è un ottimo tonico astringente.
Il decotto delle foglie aggiunto all’acqua del bagno, svolge un’azione tonificante.
In cucina le foglie possono essere utilizzate per insaporire piatti di carne e pesce, per aromatizzare carni insaccate e olive.
I frutti vengono usati per produrre liquori, famoso è il Mirto sardo, ma anche per aromatizzare l’acquavite in alcune zone, per sostituire altre spezie, ad esempio il pepe, ma sono anche appetiti da numerose specie ornitiche e da diversi ungulati.
Nella tradizione gastronomica sarda il mirto è un’importante condimento per aromatizzare carni sia arrosto che bollite.
Per l’intenso profumo i fiori di Mirto, sono impiegati nella realizzazione di pot-pourri.
Il legno, duro, può essere impiegato per la fabbricazione di piccoli oggetti al tornio o per farne manici e bastoni.  Inoltre il Mirto può essere utilizzato come combustibile in quanto fornisce buona legna da ardere e ottimo carbone. Infine si ricorda che le foglie, ricche di tannino, sono utilizzabili per la concia delle pelli.
Ma tra tutti gli utilizzi certamente il liquore di Mirto che sino a pochi anni fa occupava un mercato di nicchia a livello regionale, ora ha conquistato il mercato nazionale; la domanda di materia prima principalmente soddisfatta dai raccoglitori stagionali, ha portato ad una notevole pressione antropica sulla vegetazione spontanea, non più sostenibile; per questo motivo in Sardegna da anni si sta promuovendo la coltivazione in impianti specializzati.
I riferimenti storici e le leggende intorno al Mirto si perdono nella notte dei tempi. Nell’antica Grecia, questa pianta era sacra ad Afrodite, dea dell’amore e della bellezza, mentre per i Romani sacra a Venere, era simbolo di trionfo e di vittoria; era fra le piante considerate simbolo di Roma, nel Foro un’antica ara era consacrata a Venere Mirtea; pare infatti che la dea dopo essere nata dalle acque del mare di Cipro, accortasi che un satiro la spiava, corresse a nascondersi dietro un cespuglio di Mirto per nascondersi dagli sguardi concupiscenti del satiro. In quei tempi con i suoi rami si intrecciavano ghirlande con le quali si incoronavano poeti ed eroi.
I fiori, forse per il colore candido, erano considerati simbolo di verginità e di amore puro e venivano impiegati per ornare il capo delle giovani spose e per addobbare i tavoli durante i banchetti nuziali.
In Mesopotamia i rami del Mirto venivano bruciati per prevenire il contagio di malattie infettive. I persiani usavano le foglie mettendole a contatto direttamente con i piedi, contro sudore, proprio come si fa oggi, con le solette antisudore, mentre il suo legno odoroso, veniva bruciato nelle cerimonie religiose antiche.
L’impiego fitocosmetico del mirto risale al medioevo: con la locuzione di Acqua degli angeli, s’indicava l’acqua distillata di fiori di mirto.
Ai nostri tempi gli Ebrei lo usano durante il Sukkoth (festa delle capanne), funzione sinagogale che prevede la presenza di 4 specie legnose, fra cui il Mirto (hadas).
In Medio Oriente, i fiori, vengono ancor oggi impiegati per confezionare bouquet da sposa.
Il mirto è una ottima  pianta mellifera e con questa si può ottenere un buon miele. Ad oggi questo miele si produce solo in Sardegna ed in Corsica dove è molto diffusa questa pianta.
Il mirto è bottinato dalle api per ottenere il polline. Il miele monoflora di mirto è piuttosto raro: per definizione il 90% del polline di un miele monoflora deve essere costituito da polline di mirto, ma va precisato che il mirto non produce nettare, essendo il fiore privo di nettari. Trattandosi di una specie comunemente presente in associazioni fitoclimatiche questa pianta contribuisce alla produzione del miele millefiori o di altri mieli monoflora.
Il Mirto per la sua abbondante e suggestiva fioritura in tarda primavera o inizio estate o la presenza per lungo tempo delle bacche (di colore nero bluastro o rossastro o rosso violaceo) nel periodo autunnale rendono questa pianta adatta per ravvivare i colori del giardino come arbusto isolato, allevato a cespuglio o ad alberello o per le sue densissime siepi: in condizioni ambientali favorevoli è in grado di formare una fitta siepe medio alta in pochi anni. Le foglie, relativamente piccole, e la notevole capacità di ricaccio vegetativo lo rendono adatto a formare siepi modellate geometricamente con la tosatura, ma può anche essere allevato a forma libera e sfruttare in questo caso lo spettacolo suggestivo offerto prima dalla fioritura poi dalla fruttificazione.

Modalità di Preparazione –
Le foglie di Mirto possono essere utilizzate per insaporire piatti di carne e pesce e per aromatizzare carni insaccate, mentre i  frutti vengono usati, come detto, per produrre liquori, ma anche per sostituire altre spezie, ad esempio il pepe.
Nella tradizione gastronomica sarda il mirto è un’importante condimento per aromatizzare alcune carni: i rametti sono tradizionalmente usati per aromatizzare il maialetto arrosto, il pollame arrosto o bollito e soprattutto sa taccula o grivia, un semplice ma ricercato piatto a base di uccellagione bollita (tordi, merli, storni). L’uso del mirto come aroma per le carni non è comunque una prerogativa esclusiva dei sardi: la letteratura nel Web riporta ad esempio riferimenti anche per altre cucine regionali e per la cucina spagnola.
La popolarità ha ispirato la ricerca negli ultimi anni di nuove utilizzazioni in campo alimentare che però non hanno riscosso grande successo. In particolare si citano il thè freddo al mirto e il gelato al gusto di mirto.
Nella tradizione delle diverse regioni italiane e di altre aree mediterranee si usano parti diverse della pianta. I frutti si utilizzano freschi o per preparare buone marmellate ma in cucina si utilizzano anche i fiori e le foglie per aromatizzare molte preparazioni, dalle olive in salamoia alle marinate e ai condimenti per carni, specie se grigliate e in  particolare per quelle di maiale. Questi usi sono presenti anche in molti riferimenti letterari antichi. Le bacche mature e seccate vengono utilizzate invece in alcuni luoghi come sostituti del pepe e in alcune località vengono mangiati i boccioli fiorali non ancora aperti o gli stessi fiori, dopo che hanno svolto la funzione di decorare insalate. La pianta è sostanzialmente usata allo stesso modo anche in Grecia e in Spagna. Gli usi e i prodotti più noti sono tuttavia quelli liquoristici. Si va dai liquori semplicemente aromatizzati al mirto al vero e proprio “Liquore di Mirto” propriamente detto, ottenuto da un procedimento di infusione delle bacche, al c. d. “Mirto bianco”, per il quale vengono utilizzati i germogli. Del Liquore di Mirto la Sardegna ha fatto quasi un simbolo dell’Isola, trasformandolo negli ultimi tempi da prodotto di nicchia a prodotto da mercato nazionale. Dalla Sardegna provengono del resto diverse preparazioni tipiche, insaporite o aromatizzate col mirto, come appunto “sa taccula”, piatto costituito da un bollito di uccellagione.

Guido Bissanti

Fonti
– Wikipedia, l’enciclopedia libera.
– Treben M., 2000. La Salute dalla Farmacia del Signore, Consigli ed esperienze con le erbe medicinali, Ennsthaler Editore
– Pignatti S., 1982. Flora d’Italia, Edagricole, Bologna.
– Conti F., Abbate G., Alessandrini A., Blasi C. (a cura di), 2005. An annotated checklist of the Italian vascular flora, Palombi Editore.

Attenzione: Le applicazioni farmaceutiche e gli usi alimurgici sono indicati a mero scopo informativo, non rappresentano in alcun modo prescrizione di tipo medico; si declina pertanto ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.




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