Un Mondo Ecosostenibile
Pianeta Agricoltura

I Fattori Esogeni della Riforma Rurale

I Fattori Esogeni della Riforma Rurale

In questa sezione analizziamo, in maniera più approfondita, I fattori esterni che hanno una incidenza rilevante negli equilibri del settore agricolo.
1. Squilibrato rapporto costi/ricavi del settore agricolo per l’elevato costo dei fattori produttivi (prodotti di sintesi, carburanti, macchine, ecc.): L’agricoltura è l’attività produttiva a più alta naturalità; equivale a dire che il suo processo produttivo non può essere disancorato dagli equilibri ecosistemici. Il voler insistere, come purtroppo viene fatto nei Paesi occidentali, con un sistema agricolo di tipo “industriale” ha portato all’uso indiscriminato di fattori produttivi che hanno diminuito notevolmente l’efficienza termodinamica del sistema rurale, con conseguente innalzamento dei costi di produzione e correlata diminuzione dei ricavi. I processi produttivi devono essere rinaturalizzati, recuperando le caratteristiche produttive proprie degli ecosistemi – Il costo dei fattori produttivi esterni sarà sempre più elevato (carburanti, prodotti di sintesi, ecc.) mentre i ricavi, con questo modello dipendente da mercati sempre più globali, sempre minori. Il modello produttivo deve essere quindi più chiuso (con una entropia minore) e l’uso di tecniche e fattori della produzione quanto più interni possibili (maggiore uso delle rotazioni, della biodiversità interna, delle energie endogene aziendali).
2. Elevata percorrenza delle merci (e dei fattori di produzione) con notevole incidenza sia sui costi che sulla emissione di CO2 (protocollo di Kyoto): IL protocollo di Kyoto è stato ratificato da oltre 160 Paesi. Tale protocollo stabilisce, in maniera molto essenziale, che chi inquina paga. Di fatto trova molta resistenza, e molta difficoltà di applicazione, soprattutto negli scambi commerciali e quindi nella movimentazione e trasporto delle merci. Ad ogni merce trasportata equivale un’aliquota di CO2 emessa, per cui sarebbe auspicabile far pagare una tassa di percorrenza per unità di CO2. Questo porterebbe ad una concreta attuazione del Km zero per tutte le merci ed alla realizzazione di sistemi termodinamici più circoscritti (che sono poi quelli a rendimento energetico ed economico maggiore), cosa che i moderni economisti non vogliono (o non possono) comprendere. Qual è il senso energetico ed economico (se non per le grandi catene di distribuzione) di (per fare un esempio) trasportare prodotti identici in regioni che già li producono?

3. Eccessiva suscettività e dipendenza dagli andamenti del mercato: Voglio ricordare che i cosiddetti “mercati” dovrebbero essere un “luogo” a servizio dell’Umanità, sia per i promotori dell’Offerta che per i sostenitori della Domanda. Di fatto un mercato senza regole crea monopoli (od oligopoli) di potere che determinano ricadute molto pericolose sulle scelte della microeconomia. Ora, siccome da un punto di vista energetico, l’attività agricola deve tutelare l’ecosistema (pena le conseguenze che nei fattori endogeni abbiamo osservato) non può il mercato interferire (come fa) sulle scelte produttive (specializzazioni, diminuzione della biodiversità, aumento pericoloso della produzioni con perdita di fertilità e di suolo, ecc.). Ne consegue che i mercati vanno regolamentati in direzione ecosistemica, il che equivale a porre regole e non dazi. Un mercato senza regole distrugge la struttura produttiva e sociale di un popolo a favore solo della grande finanza.
4. Negativo riflesso delle grandi catene di distribuzione sia sul sistema dei ricavi aziendali che sulla presenza dei punti vendita locali: La microeconomia è la norma e legge della natura. Essa si basa sulla cooperazione integrata di piccoli contributi ed organismi. Una economia basata su grandi strutture e destinata a crollare in breve tempo (i Dinosauri sono stati i primi ad estinguersi). L’indiscriminato (e non sempre lecito) uso della Finanza in questo settore ha creato grandi catene di distribuzione che, incidendo sulle scelte dei produttori, li ha condizionati a “produrre specializzato”. Il “produrre specializzato” (oltre a degradare l’ecosistema agricolo) ha interrotto la capacità del produttore di essere presente nella microeconomia locale. Facciamo un es.: non è pensabile per un produttore vendere tutta la PLV di una coltura specializzata sul mercato locale; deve assolutamente ricorrere al grande commerciante e quindi alla grande distribuzione. Dobbiamo capire che il piccolo organismo (produttore, artigiano, punto vendita, ecc.) è l’essenza dell’Economia dell’Universo. Non comprenderlo (come succede per i grandi bugiardi dell’economia, della finanza e della politica corrotta) equivale (come sta accadendo) alla distruzione del tessuto sociale ed ambientale.
5. Aumento dell’età media degli addetti: Non c’era bisogno dell’ISTAT per sapere che l’età degli operatori del settore è in aumento. Tale fenomeno comporta una serie di riflessi, tanto negativi, quanto poco considerati. Il trasferimento della conoscenza era uno dei piedistalli su cui si reggeva l’attività agricola. La perdita di tale condizione (di generazione in generazione) interrompe la millenaria cultura agricola che non può mai essere sostituita dall’interesse dei grandi sistemi (uso dei pesticidi, specializzazioni produttive, ecc.). Uno Stato che vede la politica solo attraverso gli indici finanziari è uno Stato reo di genocidio. Uno Stato che non favorisce la presenza dei giovani nell’agricoltura e nell’artigianato con fiscalità e condizioni positive è uno Stato non più sovrano.
6. Scarsa appetibilità all’attività nel settore con diminuzione degli addetti: Tale aspetto è correlato al precedente e non può essere “pilotato” da Governi irresponsabili che individuano nel libero mercato la soluzione per una economia più fluida. È vero proprio il contrario e cioè che sono più solide le economie che si basano su regole certe. La legge della domanda e dell’offerta sono la base del capitalismo ma la mancanza di regole crea squilibri tra i più forti ed i più deboli. La legge va sostenuta ma regolamentata. Ritenere che l’attività agricola sia luogo dell’offerta di soli prodotti agricoli ha un effetto distorsivo sul mercato e sulla distribuzione degli utili. Il lavoro dell’agricoltore produce beni di tipo alternativo che vanno remunerati diversamente. Senza tale nuovo concetto e rivisitazione della legge della domanda ed offerta, da parte della comunità, non ci può più essere appetibilità a questo settore e, senza questa, le conseguenze saranno sempre più gravi.
7. Eccessiva pressione burocratica e normativa: La natura è di per se regola. Dobbiamo pertanto ridefinire un parametro ed una dimensione di unità aziendale che sia emulazione della natura. Tale conformazione è possibile sia dal punto di vista tecnico che scientifico. Se individuiamo pertanto una unità aziendale che abbia queste caratteristiche questa non va sottoposta a nessun sistema burocratico od autorizzativo. Il ciclo produttivo diventa esso stesso sistema di garanzia e sicurezza. L’imprenditore agricolo, svincolato dai pesi e dalle lungaggini burocratiche, viene stimolato ad una nuova dimensione ed attenzione produttiva.
8. Inadeguata applicazione dei concetti sanitari e di qualità del settore rurale: Come detto nel punto precedente – La natura è di per se regola. I concetti sanitari e di qualità adeguati e importati dal sistema industriale non possono essere applicati sic et simpliciter all’unità aziendale naturale. Questi principi vanno riscritti sulla base di parametri semplici ed ecosistemicamente logici. Se l’imprenditore non forza nessuno dei fattori naturali, essendo egli stesso allineato alla natura, non va sottoposto ad alcun sistema burocratico autorizzativo o di qualità.
9. Inadeguata pressione fiscale: il fisco essendo il complesso dei rapporti patrimoniali di diritto pubblico dello Stato, va riadeguato al valore patrimoniale dell’agricoltura e al suo rapporto con i benefici del popolo sovrano. Un’attività che rispetti e tuteli l’ambiente crea dei benefici pubblici e questi vanno ricompensati in qualche maniera al produttore dei benefici pubblici. Un produttore agricolo che conduca un’azienda in condizioni di “naturalità” va adeguatamente ricompensato e ciò equivale a dire che vanno riscritte le regole della fiscalità su queste aziende.
10. Difficoltà di accesso al Credito agevolato: Il rendimento della natura è differente da molti rendimenti “umani”; l’uso del credito bancario va regolamentato a questo concetto e l’unico Istituto che possa dare garanzie bancarie idonee al patrimonio creato e difeso dall’agricoltura è lo Stato stesso. Lo Stato quindi, quale rappresentazione della sovranità dei diritti della società intera, è l’unica Istituzione che pone le basi della garanzia dell’accesso al credito, a condizione che gli imprenditori agricoli sostengano processi ecosostenibili.
11. Effetto distorsivo su produzioni e mercati agroalimentari a causa del’uso dei finanziamenti pubblici: L’uso della finanza esterna ai sistemi agricoli ha un notevole effetto distorsivo su una serie di equilibri. Il capitale esterno altera la redditività dei processi naturali (qual è l’agricoltura) e questa distorsione si ripercuote su concorrenze, sia di tipo ecologico che tipo sociale. L’unico uso consentito dalla finanza dovrebbe essere quello dell’incremento ecosistemico delle aziende – questa è l’unica finanza consentita, in quanto fattore di riequilibrio naturale dei processi.
12. Eccessiva frammentazione e polverizzazione aziendale: Le norme di diritto pubblico e privato (successioni ereditarie) devono essere riviste. Le aziende agricole, quale minima cella per garantire una sostenibilità ecologica ed economica non possono essere “smembrate” da fattori esterni. Va riscritto il diritto privato ma, per molti aspetti, il diritto pubblico.
13. Erosione dei suoli di origine urbanistica con preoccupante perdita del patrimonio rurale: Le norme e le leggi che hanno regolato fino ad oggi il settore urbanistico hanno quasi totalmente trascurato il territorio periurbano. Solo negli ultimi anni alcune norme hanno corretto parzialmente il tiro. Il percorso è ancora lungo ed il territorio rurale non può essere più corroso con una politica irresponsabile ed illogica. Vanno poste norme che premino quelle amministrazioni comunali che recuperino territorio urbano restituendolo alla ruralità.
Le riflessioni di questo contributo non sono né proposte di legge né ulteriori spunti per follie burocratiche e legislative. Questi spunti sono la base per un nuovo discorso sul ruolo del lavoro umano e sul suo rapporto nel territorio. Da queste riflessioni deve rinascere un nuovo discorso sui concetti di lavoro, natura ed economia.

Guido Bissanti




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