Lactifluus piperatus
Lactifluus piperatus
L’Agarico pepato e Peveraccio (Lactifluus piperatus (L.) Roussel, 1806) è un fungo appartenente alla famiglia delle Russulaceae.
Sistematica –
Dominio Eukaryota,
Regno Fungi,
Phylum Basidiomycota,
Classe Agaricomycetes,
Ordine Russulales,
Famiglia Russulaceae,
Genere Lactifluus,
Specie L. piperatus.
È basionimo il termine:
– Agaricus piperatus L..
Sono sinonimi i termini:
– Agaricus lactifluus var. piperatus (L.) Pers.;
– Agaricus piperatus Scop.;
– Agaricus piperatus var. lactescens Alb. & Schwein.;
– Galorrheus piperatus (Scop.) P.Kumm.;
– Lactarius piperatus (L.) Pers.;
– Lactarius piperatus (Scop. ex Fr.) Gray;
– Lactarius piperatus Fr.;
– Lactarius piperatus var. amarus Gillet;
– Lactifluus piperatus (L.) Kuntze.
Etimologia –
Il termine Lactifluus proviene dal latino lāc, lactis, cioè di latte e flŭo e us, cioè fluire, quindi fluente, per il latice che secernono i carpofori appartenenti a questo genere.
L’epiteto specifico piperatus viene dal latino piperatus, cioè pepato, per l’acredine della carne.
Distribuzione Geografica ed Habitat –
Il Lactifluus piperatus è un fungo che cresce in Europa, nella regione del Mar Nero nella Turchia nord-orientale e nel Nord America orientale e centrale a est del Minnesota. È stato introdotto accidentalmente in Australasia, dove si trova sotto alberi introdotti e autoctoni.
Cresce in gruppi non numerosi nei boschi di conifere e latifoglie, prediligendo queste ultime; fungo precoce, fruttifica dalla tarda primavera a tutto l’autunno.
Riconoscimento –
Il Lactifluus piperatus è un fungo con un cappello di 5-15 cm di diametro, carnoso, sodo, consistente, di medie dimensioni, convesso e involuto nei giovani esemplari, poi piano-depresso, infine imbutiforme, non zonato, margine sottile e ondulato.
La cuticola è asciutta, pruinosa, leggermente rugosa, glassata, con la tendenza a screpolarsi con tempo secco, non separabile dalla carne o solo leggermente al margine (adnata). Colorazioni pileiche bianco-latte, bianco-crema a maturazione, si macchia di ocra-giallastro, bruno-ruggine in vecchiaia o per manipolazione.
L’imenoforo è caratterizzato da lamelle di colore bianco con leggerissime sfumature crema o rosate, molto fitte, serrate sia nei primordi che negli esemplari adulti, strette, intercalate da numerose lamellule di varia lunghezza, forcate, da adnate ad appena decorrenti, fragili, facilmente asportabili, si macchiano di bruno nelle fratture o erosioni. Il filo lamellare talvolta si presenta leggermente crenulato.
Il gambo misura 3-7 × 2-4 cm, di forma cilindrica, tozzo, di aspetto massiccio, normalmente attenuato alla base, raramente slanciato, pieno, sodo, farcito in vecchiaia, di colore biancastro, crema-ocraceo con l’età, imbrunente verso la base, può presentarsi anche eccentrico o laterale.
La carne è dura e compatta, spessa, biancastra alla sezione, vira su tonalità crema, odore subnullo e sapore decisamente acre.
Secerne un latice abbastanza abbondante, lattiginoso, immutabile se isolato, con sfumature giallo-olivastre sulle lamelle, subito molto acre e bruciante, talvolta allappante.
Reazioni macrochimiche: negativa con Tintura di Guaiaco, negativa con KOH (Idrossido di potassio), rosata con FeSO4 (Solfato ferroso).
Coltivazione –
Il Lactifluus piperatus non è un fungo coltivato.
Usi e Tradizioni –
Il Lactifluus piperatus era la specie tipo originale del genere Lactarius, prima di essere spostato a Lactifluus. Inoltre la ricerca filogenetica ha dimostrato che L. glaucescens, a volte considerata solo una varietà di L. piperatus, è una specie distinta in Europa. Inoltre, l’esistenza di almeno dieci lignaggi in tutto il mondo, senza sovrapposizioni tra i continenti, è stata dimostrata per il gruppo attorno a L. piperatus, suggerendo che le popolazioni del Nord America potrebbero in realtà essere specie distinte.
La specie fu una delle tante denominate da Carlo Linneo, che la descrisse ufficialmente nel secondo volume del suo Species Plantarum (1753) come Agaricus piperatus. Per molti anni, il naturalista tirolese Giovanni Antonio Scopoli fu considerato l’autore della prima descrizione, fino a quando una revisione del 1987 del Codice Internazionale di Nomenclatura Botanica iniziò a considerare opere primarie che descrivevano funghi a partire dal 1753, anziché solo dal 1821 (sulla base del lavoro del naturalista svedese Elias Magnus Fries).
In Italia questa specie, o una molto affine, fu descritta per la prima volta da Giovan Battista Della Porta (1540-1615) filosofo, scienziato, alchimista e commediografo del Rinascimento italiano; nel libro X della sua opera del 1592 Villae libri XII, in cui descrive accuratamente molti esemplari fungini, troviamo scritto: Vi è un fungo chiamato Piperitis, perché pizzica la lingua a chi ne mangia e fa bruciare le fauci come fosse pepe; anch’esso nasce d’autunno, è di colore bianco e viene chiamato dal volgo Peperella. In tale Peperella (oggi volgarmente chiamato Peveraccio), i micologi moderni vedono appunto il comune e frequente Lactarius piperatus; probabilmente nel 500 era un fungo apprezzato come condimento in quanto sostitutivo del pepe, spezia che veniva importata dall’Oriente a carissimo prezzo. L’uso commestibile non si è peraltro esaurito col passare dei secoli, infatti ancor oggi viene praticata da alcuni l’usanza di ridurlo in polvere, dopo averlo essiccato al sole, e utilizzarlo appunto come surrogato del pepe per speziare carni e pietanze. Risulta inoltre consumato in alcune località del Centro e Sud Italia dopo prolungata cottura per privarlo dell’acredine, tuttavia, malgrado questo accorgimento, rimane sempre coriaceo, amaro, disgustoso e causa di frequenti problemi gastroenterici.
Alcune dicerie popolari vogliono che la sua comparsa nei boschi preceda di qualche giorno la crescita dei primi porcini estivi (Boletus reticulatus Schaeff.).
Tra le specie simili ricordiamo:
– La specie più prossima è Lactifluus glaucescens (Crossl.) Verbeken = Lactarius glaucescens Crossl., più raro, che si distingue per le lamelle arrotondate al gambo e con rilessi grigio-verdastri (glauchi), la carne virante dopo circa 30 minuti su toni grigio-verde e la reazione giallastra al KOH sulla cuticola;
– Lactifluus vellereus (Fr.: Fr.) Kuntze = Lactarius vellereus (Fr.: Fr.) Fr. e Lactifluus bertillonii (Neuhoff ex Z. Schaef.) Verbeken = Lactarius bertillonii (Neuhoff ex Z. Schaef.) Bon, sono di taglia maggiore e posseggono lamelle spaziate e spesse; tra l’altro Lactifluus vellereus, unico tra gli Albati, ha il latice più o meno dolce ma non acre;
– Lactarius controversus Pers.: Fr. cresce generalmente sotto Pioppo e presenta lamelle di un marcato rosa-carnicino e la superficie del cappello si macchia di rosa-vinoso, specialmente a maturazione.
Tutte le specie sopra indicare sono responsabili di intossicazioni incostanti.
– Lactifluus subvellereus (Peck) Nuytinck = Lactarius subvellereus Peck, sempre non commestibile, dai colori biancastri e il sapore della carne acre, si distingue per il pileo tomentoso-vellutato e per le lamelle meno fitte.
– Simili dal punto di vista morfocromatico sono anche Russula chloroides (Krombh.) Bres. e Russula delica Fr., ma la carne di queste non secerne latice. Russula delica ha una ricca tradizione culinaria marchigiana, talmente radicata e forte, da essere persino nell’elenco regionale delle specie commerciabili, quindi non solo considerata commestibile ma anche vendibile nei negozi. È opinione è che si tratti di un fungo pessimo e poco digeribile, la sua lieve acredine sottende alla presenza di modeste quantità di peptine acroresinoidi e inoltre l’eccessiva compattezza della carne sicuramente impegna fortemente la digestione di chi coltiva una passione per questo fungo. Sono comunque da escludere micetismi attribuibili a questa specie.
Per quanto riguarda la sua commestibilità la tradizione culturale legata al consumo di Lactifluus della Sezione Albati, compreso il L. piperatus, che ancora sopravvive in alcune aree italiane, è sistematicamente responsabile di avvelenamenti e conseguenti ricoveri ospedalieri in quelle zone. Questo anche se questi funghi, per essere consumati, vengono bolliti lungamente, viene buttata l’acqua di cottura, vengono ricotti per ulteriori ore allo scopo di preparare sughi con pomodoro e carne e quindi assimilati in piccole dosi, nonostante ciò, ogni tanto i micologi delle ASL vengono chiamati negli ospedali della zona per affrontare micetismi che coinvolgono spesso interi nuclei familiari.
Tra gli altri usi grazie alla presenza di auxine nei metaboliti di L. piperatus, può essere applicato come ormone radicante per favorire la crescita delle piantine di varie specie di piante, tra cui nocciolo, faggio e quercia. Nel XIX secolo, veniva utilizzato come rimedio popolare per la tubercolosi, sebbene non avesse alcun effetto. In tempi più recenti, si è scoperto che L. piperatus può essere utilizzato come agente antivirale e il lattice è stato utilizzato contro le verruche virali.
Modalità di Preparazione –
Si ricorda che il Lactifluus piperatus contiene tossine, ma nonostante sia descritta da alcuni autori come non commestibile o addirittura velenosa, questo fungo è spesso considerato commestibile. Non è raccomandato da alcuni semplicemente a causa del suo sapore sgradevole. È difficile da digerire se consumato crudo, ma viene utilizzato come condimento una volta essiccato; a volte viene anche consumato fresco dopo averlo sbollentato, sebbene il suo sapore sia comunque sgradevole. Alcuni consigliano di friggerlo nel burro con pancetta e cipolla, di metterlo sottaceto, o di cuocerlo al forno in una torta o in un dolce. Il lattice ha un sapore molto caldo e acre, che viene eliminato con la bollitura. Il fungo era molto apprezzato in Russia, dove veniva raccolto durante le stagioni secche, quando altre specie commestibili erano meno disponibili. È popolare anche in Finlandia, dove i cuochi lo fanno bollire ripetutamente (smaltendo l’acqua ogni volta), poi lo conservano in acqua salata e lo conservano in frigorifero, per poi metterlo sottaceto o servirlo in insalata. Se consumato fresco e crudo, il fungo è noto per causare una reazione irritante su labbra e lingua, che si attenua dopo un’ora.
Guido Bissanti
Fonti
– Wikipedia, l’enciclopedia libera.
– GBIF, the Global Biodiversity Information Facility.
– Cetto B., 2008. I funghi dal vero, Saturnia, Trento.
– Pignatti S., 1982. Flora d’Italia, Edagricole, Bologna.
– Conti F., Abbate G., Alessandrini A., Blasi C. (a cura di), 2005. An annotated checklist of the Italian vascular flora, Palombi Editore.
Fonte foto:
– https://inaturalist-open-data.s3.amazonaws.com/photos/402645072/original.jpg
Attenzione: Le applicazioni farmaceutiche e gli usi alimurgici sono indicati a mero scopo informativo, non rappresentano in alcun modo prescrizione di tipo medico; si declina pertanto ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.

