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Un terzo delle piante a rischio estinzione

Un terzo delle piante a rischio estinzione

Per chi si occupa da anni di ricerca ed analisi di dati sulla biodiversità lo scenario che si presenta non è certo rassicurante.
La biodiversità, sia a livello globale che locale, rappresenta quella matrice che da solidità alla stabilità della vita sulla Terra.
Ecosistemi con maggiore grado di diversità sono in grado di affrontare maggiori avversità ed acquisiscono, inoltre, una maggiore capacità di dissipazione dell’energia captata (che in gran parte è quella solare) contribuendo, altresì, a mantenere più “fresco” il nostro pianeta.
La biodiversità è quindi anche la risposta degli ecosistemi per poter trasformare al meglio l’energia captata per renderla disponibile in forme e momenti differenti per i cosiddetti “servizi ecosistemici”.
Le premesse fin qui fatte servono, in maniera molto sintetica, a fugare ogni dubbio in materia, soprattutto tra coloro che asseriscono ancora che non esiste un legame tra riscaldamento globale (i cambiamenti climatici sono una relazione più complessa) e perdita di biodiversità. Riscaldamento globale dovuto anche alle attività umane eccessivamente entropiche e che direttamente ed indirettamente incidono sulla biodiversità planetaria.
A sancire questa perdita di biodiversità con dati inequivocabili (caso mai ce ne fosse bisogno) ci ha pensato una ricerca condotta dal Botanic Gardens Conservation International, durata 5 anni, che ha mappato quasi 60.000 specie di piante in tutto il mondo.
Da questa ricerca, riportata nel rapporto State of World’s Trees, emerge sulla biodiversità un quadro allarmante.
Lo studio, effettuato in pieno campo, ha censito con esattezza 58.497 specie di piante.
Secondo lo State of World’s Trees, curato da Botanic Gardens Conservation International, si evidenzia un quadro dai contorni di un’emergenza globale che richiede azione immediata. Quasi un terzo delle specie di alberi esistenti è a rischio estinzione. In tutto sono 17.510, praticamente il doppio delle specie a rischio, mammiferi, uccelli , rettili, ecc., messi insieme. Come lo ha definito qualcuno: una caporetto della biodiversità.
Quella che preoccupa ancor di più è che il bilancio potrebbe anche essere più pesante. Secondo gli autori del rapporto un’ulteriore 7,1% di piante potrebbe essere a rischio, mentre in un caso su 5 i dati raccolti non sono sufficienti per decidere lo status di conservazione. Sempre secondo il rapporto solo il 41,5% (meno della metà) delle specie vegetali censite risulta al sicuro (per il momento).
La ricerca effettuata dagli autori si è poi addentrata non solo ai dati numerici ma si è rivolta anche alle cause.
L’interferenza maggiore della perdita del patrimonio della biodiversità viene dall’agricoltura che con il suo modello, applicato soprattutto dopo gli anni ’50 del secolo scorso, sottrae continuamente terreno per piantare spesso monocolture. Il secondo fattore in ordine di importanza è la deforestazione, seguita dall’allevamento. Tra tutte le cause il cambiamento climatico è solo al nono posto nella lista ma, come detto, questo è più effetto che causa.

I dati di questo imponente studio ci dicono, inoltre, che la perdita di biodiversità è distribuita su tutti i continenti.
L’allarme viene però dalla considerazione che sono alcuni dei serbatoi di biodiversità più importanti a trovarsi in condizioni di degrado più preoccupanti. Su tutti il Brasile: delle 8.847 specie di piante censite, quelle a rischio sono 1.788: il 20%. Peggio, in proporzione, fanno solo Indonesia e Malesia (dove però le specie presenti sono quasi la metà di quelle del paese latinoamericano), rispettivamente con il 23 e il 24% delle specie minacciate. Le isole tropicali, poi, pagano un prezzo sproporzionatamente alto.
Lo studio conclude poi le sue analisi con valutazioni di merito affermando che sussiste il timore fondato che l’estinzione di alcune specie chiave possa innescare un processo a catena capace di far collassare interi ecosistemi.
Tra l’altro non è sempre facile individuare quali conseguenze derivano dalla perdita di una specie. Anzi, le previsioni in sistemi così complessi e non lineari è pressoché impossibile.
Infine il Botanic Gardens Conservation International individua delle possibili soluzioni.
Queste vanno dalla necessità di espandere le aree protette in modo da salvaguardare il maggior numero di specie possibili, al conservare le specie più a rischio in giardini botanici o nelle banche del seme, e garantire più fondi per le attività globali di conservazione.
Ma il focus centrale della questione è che bisogna cambiare repentinamente (non c’è più tempo per i se e per i ma) il modello agroalimentare.
L’espansione del modello agricolo intensivo è il principale motore della deforestazione e della conseguente perdita di biodiversità agricola e forestale. Inoltre il sistema delle specializzazioni agricole produce sistemi commerciali altamente concentrati in grandi strutture.
Per questo il più grande cambiamento di trasformazione è necessario nel modo in cui produciamo e consumiamo il cibo. Dobbiamo allontanarci dalla situazione attuale in cui la domanda di cibo è legata a pratiche agricole inadeguate che portano alla conversione su larga scala delle foreste e alla perdita di biodiversità.
È necessario che tutti i Paesi (nessuno escluso) adotti repentinamente:
– una conversione verso l’adozione di pratiche di produzione agroforestale e agroecologica;
– il ripristino della produttività dei terreni agricoli degradati;
– l’adozione di diete più sane e la riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari;
– un modello di raccordo commerciale a corto raggio tra chi produce e chi consuma.
Inoltre le aziende agricole dovrebbero rispettare i loro impegni per catene di prodotti prive di deforestazione e le aziende che non hanno assunto impegni di deforestazione zero dovrebbero farlo. Gli investitori in materie prime dovrebbero adottare modelli di business che siano ecologicamente e socialmente responsabili. Queste azioni richiederanno, in molti casi, una revisione delle politiche attuali e degli incentivi finanziari.
In definitiva va riscritta l’intera politica agricola mondiale e, quindi, anche europea.
La Sicilia si è mossa in tal senso (e potrebbe divenire un esempio internazionale) con la L.R. 21 del 29 luglio 2021 (Disposizioni in materia di agroecologia, di tutela della biodiversità e dei prodotti agricoli siciliani e di innovazione tecnologica in agricoltura …) ma è solo la prima pietra di un edificio molto complesso; il grosso del lavoro dobbiamo ancora costruirlo.

Guido Bissanti




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