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Contro le Pandemie circondiamoci di Habitat naturali

Contro le Pandemie circondiamoci di Habitat naturali

L’avvento dell’urbanizzazione, fenomeno che ha assunto dimensioni impensabili solo qualche decennio fa, in aggiunta al consumo di suolo, ai processi industriali, ai sistemi di trasporto e ad un’agricoltura aggressiva, sono tutti fattori che hanno determinato una “corrosione” del sistema ecologico mondiale.
Il modello di sviluppo della civiltà moderna sta interferendo, ovviamente, con quelle cellule dell’ecosistema che sono gli habitat naturali.
Gli habitat (termine che nella lingua latina significa “egli abita”) sono il luogo, tramite le cui caratteristiche fisiche e ambientali, tutte le specie possono vivere, svilupparsi, riprodursi, garantendo quella qualità della vita, anche umana, necessaria al benessere ed alla salute del nostro Pianeta.
Gli effetti di un modello di sviluppo fuori da queste regole, in cui anche una certa scuola urbanistica esce bocciata, hanno portato non solo alla frammentazione di quelle cellule ecologiche, che sono gli habitat, ma soprattutto al famoso fenomeno dello Spillover, cioè di quel salto di specie che si verifica quando una popolazione serbatoio ad alta prevalenza di patogeni entra in contatto con una nuova popolazione ospite di una specie differente.
Così con la perdita e la frammentazione degli habitat, statisticamente, questo salto di specie sarà sempre più probabile, comportando non solo seri rischi sanitari alla popolazione mondiale ma anche grandi interferenze sociali e psicologiche alle future generazioni.
Un’umanità meno ecologica è un’umanità più a rischio ma anche più povera; più povera di risorse, di benessere e, come sperimentato di recente, di relazioni personali.
Bisogna correre ai ripari senza avere la presunzione di illudere nessuno in quanto gli equilibri ecologici per poter essere ristabiliti, ammesso che possano essere ristabiliti, vista la perdita di biodiversità, hanno bisogno di tempi medio-lunghi che vanno spesso oltre alla durata della vita umana.
L’imperativo categorico non può essere affidato, ovviamente, solo a qualche direttiva o norma di legge. C’è bisogno di concepire una nuova Civiltà, riprogettandola di sana pianta e facendosi dare le Linee Guida dai principi dell’Ecologia, translitterati in quella Ecologia Sociale che Papa Francesco, nella sua Enciclica “Laudato Sì”, ha così sapientemente tracciato e delineato.
Preso atto che, come detto, tutto questo ha bisogno di tempi più lunghi che medi, abbiamo però l’obbligo di apportare alcuni correttivi ai nostri sistemi di vita, a partire dal modo di concepire i centri abitati, tentando di fare un maquillage ecologico.

Per troppo tempo abbiamo creato centri abitati (grandi o piccoli) senza pensare ad una compensazione ecologica, cioè a misure di recupero degli habitat sottratti.
Il COVD-19, come affermato oramai da ampie fasce dei ricercatori e degli scienziati, è un primo allarme che va affrontato allo stesso modo di come si affronta lo sciame sismico di una zona a rischio, e cioè, mettendo in sicurezza l’area. Nel nostro caso, come detto, la sicurezza non può essere raggiunta immediatamente (la natura non è un’opera pubblica che si progetta e si consegna). È opportuno allora ripensare globalmente al concetto di centro abitato, inserendo, ove possibile, all’interno ed all’esterno, cellule ecologiche in riparazione e sostituzione a quelle sottratte.
È necessario, in poche parole, prevedere degli indici (anche in termini di superficie) di aree da rinaturalizzare, seguendo ad ogni buon modo criteri molto attinenti ad analisi ecologiche di merito, allo studio degli habitat potenziali, ai corridoi ecologici, e così via.
In poche parole dobbiamo circondarci di natura se non vogliamo che la sua frammentazione non consenta più alla stessa di svolgere quel ruolo che le è proprio: fornitrice di benessere per tutti, senza distinzione tra qualunque essere vivente.
Dobbiamo ricreare quegli habitat, brutalmente sottratti, restituendoli alla Natura.
Purtroppo la visione antropocentrica, figlia degli ultimi secoli di storia illuministica e positivista, con la sua visione limitata dei principi della Vita ha finito, distruggendo la Natura, col distruggere la dignità umana ed il suo benessere.
Adesso è giunto il momento, come si suol dire, di rimboccarsi le maniche. Servono a poco le lamentazioni: serve una visione progettuale nuova e l’occasione ci è data dall’approccio fornito da Agenda 2030.
Un approccio integrato che non equivale però a non poter mettere in atto misure singole e ben delineate.
C’è bisogno di rivedere il modello di pianificazione attuale; bisogna cambiare le regole della stesso e dove, soprattutto, la figura del pianificatore non può essere relegata ad un singolo professionista; c’è bisogno di un pool di competenze in cui però la parte Ecologica diventa preponderante.
Dobbiamo circondarci di nuovo di quella natura che, come sanno benne soprattutto le popolazioni orientali, è Madre e senza una madre non c’è storia per le future generazioni.

Guido Bissanti




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