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I Sabini e l’agricoltura

I Sabini e l’agricoltura

I Sabini furono un antico popolo italico dell’Italia centrale, che risiedevano nella Sabina, area compresa all’incirca tra l’alto Tevere, il Nera e l’Appennino marchigiano, in corrispondenza cioè dell’odierna provincia di Rieti e della confinante regione dell’alto Aterno in provincia dell’Aquila.
I reperti storici ed archeologici ci dicono che la Sabina è stata abitata fin dalla preistoria, lo attestano resti di insediamenti umani ed attrezzi in selce, databili al Paleolitico (60.000-30.000 a.c.) trovati in tutta la zona. Nei periodi successivi sono poche le testimonianze di presenza umana, fino al 3.000 a.C., epoca alla quale sono attribuibili i resti dell’antica città di Eretum, vicino all’odierna Montelibretti.
I Sabini, giunti dalla costa Adriatica, arrivano nella zona intorno al X – IX secolo a.C., fondando le città di Reate, Trebula Mutuesca e Cures Sabini.
I Sabini derivavano, per migrazione, direttamente dagli antichi Umbri ed appartenevano allo stesso gruppo etnico dei Sanniti e dei Sabelli, come è attestato dal comune etnonimo di safineis (in greco antico σαφινείς) e dai toponimi safinim e safina (all’origine dei termini Sannio e Sabina).
Rispetto alla possibile etimologia del nome Plinio scrive che: «I Sabini secondo alcuni sono chiamati Sebini a causa della loro religiosità e pietà» (dal verbo greco sébomai = venero, onoro).
Secondo altri autori l’etimologia della parola deriva dalla radice indo-europea *s(w)e-bh(o)-, all’origine anche del termine germanico sibja (parentela di sangue), conservato nell’inglese in sib e sibling, e dell’antico termine indiano sabh (assemblea, congregazione, società).
Secondo Plutarco e Dionigi l’assenza di mura difensive nelle città sabine era da imputare alla discendenza dagli Spartani.
Per altro Dionigi cita i Sabini in relazione agli Aborigeni, ai quali avrebbero sottratto la loro capitale Lista, con un’azione bellica a sorpresa partita da Amiternum, costringendoli a riparare a Rieti.
Le ipotesi e gli studi sui Sabini, comunque, non hanno ancora una visione univoca.
Secondo la leggenda romana, i primi contatti tra Sabini e i progenitori dei futuri Romani, si ebbero già con lo sbarco dei troiani sui lidi laziali; Clauso, il giovane principe e condottiero dei Sabini (nonché capostipite della futura gens Claudia), appoggiò Turno, re dei Rutuli, nella lotta contro i troiani di Enea.
I primi contatti con i Romani si ebbero immediatamente dopo la fondazione di Roma, cui seguì l’episodio del Ratto delle sabine, causa della successiva Battaglia del lago Curzio,conclusasi con la pace ratificata dai rispettivi re, Romolo e Tito Tazio,che poi regnarono congiuntamente per cinque anni sulla città, e l’insediamento dei Sabini sul colle Quirinale.
Di fatto, al di la della leggenda, la realtà storica sarebbe che i Sabini, dovendo allevare il proprio bestiame, dovettero cercare nuovi pascoli di pianura, cosa che li spinse a premere a ridosso del Lazio, e a venire quindi in contatto con i Romani, con cui inizio una convivenza complicata e costellata da numerosi conflitti.

Ai Sabini, ed al commercio del sale da trasportare dal guado del Tevere alla Sabina, è legata la nascita della via Salaria, che giocò un ruolo fondamentale nella nascita di Roma nel punto in cui questa incrociava la via Campana in prossimità del Foro Boario e del guado dell’isola Tiberina.
La storia degli insediamenti Sabini e della loro attività ci fa comprendere che questo popolo era dedito sia all’agricoltura che al commercio.
Intorno al 700 le popolazioni cominciarono a lasciare i vecchi centri per spostarsi nelle campagne, dove costruirono case sparse nel territorio. Questo processo avvenne soprattutto nella bassa Sabina dove la fertilità della terra permetteva l’introduzione della cosiddetta “mezzadria”, sistema nel quale i contadini cedevano metà del raccolto al proprietario in cambio dell’uso del casale e della terra.
Si deve ai Sabini anche una importante storia della coltivazione degli ulivi.
Questa storia è ancora testimoniata dalla presenza di alberi secolari scolpiti dal tempo che ancora oggi si ergono a migliaia accanto agli esemplari più giovani, conservando intatta la propria capacità produttiva e rendendo unico il paesaggio sabino.
A tal proposito bisogna sottolineare che tanto era fin dall’antichità l’apprezzamento per le qualità dell’olio della Sabina, che Marco Terenzio Varrone incluse nel suo “De re rustica” prescrizioni così particolareggiate per la coltivazione e la raccolta delle olive da poter considerare il suo trattato come il primo “disciplinare di produzione”.
Le testimonianze storiche sono molteplici, dalla “fiaschetta” di Poggio Sommavilla del VII secolo a.C. nella quale sono state rinvenute tracce d’olio, per passare ai resti di Cures, antica città Sabina, dove era già evidente la coltivazione dell’olivo.
In questo senso è la città di Rieti, capoluogo della Sabina, la cui campagna rievoca il paesaggio magnificamente descritto da Strabone, dominato da vigneti e ulivi, che ancora oggi sono il tratto distintivo più evidente del territorio: un territorio da sempre vocato all’agricoltura, che offre a chiunque lo attraversi suggestioni antiche e piaceri, anche gastronomici, raffinatissimi.
La popolazione sabina, decantata da storici e intellettuali come Dionigi di Alicarnasso, Marco Terenzio Varrone, Catone il Censore e Plinio il Vecchio, viene considerata per molti aspetti “mater” di quella romana, persino nella leggenda, dove spicca il celebre “Ratto”, che di fatto fuse i Sabini con la nascente città di Roma, originando la nuova civiltà. Le tracce del glorioso passato sabino sono visibili lungo l’intero territorio. A partire dal castrum e dalla Villa Romana di Cottanello o dall’antico municipio romano Forum Novum nel comune di Torri in Sabina, passando per l’itinerario oraziano del piccolo paese di Vacone o per i nuclei archeologici sparsi nella città di Rieti e nel comune di Mompeo: incluso nel circuito dei Borghi più belli d’Italia.
A testimonianza dell’agricoltura dei Sabini e, soprattutto, della loro predilezione per la coltivazione degli ulivi, possiamo ancora osservare i due vecchi patriarchi: “U’ Livò” di Palombara Sabina e l’”Olivone” di Canneto Sabino, due alberi ancora viventi che secondo la leggenda erano già nati quando la Sabina dava a Roma il suo secondo re, Numa Pompilio (715 – 673 a.C.).
La cultura olivicola Sabina ha continuato a crescere nei secoli, anche dopo la caduta di Roma, con l’importante contributo della potente abbazia benedettina di Farfa, fino a divenire nel 1500 quell’agricoltura specialistica che dura ancora oggi e che ha avuto un significativo punto di svolta con la costituzione dell’Elaiopolio Consorziale Sabino nell’immediato ultimo dopoguerra.

Guido Bissanti




Un pensiero su “I Sabini e l’agricoltura

  • TELEAGA ADELINA

    Molto documentato su questa cosa molto bravo ho capito tutto!

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