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Biodiversità Agricola: errato il criterio adottato nei PSR

Biodiversità Agricola: errato il criterio adottato nei PSR

Secondo i recenti dati ISPRA la specializzazione e l’intensificazione dell’agricoltura, nonché la globalizzazione dell’economia agricola, hanno prodotto una grave perdita della biodiversità, con diminuzione, ad esempio, delle popolazioni ornitiche in ambiente agricolo. Questa perdita va invertita con la creazione di modelli agricoli che non seguano le esigenze di mercato (omologazione, specializzazione, monocolture, ecc.) e quelle della GDO.
Nonostante queste informazioni siano contenute nella VAS (Valutazione Ambientale Strategica) propedeutica ai PSR, la struttura base degli stessi contraddice tali valutazioni implementando (soprattutto attraverso i punteggi) modelli agricoli che rispondono di fatto alle esigenze della qualità agroalimentare dettate dal mercato e dalla GDO e non a quelle della biodiversità agricola e della tutela ecologica.

Così operando assisteremo ad un incredibile dispendio di risorse europee che invece di reindirizzare il settore agroecologico verso un sistema virtuoso ne aggraverà ancor più le condizioni. Tutto ciò in barba agli allarmi della FAO e di altre Organizzazioni Internazionali che vedono nell’agricoltura biologica e nell’incremento della biodiversità agricola l’unica soluzione alla spirale negativa implementata, di fatto, col Trattato di Roma del 1960. Le fattorie che infatti passano dagli attuali metodi di agricoltura a quelli biologici vedono in breve tempo l’aumento di biodiversità, misurata come incremento del numero di specie presenti, dai batteri alle piante fino ai mammiferi e agli uccelli.
È noto infatti come i metodi di coltivazione naturali (attuabili solo con particolari organizzazioni aziendali che contemplino le consociazioni, la biodiversificazione agricola, ecc.) influiscono positivamente sulla biodiversità in tutte le tappe della catena alimentare. Tre sono le ragioni che possono spiegare l’influenza positiva dell’agricoltura biologica sulla natura. La prima è che non vengono impiegati pesticidi e fertilizzanti sintetici. La seconda è che vi è una gestione simpatetica delle aree vicine non coltivate, ad esempio fossati, siepi, stagni, che contribuiscono ad ospitare diverse specie animale e vegetali. La terza, infine, è che l’impiego di tecniche di coltivazione naturale si accompagna alla pratica dell’allevamento, diversificando così ulteriormente la presenza di habitat sui terreni agricoli che si arricchiscono di specie animali e vegetali.
I fondi strutturali del PSR tendono a creare invece algoritmi produttivi completamente differenti, dove nei punteggi e nelle chiusure di filiere non si contemplano i prodotti autoctoni, la tipicità, l’aumento di biodiversità agricola, ecc.
Un disastro senza alcun fondamento scientifico e tecnico che aumenterà la distanza tra sistema rurale e sistema sociale.
Secondo i dati ISPRA si evince che in Europa, solo nell’ultimo quarto di secolo, in seguito all’espandersi delle pratiche agricole di tipo intensivo, vi sia stato un forte impoverimento in termini di varietà e di quantità di specie presenti nelle campagne.
Urge pertanto una revisione totale dei Programmi di Sviluppo Rurale ma anche un governo del processo che sembra sfuggito a logiche di reale Politica e Programmazione a tutti i livelli: da quello Europeo a quello periferico.

Guido Bissanti




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