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La spirale negativa dei Concimi Chimici

La spirale negativa dei Concimi Chimici

I modelli produttivi dell’agricoltura moderna non sono destinati a durare nel lungo periodo. Gli effetti negativi e molte volte devastanti di alcune pratiche hanno lasciato già, nel breve arco di poche decine di anni, cicatrici così marcate nel nostro ambiente da richiedere, in alcuni casi, millenni per la loro guarigione.
Tra le tecniche agronomiche più discusse vi è certamente quella dell’uso sistematico dei concimi chimici. Uso che ha alterato gli ecosistemi sia relativamente alla fauna che alla flora; le conseguenze più rilevanti sono state: la riduzione della variabilità genetica dei sistemi viventi, i processi di eutrofizzazione delle acque dolci e di quelle marine, l’alterazione chimico-fisica e biologica dei suoli.
Notevoli studi sulla diffusione, la trasformazione, la persistenza e l’accumulazione nei tessuti di piante e animali dei prodotti chimici impiegati nei processi agricoli, mettono in evidenza aspetti ancora più complessi delle interferenze indotte da tali prodotti sulle strutture e sulle funzioni degli ecosistemi.

Questi prodotti di sintesi (che tra l’altro per motivi di “economicità” di formulato contengono notevoli quantità di impurità e di metalli pesanti) a fronte del fatto che favoriscono la crescita delle piante fornendo nutritivi hanno un pesante rovescio della medaglia, soprattutto quando se ne fa (come troppo spesso succede oramai da decenni in molte aziende agricole) un uso indiscriminato.
Si va dalla più nota contaminazione da nitrati, fino alle minacce rappresentate da cromo e “terre rare”, con criticità che riguardano non solo l’acqua ma anche il terreno, giocando un ruolo anche nel fenomeno della desertificazione.
Per quanto riguarda i nitrati  questi  passano dal suolo, per trasferimento, alle falde acquifere. Il suolo interagisce con le acque circolanti e rilascia in maniera variabile sia elementi nutrienti sia tossici. In funzione delle caratteristiche dell’ambiente e della stagionalità i nitrati si trasformano in nitriti, che sono tossici ed arriva fino ai corpi d’acqua superficiali e nell’ecosistema. Sulla questione della contaminazione da nitrati, però, la questione è aperta, anche perché oltre alla loro tossicità intrinseca posseggono, se trasmessi negli alimenti o nelle acque proprietà cancerogene riconosciute (tralasciamo qui i meccanismi biochimici, evidenziati in altro articolo di questo sito).
Esiste in atto una mappatura dell’Ispra con tracciatura isotopica dei nitrati. Attraverso questa mappatura si rileverà come la contaminazione da nitrati possa non essere unicamente riconducibile al settore zootecnico, ma possa essere collegata ai reflui civili non correttamente smaltiti e quindi alle problematiche relative agli impianti di depurazione.
Ai più noti e additati nitrati, però, si aggiungono problemi che riguardano i concimi ricchi di boro, elemento potenzialmente tossico, e quelli contenenti un gruppo di elementi chimici che, nell’insieme, vengono chiamati “terre rare” che sono tossici.
Si tratta di elementi che vanno dal lantanio fino al lutezio e vengono dati in ambito agricolo, aggiungendosi, come se non bastasse, alle precedenti sorgenti di contaminazione.
In aggiunta a questo scenario, poco rassicurante, non si deve dimenticare la contaminazione da prodotti derivanti dall’attività conciaria, ricchi di azoto, che favoriscono la crescita delle piante ma contengono anche cromo.
Negli anni passati si riteneva che gli effetti negativi del cromo venissero neutralizzati dal terreno, ma secondo alcuni dati ufficiali si è osservato che in certe aree e in alcune condizioni il terreno reagisce trasformando il nutriente (cromo trivalente) in elemento tossico e mutageno (cromo esavalente) peggiorando ulteriormente lo stato dell’ecosistema.
Tale scenario ha ovviamente notevoli variabili che possono essere in certi casi peggiorate  dalle caratteristiche geologiche e idrogeologiche dei suoli e dei terreni.
Secondo alcuni studiosi sembrerebbe che indietro non si torna; invece dobbiamo educarci a pensare a modelli produttivi innovativi che, integrando sapientemente le consociazioni, le rotazioni (soprattutto con le leguminose), la zootecnia sostenibile (basso carico di UBA e tecniche di allevamento estensive) ed i fertilizzanti di provenienza organica (oltre ad alcune tecniche agronomiche appropriate, realizzino in concreto dei modelli produttivi “ecosistemici” e di lunga fertilità. L’alternativa ad oggi sembrerebbe proprio la desertificazione progressiva dell’intero pianeta.
Non per nulla l’altro effetto molto negativo soprattutto nei suoli a permeabilità difficile, a piovosità media annua più bassa (come quelli meridionali), ed a composizione pedologica con maggiore contenuto argilloso stanno subendo solo negli ultimi decenni un effetto destrutturante (soprattutto per la presenza di sodio ed altri metalli) che nel silenzio più assordante di una ricerca scientifica mirata stanno evolvendosi in masse “fluide” che sono soggette a facili frane e smottamenti sotto gli occhi di tutti.
L’odierna agricoltura non ha futuro e non può essere riproposta in questa forma mai più.
A proposito di pratiche sostenibili, oltre ai cicli rotazionali, si intende anche il ricorso a fertilizzanti naturali e organici, al recupero della funzione concimante dei reflui organici e rivalorizzando il ruolo della filiera zootecnica, alla produzione di compost dai rifiuti organici urbani.
Basterebbe, tra gli altri, calcolare che un terzo dei rifiuti che produciamo in casa è organico. Basterebbe che i Comuni si dotassero di un sistema adeguato di raccolta e selezione da cui produrre un ottimo compost e risolvere allo stesso tempo l’emergenza rifiuti.
Il futuro è li davanti a noi ma non possiamo però tollerare che la Politica non si occupi di queste cose come se fossero argomenti di serie B.

Guido Bissanti




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