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Pianeta Agricoltura

Una nuova speranza per l’Agricoltura

Una nuova speranza per l’Agricoltura

Che la rivoluzione verde iniziata dopo il Trattato di Roma del 1960 fosse al capolinea ce lo dicono una serie di dati e di informazioni che, se aggregati, dimostrano il fallimento di un modello produttivo lontano dalle regole dell’Ecosistema e, ovviamente, dannoso se non, in molti casi, pericoloso per l’Uomo.
Il dato più allarmante però di questa esperienza (breve dal punto di vista dei tempi storici ma molto negativa per le sue incidenze sociali ed ambientali) è rappresentato dalla frattura generazionale che ha fatto disperdere millenni di conoscenze derivanti dalla tradizione rurale con un impoverimento culturale (oltreché colturale) delle nostre campagne e delle sue popolazioni.
Così i vari tentativi, le varie esperienze, il “bisogno” di un ritorno alla conoscenza e sapienza dei nostri antenati (alla luce delle innovazioni scientifiche recenti) è la vera novità e speranza di una nuova stagione e di una nuova speranza per l’intero pianeta.

Tra tutti i tentativi e i nuovi approcci alla ricerca del recupero del sapere della storia rurale va citata l’esperienza messa in atto con la Conservation Agriculture (“Agricoltura di conservazione”). Questo è un approccio innovativo che negli ultimi dieci anni ha conosciuto una rapida diffusione nel mondo, a partire da un nucleo di paesi latino-americani (Brasile, Paraguay, Argentina) che per primi lo hanno applicato in modo sperimentale. Esso si basa su una scommessa radicale: coltivare la terra rinunciando per sempre all’aratro ed utilizzando la bio-diversità dei suoli come fattore chiave per aumentarne la produttività e controllare (se non ripristinare) l’erosione della biodiversità e della fertilità dei suoli.
Questo risultato si può ottenere solo applicando in modo rigoroso, contestualmente, tre principi chiave: semina diretta, rotazione ed associazione delle colture, copertura permanente dei suoli.
Cosa potrebbe significare questo per l’agricoltura italiana?
Crediamo sia importante continuare a confrontarsi e prendere spunto da modelli agricoli diversi da quello industriale che ci ha portato, tanto per fare degli esempi, al drammatico impoverimento dei suoli dell’intera penisola, alla crisi idrica delle falde che sta preoccupando sempre di più intere comunità, alla massiccia presenza di metalli pesanti nei terreni agricoli, la massiccia presenza di liquami zootecnici nei fossi, alle puzze e i rischi sanitari connessi agli allevamenti avicoli in aree con agricoltura intensiva, ecc.
L’intero territorio nazionale sta dimostrando (con le sue emergenze ed allarmi ecologici) che l’agricoltura industriale, collegata spesso morbosamente ad un modello agroindustriale in caduta libera ha finito il suo ciclo. Un nuovo modello agricolo e produttivo sta prendendo piede: è bene quindi che tutte le esperienze interessanti ed utili vengano studiate.
Tra questi citiamo, solo per dovere di cronaca, il Progetto Kunasisa, in Swaziland, rappresenta una delle prime e più significative esperienze di Conservation Agriculture in Africa: si tratta di un progetto promosso e gestito in collaborazione da alcune ONG, dalla FAO, dal Ministero dell’Agricoltura dello Swaziland con il sostegno finanziario di altre istituzioni. Iniziato nel 2003, coinvolge le comunità rurali e combina l’approccio dell’Agricoltura di Conservazione con l’uso di colture alimentari e di piante di copertura locali. L’aspetto più innovativo del progetto è che il “laboratorio” di ricerca e sperimentazione è rappresentato dalle comunità stesse e gestito da un piccolo nucleo di contadini, in maggioranza donne.
Ma in questo senso vanno citate soprattutto varie esperienze, in molte parti del mondo, dove soprattutto i giovani, aggregati fra di loro in comunità familiari stanno imprimendo ad una delle più antiche pratiche umane (l’agricoltura) un nuovo impulso e sicuramente una nuova speranza di cui la FAO (poco ascoltata ed ostacolata da troppi grandi interessi) si sta facendo promotrice negli ultimi anni (come il promulgamento del 2014 come Anno Internazionale dell’Agricoltura Familiare).
In questo senso vanno ridiscussi senza appello l’intera PAC Europea e i PSR nazionali e regionali che sono nati sotto l’egida di questo modello agricolo e che sono “vecchi” prima ancora di crescere.
La speranza si chiama giovani in agricoltura ma soprattutto tecnici, quali Dottori Agronomi e Dottori Forestali ed altri tecnici del settore, i quali purtroppo ancora oggi, formati spesso ed inopportunamente ad una cultura della massimizzazione dei profitti, devono avere il coraggio, la determinazione e l’impegno di rimettere in discussione un modello agricolo che sta rappresentando (insieme ad altri modelli produttivi-economici) il vero nemico di una crescita pacifica dell’Umanità e della sovranità alimentare dei popoli.

Guido Bissanti




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