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Consumo di Suolo – Italia

Consumo di Suolo – Italia

Mentre la Politica si affanna ad improponibili ed oramai desuete battaglie senza più ideologia il nostro Paese affonda sempre più. Una nave che rischia di trascinare con se le future generazioni a cui, oramai, chiedere scusa è anche provocatorio.
Un Paese che è sempre più piccolo e non solo in termini culturali e politici ma anche in senso strettamente fisico.
I nostri figli erediteranno una disponibilità di suolo (su cui vivere, lavorare, muoversi, ecc.) sempre minore.
Ci riferiamo a quella scellerata mancanza di indirizzo politico centrale che, attraverso norme urbanistiche tutte da reinventare, consente ad ogni singolo Comune (di fatto) di erodere continuamente il suo patrimonio di suolo attraverso tutta una serie di attività che, in sostanza, contribuiscono ogni giorno a togliere suolo fisico ai futuri cittadini ed alla Natura. Un disastro di immani proporzioni che, tradotto in termini economici, vale più di qualunque PIL e bilancio di Stato.
Secondo i dati Ispra del 2016 “Il consumo di suolo continua inesorabilmente ad aumentare cancellando, al 2016, 23 mila kmq”. Una superficie pari alla dimensione di Campania, Molise e Liguria messe insieme; “il 7,6% del territorio nazionale”. Queste le nuove stime contenute nel rapporto sul consumo di suolo del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa), presentate di recente alla Camera.


Secondo queste previsioni il futuro è tutt’altro che roseo”. Gli scenari di proiezione di trasformazione del territorio italiano al 2050 parlano, nel migliore dei casi, di una perdita di ulteriori 1.635 kmq; di una perdita di 3.270 kmq in caso si mantenesse la bassa velocità di consumo dettata dalla crisi economica, oppure di 8.326 kmq nel caso in cui la ripresa economica riportasse la velocità al valore di 8 mq al secondo registrato negli ultimi decenni.
Insomma dati sconfortanti e sconcertanti soprattutto perché ad ascoltare quasi tutto il dibattito politico dell’intero arco costituzionale il silenzio è praticamente d’obbligo.
Un fenomeno che viaggia alla velocità di 4 metri quadrati “divorati” ogni secondo, per un totale di 35 ettari al giorno, ovvero 250 km quadrati in un biennio. E che ci costerà 800 milioni di euro l’anno. Oltre ad averci fatto dire addio in 25 anni a un quarto dei campi coltivabili.
L’Istituto superiore per la protezione ambientale lancia l’allarme: è urgente assicurare un reale contenimento del consumo di suolo, soprattutto nelle aree a rischio idrogeologico o sismico, dando ai Comuni indicazioni chiare e strumenti utili. “L’obiettivo non è bloccare il settore edilizio – sostiene l’Ispra – bensì promuovere un’edilizia di qualità, sostenibile nell’uso delle risorse ambientali”. Un appello rivolto alla politica che, in realtà, un primo risultato l’ha raggiunto: a maggio è stato approvato alla Camera il ddl contro il consumo di suolo. Il provvedimento adesso, come al solito, è fermo al Senato ma molti esprimono critiche su alcuni punti e forti dubbi sulla possibilità che possa completare l’iter fino all’approvazione definitiva.
Secondo l’Ispra il consumo di suolo in Italia continua a crescere, pur segnando un importante rallentamento negli ultimi anni: tra il 2013 e il 2015 le nuove coperture artificiali hanno riguardato altri 250 chilometri quadrati di territorio, ovvero, in media, circa 35 ettari al giorno, quasi come 35 campi di calcio. Una velocità di trasformazione di circa 4 metri quadrati di suolo che, nell’ultimo periodo, sono stati irreversibilmente persi ogni secondo. Dopo aver toccato anche gli 8 metri quadrati al secondo degli anni 2000, il rallentamento iniziato nel periodo 2008-2013 (tra i 6 e i 7 metri quadrati al secondo) si è consolidato, quindi, negli ultimi due anni, con una velocità ridotta di consumo di suolo, che continua comunque a coprire, ininterrottamente, aree naturali e agricole con asfalto e cemento, edifici e fabbricati, centri commerciali, servizi e strade. I dati della rete di monitoraggio dell’Istituto di protezione ambientale mostrano come, a livello nazionale, il suolo consumato sia passato dal 2,7% degli anni ‘50 al 7,0% stimato per il 2015, con un incremento di 4,3 punti percentuali e una crescita percentuale del 159% (1,2% ulteriore tra il 2013 e il 2015). In termini assoluti, si stima che il consumo di suolo abbia intaccato ormai circa 21.100 chilometri quadrati del nostro territorio.
A questi bisogna aggiungere i dati derivanti dai processi di desertificazione dei suoli agricoli e quelli derivanti dalla perdita delle superfici boschive (solo in parte compensati da nuovi “impianti” boschivi).
I costi della cementificazione non sempre immediatamente percepiti prevedono una spesa media che può arrivare anche a 55mila euro all’anno per ogni ettaro di terreno consumato e cambiano a seconda del servizio ecosistemico che il suolo non può più fornire per via della trasformazione subita. Si va quindi dalla produzione agricola (oltre 400 milioni) allo stoccaggio di carbonio (circa 150 milioni), dalla protezione dell’erosione (oltre 120 milioni) ai danni provocati dalla mancata infiltrazione dell’acqua (quasi 100 milioni) e dall’assenza di insetti impollinatori (quasi 3 milioni). Poichè ad un aumento di 20 ettari per km quadrato di suolo consumato corrisponde un aumento di 0.6 gradi della temperatura superficiale, è stato stimato che, solo per la regolazione del microclima urbano, il costo si aggira intorno ai 10 milioni l’anno.
Grazie all’uso di nuovi strumenti cartografici, l’Ispra è riuscita a individuare con più precisione le aree dove il problema della cementificazione selvaggia è più grave. L’area più colpita risulta essere il Settentrione, con un’accelerazione nelle regioni del Nord-Ovest rispetto al Triveneto che, fino al 2008, aveva una velocità di crescita maggiore. Nel 2015, in 15 regioni viene superato il 5% di suolo consumato, con il valore percentuale più elevato in Lombardia e in Veneto (oltre il 10%) e in Campania, Puglia, Emilia Romagna, Lazio, Piemonte, Sicilia e Liguria dove troviamo valori compresi tra il 7 e il 10%.
Dati che non ammettono né obiezioni né repliche. Urge un modello urbanistico che, sulla base di risultanze ecologiche ed agricolo-forestali, determini un nuovo modello di uso del suolo: ecosostenibile ed umanamente sopportabile. Anche qui è incredibile come, all’interno del nostro Paese, la normativa urbanistica sia eterogenea e di dubbia applicazione; si passa da Regioni con normative di recente aggiornamento (come la Sicilia) a Regioni dove il modello urbanistico è vetusto e non più proponibile. Purtroppo il comune denominatore rimane spesso la lentezza, la farraginosità e la conflittualità di varie norme e di vari Enti che invece di snellire il processo lo “ostacolano” con un effetto domino che finisce per incentivare abusivismo, spreco e degrado.
In termini percentuali è interessante rilevare come diversi comuni superino il 50%, e talvolta il 60%, di territorio consumato. Sono spesso località piccole o medio piccole che mostrano una tendenza a consumare suolo con dinamiche che si ricollegano ai processi di urbanizzazione dei rispettivi capoluoghi di provincia, con le caratteristiche tipiche di un’unica area metropolitana.
Niente viene risparmiato: nemmeno le coste; anzi. A livello nazionale più di un quinto della fascia compresa entro i 300 metri dal mare è ormai consumato. Tra le regioni con valori più alti entro i 300 metri dalla linea di costa si evidenziano Marche e Liguria con oltre il 45% di suolo consumato, Abruzzo, Campania, Emilia Romagna e Lazio con valori compresi tra il 30 e il 40%. Tra i 300 e i 1000 metri si segnalano invece Abruzzo, Emilia-Romagna, Campania e Liguria con oltre il 30% di consumato. Nella fascia tra 1 e 10 chilometri troviamo ancora la Campania con circa il 18% di consumato.
Le aree a rischio idrogeologico e sismico. Sul totale di suolo consumato in Italia, l’11,7% ricade all’interno di aree classificate a pericolosità da frana da moderata a molto elevata, il 16,2% in aree a pericolosità idraulica moderata e il restante 72,1% al di fuori di aree a pericolosità idrogeologica. I dati confermano, inoltre, l’elevata presenza di aree costruite all’interno delle zone a pericolosità sismica alta, con i valori massimi in Lombardia (14,3%) e in Veneto (12,5%) e nelle zone a pericolosità molto alta (il 4,5% a livello nazionale, il 6,5% in Campania).
Il consumo di suolo procapite. Il tasso di consumo di suolo in Italia confrontato con la crescita demografica mostra una crescita consistente nel corso degli anni fino al 2013, con un valore di suolo consumato pro-capite che passa dai 167 metri quadrati del 1950 per ogni italiano, a quasi 350 metri quadrati nel 2013. Nel 2014 ci sarebbe una prima leggera decrescita: il valore scende a 345 metri quadrati pro-capite.
Il confronto con l’Europa. Secondo le stime di Eurostat (2016), la quota di territorio con copertura artificiale in Italia è stimata pari al 7,0% del totale, contro il 4,1% della media dell’Unione Europea. L’Italia si colloca al sesto posto dopo Malta (32,6%), Belgio (12,1%), Paesi Bassi (12,3%), Lussemburgo (10,1%) e Germania (7,1%).
E mentre al Parlamento ed al Senato si litiga su lotte di potere sempre più lontane dai diritti dei cittadini e dell’ambiente che ci ospita sempre più a fatica i nostri figli si chiedono che razza di genitori li hanno messi al mondo.
Come al solito la storia non ci giudicherà bene.

Guido Bissanti




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