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Crocus sativus

Crocus sativus

Lo zafferano domestico (Crocus sativus L.) è una pianta perenne bulbosa tuttora sconosciuta in ambiente naturale della famiglia delle Iridaceae. È una mutazione del Crocus cartwrightianus e cioè di una specie originaria dell’isola di Creta.
La specie si differenzio per la coltivazione e selezione intensiva da parte di agricoltori per selezionare esemplari con stimmi allungati e di dimensioni maggiori.

Sistematica –
Dal punto di vista sistematico lo zafferano domestico appartiene al Dominio Eukaryota, al Regno Plantae, alla Divisione Magnoliophyta, Classe Liliopsida, Ordine Asparagales, Famiglia Iridaceae e quindi al Genere Crocus ed alla Specie C. sativus.

Etimologia –
Il nome del genere (Crocus) deriva dal greco Kròkos (nell’Iliade di Omero – Libro XIV, versetto 347 si fa esplicito riferimento a questo fiore) che significa “filo di tessuto” e si riferisce ai lunghi stigmi ben visibili e tipici della specie più conosciuta (e coltivata) di questo genere (Crocus sativus). La prima documentazione dell’uso di questo nome lo abbiamo da Teofrasto di Efeso (Efeso, 371 a.C. – Atene, 287 a.C.), filosofo e botanico greco antico nonché discepolo di Aristotele.
Altri testi traducono questo vocabolo (krokos) direttamente con “zafferano”, ma in realtà quest’ultima voce pare che derivi dall’arabo Zaafran.
Per quanto riguarda il nome scientifico di questo genere è stato definito nel 1753 dal biologo e scrittore svedese, Carl von Linné (Rashult, 23 maggio 1707 – Uppsala, 10 gennaio 1778).

Distribuzione Geografica ed Habitat –
Lo zafferano è originario dell’Europa (principalmente Spagna, Balcani e Mediterraneo orientale), dell’Africa nord-occidentale e dell’Asia minore e centrale fino alla Cina occidentale. Da questo esteso areale possiamo citare due specie: quella dell’estremo orientale, il Crocus alatavicus dei Monti Altai dell’Asia centrale e quella posta più a nord, il Crocus albiflorus delle altitudini montane delle Alpi.
Per quanto riguarda le specie spontanee della nostra flora solo sei vivono sull’arco alpino.
Anche se le terre d’origine sono l’Asia Minore e l’Europa orientale lo zafferano è però divenuto subspontaneo in certe zone d’Italia, come l’Abruzzo, ove viene coltivato in zone collinari calde e ben ventilate che non subiscono nel corso dell’anno grossi sbalzi di temperatura.

Descrizione –
Lo zafferano è una iridacea ed appartiene al genere Crocus di cui fanno parte circa 80 specie. La pianta adulta è costituita da un bulbo-tubero di un diametro di circa 5 cm. Il bulbo contiene circa 20 gemme indifferenziate dalle quali si originano tutti gli organi della pianta, in genere però sono solo 3 le gemme principali che daranno origine ai fiori e alle foglie, mentre le altre, più piccole, produrranno solo bulbi secondari. Durante lo sviluppo vegetativo dalle gemme principali del bulbo si sviluppano i getti, uno per ogni gemma; per cui da ogni bulbo ne spunteranno circa 2 o 3. I getti spuntano dal terreno avvolti da una bianca e dura cuticola protettiva, che permette alla pianta di perforare la crosta del terreno.
Il getto contiene le foglie ed i fiori quasi completamente sviluppati, una volta fuoriuscito dal terreno, si apre e consente alle foglie di allungarsi e al fiore di aprirsi completamente.
Per quanto riguarda il fiore dello zafferano, questo è un perigonio formato da 6 petali di colore violetto intenso. La parte maschile è costituita da 3 antere gialle su cui è appoggiato il polline. La parte femminile è formata dall’ovario, stilo e stimmi. Dall’ovario, collocato alla base del bulbo, si origina un lungo stilo di colore giallo che dopo aver percorso tutto il getto raggiunge la base del fiore, qui si divide in 3 lunghi stimmi di colore rosso intenso.
Le foglie del Crocus sativus sono molto strette e allungate. In genere raggiungono la lunghezza di 30–35 cm, mentre non superano mai la larghezza di 5 mm.
Il Crocus sativus è una pianta sterile triploide che, come detto, a seguito di una selezione operata in tempi passati da agricoltori, ha perso la capacità di riprodursi da solo. La sua struttura genetica lo rende incapace di generare semi fertili, per questo motivo la sua riproduzione è possibile solo per clonazione del bulbo madre e la sua diffusione è strettamente legata all’assistenza umana.

Coltivazione –
Dal punto di vista climatico la pianta dello zafferano si adatta molto bene ai climi caratterizzati da piovosità media non molto alta (300-400 mm annui), tipica della Spagna e della Grecia e dell’Italia insulare. Tollera anche climi più piovosi, come in Kashmir, dove l’indice di piovosità è molto intenso (1.500–2.000 mm annui). Bisogna però evitare assolutamente i ristagni d’acqua, che risultano molto dannosi per lo sviluppo della pianta; per questo motivo una coltivazione su terreno leggermente scosceso è preferibile ad una su terreno pianeggiante. Devono essere evitati i terreni poco permeabili e pesanti; è opportuno affrontare una coltivazione solo su terreni sabbiosi o comunque con tessitura sabbiosa prevalente, con un buon drenaggio e molto permeabili.
Il Crocus sativus sopporta rigide temperature invernali (anche inferiori allo 0 termico), i bulbi cominciano a soffrire quando il termometro scende sotto il valore di -12 °C. Il Crocus sativus tollera la neve e anche brevi periodi di gelo. Nel periodo estivo, quando la pianta si trova in fase di quiescenza, le alte temperature non creano alcun tipo di problemi al bulbo.
Per quanto riguarda le tecniche di coltivazione usate vengono distinte in:
• tecnica di coltura annuale;
• tecnica di coltura poliennale;
Per quanto riguarda la tecnica di coltura annuale, questa consiste nel prelevare dal terreno i bulbi al termine di ogni ciclo vegetativo, quindi in estate, per poi rimetterli a dimora in un appezzamento di terreno differente da quello precedente. Questa tecnica è la più laboriosa ed impegnativa dal punto di vista del lavoro umano ma consente di ottenere una migliore qualità della spezia e dà la possibilità al coltivatore di poter controllare ogni anno lo stato di salute dei propri bulbi. La richiesta di manodopera ha un impatto notevole su questo tipo di coltivazione perché le procedure di lavorazione non sono facilmente meccanizzabili. Soltanto la lavorazione del terreno può essere svolta con l’uso di macchine motocoltivatrici; il resto, dal prelievo alla messa in dimora dei bulbi, è operato con lavoro manuale.
Nel periodo tra luglio e agosto i bulbi sono raccolti dal terreno, operazione nella quale si utilizzano di solito picconi o piccole zappe; in questo modo è possibile estrarre i bulbi senza danneggiarli. Nella stessa giornata si procede anche alla mondatura dei bulbi, un processo che consiste nell’eliminazione della tunica del bulbo vecchio e nell’eliminazione dei bulbi troppo piccoli che, saranno riutilizzati e reimpiantati pochi giorni dopo.
Questo tipo di tecnica viene adottata nelle colture italiane dell’Abruzzo, della Toscana, delle Marche e dell’Umbria. All’estero è praticamente sconosciuta.
I vantaggi della coltura annuale sono legati alla rotazione della coltura: si forniscono maggiori risorse alla pianta, per questo motivo si ricavano stimmi molto più lunghi e pregiati.
Si ha un maggiore controllo dei parassiti: prelevando ogni anno i bulbi si ha la possibilità di verificare se ci sono delle piante malate; separandole dalle altre, si evita una possibile diffusione del parassita.
Si ottiene una migliore preparazione del terreno: il terreno su cui verrà preparata la nuova coltivazione è scelto in base ai requisiti richiesti dalla pianta. Nella primavera precedente alla messa in dimora dei bulbi il terreno è preparato con una corretta aratura di 30 cm di profondità. Contemporaneamente all’aratura si concima il terreno con letame bovino nelle dosi di circa 300 q/ha.
Si realizza un migliore controllo dalle erbe infestanti: la preparazione del nuovo terreno consente al coltivatore di eliminare quasi totalmente la presenza delle erbe infestanti.
Con la coltivazione annuale si ottiene poi una migliore distribuzione dei bulbi: ogni anno i bulbi possono essere correttamente ridistribuiti nel terreno. In genere la piantagione tipo è composta da più solchi profondi circa 15/20 cm, i bulbi vengono posti alla base del solco alla distanza di 1 cm l’uno dall’altro. Ogni solco è distante dall’altro 30 cm; una volta coperto prende il nome di fila. L’insieme di 4 file è detto aiuola; ogni aiuola è separata dalle altre da un solco di passaggio largo 40 cm e profondo almeno 20 cm. I solchi tra le aiuole hanno lo scopo di consentire il passaggio dei coltivatori e soprattutto debbono costituire un valido incanalamento per il deflusso delle acque piovane.
I svantaggi della coltura annuale consistono invece in una eccessiva richiesta di manodopera: vi è una grande richiesta di lavoro nel periodo estivo compreso tra luglio ed agosto; cioè quando i bulbi vengono prelevati, controllati e messi nuovamente a dimora. Di conseguenza il prezzo della spezia risulta più elevato.
Nella tecnica di coltura poliennale, che è il metodo più utilizzato dai paesi produttori di zafferano, i bulbi vengano prelevati dal terreno ogni determinato periodo di anni. La pianta quindi rimane nella stessa piantagione per più anni di seguito. In Sardegna il periodo medio è di 4 anni, mentre in Grecia i bulbi possono essere prelevati fino a 7 anni.
In queste coltivazioni le tecniche di preparazione del terreno sono le stesse che nella coltivazione annuale. La differenza sostanziale è nel posizionamento dei bulbi all’interno del solco, questi infatti devono essere posti ad una distanza di circa 12 cm, per lasciare lo spazio ai nuovi bulbi che si formeranno nel corso degli anni.
Questa tecnica presenta dei vantaggi. Intanto i minori costi di gestione in termini di manodopera: il terreno per il reimpianto viene preparato ogni 4 o più anni. Si hanno minori spese di gestione: non è necessario avere la disponibilità di molto terreno.
A questa tecnica si associano però alcuni svantaggi. Innanzitutto la pianta ha minori risorse: nonostante una buona concimazione, la pianta del Crocus avrà ogni anno meno risorse dal terreno. Ciò si traduce in una qualità della spezia inferiore rispetto a quella proveniente da una coltivazione annuale.
Il pericolo di attacchi parassitari aumenta: il controllo della diffusione dei parassiti è più complicato, la pianta malata deve essere individuata fra le altre ed eliminata.

Usi e Tradizioni –

Nelle aree coltivate l’utilizzo di questi fiori viene fatto sia per scopi ornamentali che per fini officinali. La specie più importante e l’unica che abbia una certa rilevanza economica è il Crocus sativus. Oggi viene coltivato principalmente nella zona mediterranea, ma a oriente si arriva fino al Kashmir.
La coltivazione dello zafferano si perde nella notte dei tempi. Il poeta latino Sesto Aurelio Properzio (circa 50 a.C. – 15 a.C.) nel suo “3°Libro” parla di un certo unguento “crocino” che è senz’altro riconducibile allo Zafferano.
Gli stimmi del Crocus sativus sono usati nella medicina popolare per le loro proprietà quali quella tonica (rafforza l’organismo in generale), emmenagoga (regola il flusso mestruale), stimolante (rinvigorisce e attiva il sistema nervoso e vascolare) ed eupeptica (favorisce la digestione). Quest’ultimo uso è forse l’unico ancora praticato.
È un afrodisiaco antico e moderno: già utilizzato dalle divinità greche per risvegliare l’energia sessuale, oggi è stato confermato che lo zafferano stimola la produzione di ormoni che tonificano la sfera sessuale, mentre gli antiossidanti migliorano la circolazione.

In cucina lo zafferano viene usato solamente come spezia o colorante; infatti se usato oltre una certa misura (cosa da attenzionare particolarmente) è tossico. Basti pensare che una dose di 20 g al giorno di zafferano può anche risultare mortale.
Un altro utilizzo che viene fatto di questi fiori è nel giardinaggio e questo fin dai tempi più antichi. Esiste una documentazione nell’isola di Creta (un affresco a Cnosso) che indica chiaramente che veniva praticata sia la raccolta che la coltivazione del “Croco”.
Famosa è la celebre la fioritura di crochi nei giardini del Castello di Rosenborg a Copenaghen, che disposti in geometrie formano un caratteristico tappeto colorato.
La spezia prodotta dal Crocus sativus contiene circa 150 sostanze aromatiche volatili. Si ricordi inoltre che lo zafferano è uno degli alimenti più ricchi di carotenoidi. Lo zafferano contiene infatti sostanze come: la Zeaxantina, il Licopene e molti alfa-beta caroteni. Tuttavia è possibile identificare tre composti chiave, ciascuno dei quali è associato ad una caratteristica sensoriale: le crocine (colore), il safranale (aroma) e la picrocrocina (gusto).
Il colore giallo-oro, che la spezia conferisce alle pietanze, è dovuto alla presenza dell’α-crocina. Questo composto è il risultato della reazione di esterificazione tra il β-D-gentiobiosio e il carotenoide crocetina. La presenza del glucosio conferisce alla crocina la proprietà di essere un composto idrosolubile. Allo stesso tempo la presenza della crocetina, un poliene contenente un gruppo carbossilico, rende la crocina un composto idrofobico, quindi solubile nei grassi.
Il componente chiave dell’aroma dello zafferano che presenta proprietà antiossidanti è il safranale; un’aldeide terpenica volatile derivata dalla degradazione della picrocrocina, a sua volta prodotto di degradazione della zeaxantina.
La picrocrocina è un glucoside monoterpenico derivato dalla degradazione della Zeaxantina. Durante l’essiccamento dello zafferano dalla picrocrocina si libera l’aglicone, che per perdita di una molecola d’acqua origina il safranale. Questo è il principale responsabile del sapore amaro dello zafferano.
Ricordiamo che lo zafferano contiene inoltre le vitamine A, B1 e B2.
Un tempo allo zafferano, di cui si utilizzano gli stimmi, venivano attribuite proprietà antispastiche, antidolorifiche e sedative. Oggigiorno, tuttavia, sono stati trovati composti abortivi e, come detto, l’uso di 20 g al dì di zafferano può anche risultare mortale.
L’uso dello zafferano può provocare anche effetti collaterali quali vertigini, torpore e manifestazioni emorragiche da riduzione del numero delle piastrine (trombocitopenia) e da ipoprotrombinemia (diminuzione della protrombina).
Lo zafferano, attualmente, viene utilizzato solamente dall’industria alimentare e in gastronomia come spezia o come colorante, anche se è ricco di carotenoidi che riducono i danni cellulari provocati dai radicali liberi. Uno dei suoi utilizzi più tipici nella cucina italiana è nel risotto alla milanese, per intenderci il “risotto giallo”, così noto appunto per la colorazione che lo zafferano dà alla ricetta.
Le prime notizie moderne di una coltivazione di queste piante risalgono a oltre 400 anni fa: infatti nel “The Herball or Generall Historie of Plantes” del botanico inglese John Gerard (Nantwich, 1545 – Londra,1612), pubblicato nel 1597, descrive varie specie di questo genere come il Crocus vernus, il Crocus versicolor, il Crocus sativus e altri. Trent’anni più tardi e precisamente nel 1629 un altro botanico inglese, John Parkinson (1567–1650), nella sua opera “Paradisi in sole”, elenca già 27 specie di Crocus; ed è dello stesso anno l’importazione del Crocus aureus il progenitore della razza “Crochi olandesi gialli”. Infatti è proprio nel Seicento che gli olandesi svilupparono le loro tecniche di riproduzione dei fiori da bulbo compresi i crocus.
La conoscenza di questi fiori va molto indietro nel tempo. Ciò è dimostrato dal fatto che persino nel Libro dei Cantici della Bibbia (4:14) vengono citati come piante aromatiche e odorose. Nell’antica Grecia si usavano per farne corone oppure si spargevano nei teatri o nei letti nuziali. Mentre nell’antica Roma si usava ornare le tombe con questo fiore come auspicio per una vita ultraterrena.
Varie sono le leggende attorno al fiore del “Croco”. In una di queste Croco era un giovane innamorato della pastorella Smilliace che venne trasformato in detto fiore ad opera di Venere o in un’altra versione venne trasformato in fiore dal dio Ermes geloso della pastorella. In un’altra si racconta che Croco morì giocando con Mercurio e che dal suo sangue nacque il fiore. In un’altra legenda ancora si racconta che il fiore del croco germogliasse nel momento in cui Paride dava il suo giudizio sulla più bella fra le dee.
Probabilmente in tutti questi racconti si fa riferimento alla specie più conosciuta di questo genere: il Crocus sativus chiamato “Zafferano vero” o più semplicemente “Croco”. Descritto più o meno diffusamente da studiosi come Dioscoride Pedanio (Anazarbe in Cilicia, 40 circa – 90 circa), botanico e farmacista greco antico, oppure da Pietro Andrea Mattioli (Siena, 12 marzo 1501 – Trento, 1578) umanista e medico italiano (primo studioso italiano a tradurre dal greco le opere di Dioscoride). Si deve comunque al botanico francese Joseph Pitton de Tournefort (Aix-en-Provence, 5 giugno 1656 – Parigi, 28 dicembre 1708) la prima stesura “scientifica” di questo genere ripresa poi definitivamente da Carl von Linné.

Modalità di Preparazione –
La polvere di zafferano, oltre a rendere gustosi e saporiti i più diversi piatti, come detto è una miniera di sostanze preziose per l’organismo.
La cosa più interessante nell’uso dello zafferano, oltre a quella di spezia e colorante, è che contiene zero calorie: pur regalando sapore ad ogni piatto a cui viene mescolato, non aggiunge grassi né calorie e inoltre stimola il metabolismo, prevenendo anche le infezioni intestinali.
L’uso dello zafferano in cucina spazia dall’antipasto al dolce ma le combinazioni migliori si hanno con il riso, i crostacei, i frutti di mare, le carni in umido e le salse delicate. In questi casi il gusto dello zafferano arricchisce, colora ed esalta i sapori.

Solitamente questa spezia va aggiunta a fine cottura, altrimenti perde il suo sapore e il suo profumo; bisogna prestare particolare attenzione anche al dosaggio: per tre/quattro persone è sufficiente una bustina da 0,15 grammi.
In alcuni casi (nei piatti in umido, per esempio) è possibile aggiungerlo fin dall’inizio della cottura, stemperandolo però in acqua.
I piatti preparati con lo zafferano si abbinano solitamente a vini bianchi frizzanti e di buona struttura o a rossi morbidi e non troppo tannici, che altrimenti esalterebbero solamente la nota amara dello zafferano.
Lo zafferano puro è di colore rosso vivo, non deve avere puntini bianchi e non deve essere troppo umido. Per mantenere il suo aroma intatto, va conservato in un posto buio e asciutto.
Diffidate da spezie simili ma di colore diverso (giallo senape, per esempio): si tratta di curcuma o cartamo, molto meno pregiate poiché non hanno odore né sapore.

Guido Bissanti

Fonti
– Wikipedia, l’enciclopedia libera.
– Treben M., 2000. La Salute dalla Farmacia del Signore, Consigli ed esperienze con le erbe medicinali, Ennsthaler Editore
– Pignatti S., 1982. Flora d’Italia, Edagricole, Bologna.
– Conti F., Abbate G., Alessandrini A., Blasi C. (a cura di), 2005. An annotated checklist of the Italian vascular flora, Palombi Editore.

Attenzione: Le applicazioni farmaceutiche e gli usi alimurgici sono indicati a mero scopo informativo, non rappresentano in alcun modo prescrizione di tipo medico; si declina pertanto ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.




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