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Uso delle acque salmastre in agricoltura

Uso delle acque salmastre in agricoltura

L’uso dell’acqua in agricoltura è da sempre la principale fonte per far incrementare le rese produttive ed, in certi casi, l’unico presupposto per poter ottenere determinate produzioni.
Negli ultimi decenni l’incremento dei fabbisogni irrigui, legati a vari fattori, come la scelta di produzioni di maggiori reddito, oltre che di incremento delle rese, ha spinto gli agricoltori ad una sempre maggiore ricerca delle fonti di approvvigionamento idrico.
Non sempre però l’uso dell’acqua nelle produzioni agricole viene pianificato con criterio e spesso non ci si affida a tecnici specializzati per pianificare con criterio questa importante risorsa.
In particolar modo sono le acque con cariche saline elevate a dover preoccupare da un lato gli agricoltori e dall’altro l’intera comunità per gli effetti anche di breve periodo che queste possono avere sia sulle rese produttive che sulla fertilità dei suoli.
Ma andiamo per gradi.
Spesso, senza eseguire una semplice analisi chimico-fisica, tra l’altro del costo di sole alcune decine di euro, si inizia l’irrigazione di una coltura senza considerare gli effetti che le acque possono avere sulle piante, sul suolo e, col tempo, anche sulle rese produttive.
Le acque non sono tutte le stesse così come differenti sono le risposte delle singole specie vegetali e dei differenti tipi di suolo.
Sono soprattutto le acque salmastre che possono provocare seri problemi alle produzioni ed ai suoli. Inoltre, in generale, il concetto di acqua salmastra è molto generico, in quanto vanno valutati, in generale, la presenza dei singoli Sali ed il rapporto tra questi all’interno dell’acqua.

Acque salmastre e colture agrarie –
Generalmente, le specie sono divise in quattro classi: tolleranti, moderatamente tolleranti, moderatamente sensibili e sensibili.
Tra le specie tolleranti sono da annoverare la barbabietola, il cotone, l’orzo. Sorgo e frumento sono generalmente comprese fra le mediamente tolleranti. Più numerosa risulta la terza classe (moderatamente sensibile) con soia, riso, mais e diverse altre specie orticole e da foraggio. Fortunatamente l’ultima classe (sensibili) comprende relativamente poche specie tra le quali si possono citare il fagiolo, la lattuga, gli agrumi, il pesco.
Alcune piante poi risentono in modo particolare della concentrazione di alcuni Sali, anche in acque mediamente salmastre, come gli agrumi, che già a basse concentrazioni di sodio nel suolo, o nelle acque di irrigazioni, vanno incontro a fenomeni di clorosi indotte dall’effetto concorrenza che il sodio provoca nell’assorbimento di alcuni macro o micro elementi (la più nota è la clorosi ferrica); anzi alcune clorosi diagnosticate come carenze di questi elementi sono di frequente determinate dall’impossibilità delle pianta di assorbirli per eccessiva presenza di questo elemento nella soluzione circolante. Ovviamente i motivi delle clorosi possono essere molto più disparati ed, anche qui, un’analisi del suolo e delle acque toglie ogni possibile frainteso.

Acque salmastre e suolo –
Gli effetti però più pericolosi delle acque salmastre si hanno sul suolo.
Il deterioramento del suolo è indubbiamente l’effetto negativo più noto della pratica irrigua, e si manifesta direttamente sui suoli agricoli. L’acqua persa per evapotraspirazione è infatti essenzialmente pura, per cui i sali apportati con l’acqua d’irrigazione, anche se dolce, si concentrano nel suolo. Utilizzando un’acqua di buona qualità comunque si apportano al terreno notevoli quantità di sali; se questi non vengono allontanati per lisciviazione nelle acque di drenaggio, e l’irrigazione continua nel tempo, il progressivo accumulo renderà progressivamente più grave il disturbo osmotico e l’effetto tossico di alcuni ioni nei confronti delle colture fino all’isterilimento del suolo.
I problemi di salinizzazione secondaria sono naturalmente accentuati quando si utilizzano acque dure, o in presenza di una falda salina superficiale, nei suoli con problemi di conducibilità idraulica e di drenaggio, nelle regioni aride e semiaride in cui all’ elevato flusso evapotraspirativo si associa la ridotta piovosità. Il degrado del suolo risulta quanto mai rapido ed irreversibile quando si utilizzano acque ad elevato contenuto in sodio o se si pratica l’irrigazione su terreni costituzionalmente sodici. Il rapido deterioramento strutturale che si manifesta in questi casi, particolarmente nei terreni colloidali, può rendere impraticabile la stessa agricoltura.
Gli effetti di accumulo della salinità del suolo, può portare alla lunga a fenomeni di destrutturazione dei suoli, perdita di coesione, della fertilità e, alla lunga, al fenomeno vero e proprio della desertificazione.
Questo errore di gestione è stato commesso storicamente da vari popoli, come già 4000 anni fà dai Sumeri con la nascita dell’agricoltura nel bacino della Mesopotamia tra il Tigri e l’Eufrate, e viene tuttora ripetuto in quasi tutti i comprensori irrigui. Le aree salinizzate aumentano con un ritmo di circa 2 milioni di ettari l’anno, e si ritiene che la salinizzazione sia la seconda causa, dopo l’erosione, della perdita irreversibile della risorsa suolo.
L’utilizzo delle acque irrigue non va quindi praticato con molta leggerezza in quanto il bene suolo è una risorsa non rinnovabile o, per lo meno, non rinnovabile nel breve o medio periodo, cosa che può determinare pertanto insuccessi di coltivazione, nel giro di pochi anni e la perdita della fertilità del suolo permanente, almeno sulle scale di tempo umane.
In questo senso, per meglio comprendere come comportarsi nell’uso di un’acqua per uso irriguo, si rimanda alla seguente pagina, dove si indica il metodo per interpretare un’analisi, che è, ripeto, un criterio obbligatorio prima di iniziare l’irrigazione di una coltura agraria.

Guido Bissanti




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