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Indigofera tinctoria

Indigofera tinctoria

L’ Indaco dei tintori (Indigofera tinctoria L., 1753) è una specie arbustiva appartenente alla famiglia delle Fabacee.

Sistematica –
Dal punto di vista sistematico appartiene al Dominio Eukaryota, Regno Plantae, Divisione Magnoliophyta, Classe Magnoliopsida, Ordine Fabales, Famiglia Fabaceae, Sottofamiglia Faboideae, Tribù Indigofereae e quindi al Genere Indigofera ed alla Specie I. tinctoria.
Sono sinonimi i termini:
– Anila tinctoria var. normalis Kuntze;
– Indigofera anil var. orthocarpa DC.;
– Indigofera bergii Vatke;
– Indigofera cinerascens DC.;
– Indigofera houer Forssk.;
– Indigofera indica Lam.;
– Indigofera oligophylla Baker;
– Indigofera orthocarpa (DC.) O.Berg & C.F.Schmidt;
– Indigofera sumatrana Gaertn.;
– Indigofera tinctoria Blanco;
– Indigofera tulearensis Drake.

Etimologia –
Il termine Indigofera viene dallo spagnolo indigo (in latino indicum, in greco ινδικος indikos) e da fero porto: quindi che fornisce il colorante indaco.
L’epiteto specifico tinctoria proviene da tíngo tingere: utilizzata per tingere stoffe.

Distribuzione Geografica ed Habitat –
L’Indigofera tinctoria è una pianta di origine tropicale e che, quindi, ben si adatta ai vari climi tropicali. L’origine è molto probabilmente delle aree dell’ India in quanto il suo habitat nativo è sconosciuto poiché è una pianta coltivata da secoli in tutto il mondo; successivamente venne diffusa e coltivata anche in Cina e nelle Americhe prima di diventare a così larga diffusione.
Questa pianta è comunque spontanea in Africa, in Oceania e in gran parte del Sud-est asiatico e successivamente è stata introdotta in altre parti dell’Asia e nei Caraibi, causando un certo impatto ambientale a causa dell’abbondante proliferazione di questa pianta a discapito delle coltivazioni.

Descrizione –
L’ Indaco dei tintori è una pianta arbustiva che può raggiungere da 1 a 2 m di altezza. Si può presentare, anche in funzione del clima, come pianta annuale, biennale o perenne.
Le foglie sono pennate e di colore verde chiaro.
I fiori sono portati in forma di spiga e colorati dal rosa al viola.
I frutti sono dei legumi lunghi, tondeggianti di colore marrone – rossastro al cui interno sono presenti dei piccoli semi di forma quasi cilindrica e di colore bruno.

Coltivazione –
L’Indigofera tinctoria è una pianta che si coltiva a partire dalla semina ed il periodo migliore per effettuare questa operazione è la primavera.
La fioritura si ha dopo circa tre mesi. In quel momento le foglie assumono un colore violaceo, ciò è indice del fatto che il contenuto in indaco è elevato. Il principio tintorio, l’indacano, è sprigionato dalle foglie, le quali contengono, inoltre, il bruno d’indaco e pigmenti flavonici gialli. La quantità e la ripartizione percentuale dei pigmenti presenti varia sia da specie a specie, sia a seconda dell’età della pianta. Si pensa che la coltivazione dell’indigo, per garantire migliori risultati, debba essere fatta in un luogo ove la temperatura media giornaliera, per tre mesi consecutivi, si mantenga sui 22°C.
Inoltre, essendo un legume, la sua presenza nelle rotazioni agrarie migliora il suolo così come altri legumi atmosferici che fissano l’azoto.

Usi e Tradizioni –
La storia dell’utilizzo dell’ Indigofera tinctoria si perde nella notte dei tempi. L’impiego dell’indigo nella colorazione delle fibre naturali risale ai primordi della civiltà: i nostri antenati Europei del Neolitico conoscevano già questa tintura dei toni bluastri, sebbene ricorressero all’utilizzo di un’altra pianta.
Gli antichi popoli dell’Asia lo adoperavano per tingere gli indumenti già nel 2000 a.C., così come gli antichi Egizi; una tavoletta babilonese del VII secolo a.C. riporta una ricetta per tingere la lana con questa pianta. A differenza dei popoli asiatici e africani, gli europei non utilizzavano però l’indigo come tintura dei tessuti ma lo impiegavano nella cosmetica, come medicinale e per creare pigmenti coloranti ai fini pittorici.
In Egitto durante il periodo dei faraoni, infatti, si ricava il colore blu dall’utilizzo del guado (Isatis tinctoria). Tale arte tintoria si diffuse poi in Grecia e successivamente in Italia, dove i Romani svilupparono intensamente la coltura dell’Isatis tinctoria. È interessante il fatto che già presso i Greci ed i Romani, era noto che nei paesi dell’Estremo Oriente esisteva una tintura blu molto potente e resistente: l’indicum o indikon, chiamato anche blu delle indie o indaco. La cosa sorprendente, e che a quei tempi non si immaginava neppure, è che le due tinture, indaco e guado, benché ottenute da piante diverse, permettano di ottenere lo stesso principio tintorio, l’indaco o indigotina. Non a caso il termine Hennè Nero risulta ambivalente nell’indicare sia l’indigo, ossia Indigofera Tinctoria, che il guado, ossia l’Isatis Tinctoria.
Nel corso del XVII secolo, infatti, con l’introduzione dell’Indigofera, l’industria del guado entrò repentinamente in crisi perché l’indigo si dimostrò essere economicamente più conveniente. L’indaco offriva l’enorme vantaggio di eliminare i processi lavorativi di macinazione e macerazione.
Inizialmente in Europa per tingere il blu si utilizzava il guado, Isais Tinctoria (il famoso blu di Piero della Francesca), finché Marco Polo non portò dall’Oriente la ricetta per tingere con l’Indigofera.
Fu infatti Marco Polo, nel 13° secolo, il primo europeo a riferire sulla preparazione dell’indaco in India. L’indaco fu usato abbastanza spesso nella pittura da cavalletto europea, a partire dal Medioevo.
L’indigo indiano ebbe un ruolo rilevante nell’economia dell’india in quanto questa fondamentale materia tintoria , essendo nella migliore qualità per centinaia di anni venne esportata in tutto il mondo. Il vero e proprio Indigo non deriva solo dalla pianta ma da tutto un procedimento di fermentazione, macerazione, ossidazione ed infine essiccazione delle foglie di Indigofera fino al raggiungimento della famosa polvere.
Il commercio di questa pianta risultava molto propizio per gli Asiatici fino allo sbarco di Vasco da Gama a Calicut. Da quel momento in poi gli Europei poterono importarla senza necessariamente intermediare con i mercati asiatici a prezzi più convenienti; eppure la sua produzione continuò anche sotto il dominio inglese dell’India.
Oggi la maggior parte della tintura è sintetica, ma la tintura naturale di Indigofera tinctoria è ancora disponibile, commercializzata come colorazione naturale dove è conosciuta come tarum in Indonesia e nila in Malesia. In Iran e nelle aree dell’ex Unione Sovietica è noto come basma. La pianta è anche ampiamente coltivata per migliorare il suolo.
La tintura che se ne ricava è ottenuta dalla lavorazione delle foglie della pianta. Sono immersi in acqua e fermentati al fine di convertire l’indicotina di colorante blu presente naturalmente nella pianta nell’indigotina di colorante blu. Il precipitato dalla soluzione fogliare fermentata viene miscelato con una base forte come la lisciva.
Il principio tintorio, l’indacano, è sprigionato dalle foglie, le quali contengono, inoltre, il bruno d’indaco e pigmenti flavonici gialli. La quantità e la ripartizione percentuale dei pigmenti presenti varia sia da specie a specie, sia a seconda dell’età della pianta. Si pensa che la coltivazione dell’indigo, per garantire migliori risultati, debba essere fatta in un luogo ove la temperatura media giornaliera, per tre mesi consecutivi, si mantenga sui 22°C.
Oggi la polvere di Indigofera è ampiamente utilizzata per la colorazione naturale dei capelli al fine di ottenere tonalità scure o brune. Poco dopo l’applicazione, i capelli acquistano una tonalità verde/blu, mentre i capelli bianchi assumono un riflesso tendente al cenere.
L’utilizzo dell’hennè nero su capelli castano scuro o bruni porta a gradevoli risultati, la base di partenza assumerà gradualmente toni color melanzana. Ottenendo così un effetto scurente e brillante sull’intera capigliatura.
All’interno delle foglie di Indigofera tinctoria sono state isolate varie sostanze chimiche come flavonoidi, terpenoidi, alcaloidi e tannini.
La sostanza presente nella pianta e più utile a creare il pigmento finale è però l’indicano, un glicoside che idrolizza in indossile e glucosio per azione di enzimi vegetali e soluzioni chimiche; l’indossile per azione dell’ossigeno atmosferico si trasforma quindi in indigotina (o indaco), la cui struttura contiene due gruppi indolici.
È stata inoltre estratta una sostanza, l’indirubina, che ha dimostrato una blanda azione antitumorale ed è colorata di rosso.
Oltre a fornire l’indaco, l’Indigofera tinctoria sembra avere diversi effetti curativi.

Modalità di Preparazione –
L’ Indaco dei tintori non contiene direttamente il pigmento, motivo per cui deve essere ricavato per mezzo di un lungo e complesso procedimento, il quale prevede una reazione di ossidoriduzione.
La procedura per l’estrazione del colore prevede la fermentazione delle foglie e dei fusti in una soluzione basica riducente (da cui l’ossigeno deve essere rimosso) per ottenere la cosiddetta forma “leuco”. Si passa così alla ossidazione dell’indossile ottenuto dalla fase precedente tramite esposizione all’aria. Da questo processo si otterrà l’indaco, pigmento insolubile in acqua.
L’indaco si deposita quindi sul fondo del recipiente utilizzato.
Viene poi riscaldato l’indaco per far evaporare completamente l’acqua.

Guido Bissanti

Fonti
– Acta Plantarum – Flora delle Regioni italiane.
– Wikipedia, l’enciclopedia libera.
– Treben M., 2000. La Salute dalla Farmacia del Signore, Consigli ed esperienze con le erbe medicinali, Ennsthaler Editore
– Pignatti S., 1982. Flora d’Italia, Edagricole, Bologna.
– Conti F., Abbate G., Alessandrini A., Blasi C. (a cura di), 2005. An annotated checklist of the Italian vascular flora, Palombi Editore.

Attenzione: Le applicazioni farmaceutiche e gli usi alimurgici sono indicati a mero scopo informativo, non rappresentano in alcun modo prescrizione di tipo medico; si declina pertanto ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.




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