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Gli Etruschi e l’agricoltura

Gli Etruschi e l’agricoltura

Gli Etruschi furono un antico popolo italiano evolutosi nell’ Etruria; un’area che corrisponde all’incirca alla Toscana, all’Umbria fino al fiume Tevere e al Lazio settentrionale. In un secondo periodo si espansero a nord nella zona padana (attuali Emilia-Romagna, Lombardia sud-orientale e Veneto meridionale) e a sud fino in Campania. Una civiltà che visse tra il VIII secolo a.C. ed il 396 a.C., influenzando molto la civiltà romana e facendosi infine assimilare fino all’inglobamento definitivo che avvenne con la conquista di Veio da parte dei romani, appunto nel 396 a.C.. L’inizio della storia degli Etruschi li vede principalmente come agricoltori e pastori, attività che non abbandonarono mai anche quando si dedicarono ad altre attività. Nei secoli dello sviluppo della Civiltà Villanoviana, coltivavano ceci, orzo e triticum dicoccum, una qualità di frumento non particolarmente pregiata, ma facilmente coltivabile nelle loro zone umide.
Successivamente con lo sviluppo delle tecniche agricole, molto ammirate da Greci e Romani, gli Etruschi incrementarono il numero delle coltivazioni producendo anche vino ed olio. La testimonianza ci viene da Livio: “la regione era una delle più fertili d’Italia, la campagna etrusca, che si stende tra Fiesole ed Arezzo, ricca per l’abbondanza di frumento, di greggi ed ogni cosa…” importantissima la testimonianza di Varrone che entra nel merito anche delle rese agricole: “Perciò terrai presente, riguardo alla quantità di semenza, l’uso di quel paese in modo da comportarti di conseguenza…. tanto che dallo stesso seme in un posto si ricava 10 volte tanto, in un altro 15 volte tanto, come in qualche zona dell’etruria”. Gli Etruschi, esportarono le loro produzioni di grano fino a Roma, soprattutto nei periodi di carestia del V sec.a.C. e della guerra contro Cartagine del 205 a.C.. Ma la cosa più incredibile, per i tempi, furono le leggi molto severe che gli Etruschi emanarono sull’agricoltura; leggi, codici e tecniche che passarono poi ai romani. Infatti è degli Etruschi l’introduzione in Italia della scienza della misurazione dei terreni (attraverso uno strumento che si chiamava groma). Le norme erano così ferree che i loro sacerdoti che delimitarono per primi, con un rituale solenne, i campi dei singoli proprietari, decretarono che chi avesse spostato una pietra o cippo di confine, sarebbe stato condannato a morte.
Importante testimonianza delle tradizioni agricole degli Etruschi è quella della viticoltura e delle sue tecniche.
Gli Etruschi sono stati, infatti, i primi in Italia a coltivare la vite a partire dalle varietà selvatiche. Era una pianta che vedevano nel loro ambiente naturale, di cui avevano già imparato a raccogliere i frutti nei boschi.
Sembra che gli Etruschi coltivassero la vite fin dall’età del Bronzo, comunque almeno dal XII sec. a.C.
Più tardi, con lo sviluppo della civiltà, essendo grandi navigatori e mercanti, ebbero contatti sempre più intensi con i popoli del Mediterraneo orientale (soprattutto con i Greci), dove cultura e tecniche viticole erano già più evolute. Questo permise loro di affinare le tecniche produttive, d’importare nuovi attrezzi e nuove modalità di lavoro. Vennero importati anche nuovi vitigni di origine orientale, il cui processo di domesticazione era iniziato in epoca ben più remota nell’area del Caucaso. I nuovi vitigni vennero coltivati tal quali e anche incrociati con le varietà locali.
Gli Etruschi coltivavano le viti come le vedevano crescere spontaneamente nei boschi. La vite è un arbusto rampicante, una specie di liana. In un bosco, il suo ambiente naturale alle nostre latitudini, tende ad arrampicarsi su un albero per raggiungere il più possibile la luce (è molto eliofila), tuttavia non è però una specie parassita: la vite non interferisce con l’albero su cui s’aggrappa.

Questa modalità di coltivazione etrusca è stata chiamata per secoli, appunto, vite maritata. La vite è come “sposata” all’albero a cui s’avvinghia. Questa definizione non è d’epoca etrusca ma nacque più tardi, in epoca Romana. Gli Etruschi sembra che l’indicassero col termine di àitason (letto, probabilmente, “aitasun”).
Le viti erano allevate soprattutto su aceri campestri, ma anche pioppi, olmi, ulivi ed alberi da frutto. In origine non erano potate, più tardi furono soggette a potatura lunga. La vite quindi tendeva a crescere molto, ad avere tralci anche lunghissimi. La raccolta dell’uva era effettuata con le mani o con falcetti, con scale appoggiate agli alberi, oppure usando strumenti dal manico molto lungo.
Ovviamente a queste forme originarie seguirono evoluzioni successive, descritte da vari autori storici.
Gli Etruschi trasmisero infatti molto della loro cultura anche alla nascente civiltà romana, compresa la viticoltura e la produzione del vino. Infatti, nella viticoltura romana antica, come testimoniato nel De Agri Cultura di Catone (II sec. a.C.), la coltivazione della vite era fatta alla maniera etrusca, maritandola all’olmo o al fico. L’àitason etrusco divenne l’arbustum (vitatum) latino, che Catone a volte chiama anche vinea, così come Cicerone.
Gli Etruschi erano a conoscenza delle tecniche di accumulo e distribuzione dell’acqua per l’agricoltura; tecniche idrauliche già sperimentate in Egitto, Mesopotamia e Grecia. Costruirono canali e dighe per irrigare i terreni, prosciugarono e bonificarono paludi col sistema del drenaggio; resti che tutt’oggi si trovano in Maremma. Secondo Varrone era degli Etruschi l’apprendimento dell’arte dei rabdomanti. Non rimangono invece testimonianze della coltivazione degli ortaggi, molto probabilmente perché a causa della loro deperibilità non erano oggetto facile di commercio con zone lontane. Gli attrezzi agricoli utilizzati dagli Etruschi erano: zappe, falci, vanghe e aratri leggerissimi dotati di vomeri di ferro. L’aratura all’inizio operata dagli uomini fu operata da buoi di grande forza con aumento anche del peso degli aratri e della profondità di aratura. Dall’agricoltura all’alimentazione ovviamente il passo è breve. Gli Etruschi si nutrivano di farina di farro, un tipo di grano facilmente coltivabile che, prima di essere usati come cibo, i chicchi di farro dovevano essere torrefatti, per togliere loro la gluma (una specie di pellicina che li ricopre) ed eliminare l’umidità. Con questa farina venivano preparate pappe e farinate, bollite con acqua e latte. Ma l’alimentazione degli Etruschi era ovviamente più varia; prevedeva anche varie specie di legumi, come lenticchie, ceci e fave ma veniva integrata con la carne di maiale, la selvaggina, il cinghiale, la carne di pecora e tutti i prodotti derivati dal latte. Le testimonianze storiche ci dicono che si nutrivano anche di pesce, in particolar modo presso Populonia e Porto Ercole ed, inoltre, conoscevano la forchetta. Ne sono state rinvenute simili alle nostre, cioè con i quattro rebbi incurvati, ma con un fusto sottile cilindrico e una pallina in cima. Si pensa però che fossero utilizzate per fermare la carne per tagliarla nel piatto di portata e non per uso personale.

Guido Bissanti




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