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Macrolepiota procera

Macrolepiota procera

La mazza di tamburo (Macrolepiota procera (Scop.) Singer, 1948), conosciuta in vario modo, come puppola, bubbola maggiore, ombrellone o parasole, capeon, ombreon ed altri nomi dialettali, appartiene alla famiglia delle Agaricaceae.

Sistematica –
Dal punto di vista sistematico appartiene al Dominio Eukaryota, Regno Fungi, Divisione Basidiomycota, Sottodivisione Agaricomycotina, Classe Agaricomycetes, Sottoclasse Agaricomycetidae, Ordine Agaricales, Famiglia Agaricaceae e quindi al Genere Macrolepiota ed alla Specie M. procera.

Etimologia –
L’etimologia proviene dal greco μακρόϛ macrós grande e dal genere di funghi Lepiota di grandi dimensioni; il termine procerus proviene invece dal latino è significa slanciato, affusolato.

Distribuzione Geografica ed Habitat –
La Macrolepiota procera vive spesso gregario indifferentemente in boschi di latifoglie o di conifere, come nei prati, nelle radure e sui bordi della strada. È un fungo spesso gregario ed è diffuso sia nel Nord America che in Europa. La sua presenza nei boschi è sia estiva che autunnale.

Descrizione –
Le mazze di tamburo sono tra i più vistosi funghi conosciuti ed apprezzati soprattutto per la loro commestibilità. Bisogna però stare attenti alla sua tossicità da cruda (caratteristica poco nota e comune ad altre specie congeneri) che è causa di non infrequenti intossicazioni.
Il cappello della mazza di tamburo è sferoidale da giovane, poi diviene convesso e piano a maturità; questo è dotato di umbone bruno o bruno-grigio, liscio al centro e quindi coperto di scaglie fioccose e brunicce, con caratteristica disposizione radiale, sempre più rade verso il margine che si presenta sfrangiato. La cuticola di questo fungo è di color nocciola-biancastra, fibrillosa e setosa. Le dimensioni che può raggiungere vanno dai 10 fino ai 25 cm. Ha lamelle fitte, numerose, irregolari e di colore bianco o giallastro che divengono poi di color rosato-bruno o cipria e imbrunenti al tocco. Queste sono ventricose ed alte e mostrano un evidente distacco dal gambo. Il gambo della mazza di tamburo è molto slanciato e sottile, le sue dimensioni possono essere di 20–45 cm x 10–20 mm, di diametro pressoché costante, si presenta normalmente diritto, fibroso, duro, cavo e cilindrico. Il gambo è bulboso al piede con un anello doppio, scorrevole e ampio. Al di sotto dell’anello è visibile la caratteristica ed evidente squamatura color caffellatte.
Per quanto riguarda la carne, questa è bianca, tendente al rosato o al rossastro al taglio, fioccosa, tenera, poco consistente e fragile nel cappello, è fibrosa (quasi legnosa) nel gambo per cui questo non è commestibile se non in quelli giovanissimi che però non vanno raccolti mai. L’odore della carne sa di nocciola ed il sapore è dolce e di nocciola.
Le spore della Macrolepiota procera sono di colore bianco in massa, ialine, lisce, ellittiche e grandi (dimensioni di 12-18 x 8-12 µm) e presentano un piccolo poro germinativo.Le cheilocistidi sono di dimensioni 40 x 12 µm, clavate o cilindriche.

Coltivazione –
Sulla mazza di tamburo si hanno poche informazioni sulla coltivazione; questa specie di fungo in effetti risulta essere molto diffusa in tutta Italia e quindi facile da reperire in spazi aperti, radure e boschi di latifoglie e conifere dove fa la sua comparsa dall’inizio dell’estate ad autunno inoltrato crescendo in folti gruppi e raramente in esemplari singoli. Il consiglio generale è comunque quello di usare i substrati comuni alle altre specie saprofite (tronchi di legno morbido o duro, paglia, segatura e residui vegetali pre-compostati).

Usi e Tradizioni –
La mazza di tamburo è un ottimo fungo dal punto di vista della commestibilità da da utilizzare esclusivamente solo il cappello. Si presta per la preparazione di cotolette, quando il cappello è totalmente aperto e con le lamelle ancora bianche, mentre con gli esemplari più giovani (non ancora aperti) si possono preparare gustose frittate.
Ricordiamo ancora che è un fungo leggermente tossico da crudo, che necessita di prolungata cottura, per cui va evitata assolutamente la preparazione alla piastra o alla griglia, in quanto le parti interne potrebbero rimanere parzialmente crude.
Per quanto riguarda la possibilità di essiccarli spontaneamente, questi sono più aromatici e dovrebbero aver perso la loro tossicità; in ogni caso è sempre cosa buona di consumarli dopo la cottura.

Modalità di Preparazione –
Prima di passare alle modalità di preparazione si sottolinea come per altre specie fungine, dopo la cottura la “resa” non è molto elevata in quanto i cappelli – anche se di dimensioni enormi – si riducono considerevolmente in larghezza.
Le mazze di tamburo prima di essere cucinate, devono essere pulite completamente: il primo passaggio consiste nel lavarle con grande cura, utilizzando solo un getto d’acqua fredda, sciacquando bene la parte che si trova sotto la cappella, dove spesso si trovano i residui di terra e qualche insetto. Il fungo deve essere poi separato dal gambo, che (se non troppo legnoso) deve essere poi diviso in due e asciugato con un panno. La cappella invece dovrà essere lasciata ad asciugare da sola.
Una delle ricette più facili e diffuse è di origine bolognese, e consiste nel friggere le mazze di tamburo, dopo averle impanate. Gli ingredienti che dovete usare, per quattro porzioni, sono otto cappelle di mazze di tamburo, due uova, duecento grammi di parmigiano, cento grammi di pane grattugiato, succo di limone ed un pizzico di sale. Dopo che avete lavato accuratamente i funghi, o per meglio dire le cappelle, dovete rompere le uova in una ciotola, ed iniziare a sbatterle, utilizzando una forchetta. Aggiungete anche il parmigiano grattugiato, ma fate attenzione: per unirlo perfettamente alle uova, è consigliato aggiungerne piccole dosi e sbattere le uova, in maniera tale che non si formino dei grumi che di fatto potrebbero rovinare la cottura del fungo. Una volta che versate tutto il parmigiano, aggiustate le uova con un pizzico di sale, e continuate a sbatterle, in maniera tale che il sale si unisca perfettamente al composto. Contemporaneamente, versate in una ciotola il pane grattugiato, cercando di riempire completamente tutto il recipiente nel quale lo ponete. Ora dovete prendere ogni singola cappella del fungo, e bagnarla col composto di uova, sale e formaggio grattugiato: cercate assolutamente di prestare la massima attenzione effettuando questo tipo d’operazione, dato che se bagnate poco il fungo, il pane grattugiato non si attaccherà. Se lo bagnate troppo, il fungo potrebbe non cuocere perfettamente, e diventare troppo impanato. Il fungo deve essere poi impanato: poggiatelo leggermente sul pane grattugiato, girandolo in maniera tale che sia completamente impanato, e se la quantità di pane grattugiato è troppa, rimuovete l’eccesso con una forchetta. Ponete a scaldare una quantità media d’olio di oliva, e quando questo è abbastanza caldo, dovete semplicemente mettere i funghi a friggere. Quest’operazione deve durare pochi minuti: girate ripetutamente il fungo, in maniera tale che cuocia da entrambi i lati, e l’impanatura non si bruci. Una volta cotti, poneteli in un piatto, che deve essere coperto da carta da cucina, in maniera tale che l’olio venga assorbito: aggiungete un pizzico di sale e versate una piccola quantità di succo di limone.
Le mazze di tamburo possono essere cotte alla griglia, oppure anche essere arrostite (ma assicuratevi che tutta la polpa sia cotta), oppure potete cuocerle al forno dopo averle accompagnate con un ripieno di carne macinata e affettato, o ancora potete utilizzare questi funghi per condire il risotto allo zafferano. Coi funghi mazza di tamburo si possono preparare anche ottimi sughi e salse, utili per condire la pasta, come ad esempio le tagliatelle, così come possono essere conservate sott’olio e utilizzate in seguito.
Da evitare invece, come detto, di mangiarli crudi: questi funghi infatti hanno un potenziale velenoso medio, e se assunti in grandi quantità possono provocare lievi o medie intossicazioni, con dolori allo stomaco, nausea e diarrea. Anche cuocerli alla griglia è sconsigliato, dato che potrebbero rimanere delle zone del fungo crude, come quelle della cappella o le lamelle, che provocherebbero un’intossicazione.

Guido Bissanti

Fonti
– Wikipedia, l’enciclopedia libera.
– Cetto B., 2008. I funghi dal vero, Saturnia, Trento.
– Pignatti S., 1982. Flora d’Italia, Edagricole, Bologna.
– Conti F., Abbate G., Alessandrini A., Blasi C. (a cura di), 2005. An annotated checklist of the Italian vascular flora, Palombi Editore.

Attenzione: Le applicazioni farmaceutiche e gli usi alimurgici sono indicati a mero scopo informativo, non rappresentano in alcun modo prescrizione di tipo medico; si declina pertanto ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.




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