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L’Agricoltura nella antica Cina – X

L’Agricoltura nella antica Cina – X parte

Segue dalla IX parte

Nelle opere e nei testi scritti all’epoca le procedure sono delineate passo dopo passo, accompagnate da un commento, che è una vera e propria guida, che ne spiega il funzionamento o indica in quali condizioni debbano essere attuate:
La semina primaverile [del panìco] dovrebbe essere sempre profonda, pertanto passa una seconda volta sul seminato con un ta [un cespuglio appesantito da pietre]. La semina estiva deve essere superficiale, pertanto spargi i semi e lascia che germoglino spontaneamente. (In primavera il terreno è freddo e la germinazione lenta. Se non facessi uso del ta, le radici crescerebbero nelle fessure vuote [del terreno] e la pianta, se anche riuscisse a germogliare, morirebbe subito. In estate l’aria è calda e la germinazione rapida. Se usassi il ta e poi piovesse, il terreno si compatterebbe troppo). (Qimin yaoshu jinshi, 3.5, p. 1)
Questa modalità di scrivere i testi di agronomia comunque non è un’invenzione di Jia, che sembra infatti ereditare da opere precedenti, come le Primavere e autunni del Signor Lü o il Libro di Fan Shengzhi.
È uno stile di scrittura e di trattare gli argomenti in modo da trasmettere le informazioni di carattere tecnico in una forma precisa, esauriente e sintetica al tempo stesso; è uno stile che è rimasto inalterato per secoli e che si era già pienamente sviluppato nel periodo finale della dinastia Zhou.
Si potrebbe obiettare che questo era l’unico modo per rappresentare un argomento così concreto come l’agricoltura; le sue frasi scarne e chiare hanno la stessa trasparenza e lo stesso rapporto apparentemente ineluttabile con la realtà che siamo soliti associare ai libri di cucina, ai manuali tecnici o ai resoconti di esperimenti scientifici.
Il grande valore di questi scritti però consiste nel fatto che questo tipo di scrittura tecnica, doveva assolvere a una difficile funzione, quella di trasporre in forma scritta un sapere che era generalmente trasmesso in parte per via orale e in parte con la pratica, attraverso l’azione, l’esempio e l’esperienza.
Anche perché sin dalle origini della loro civiltà, i cinesi colti consideravano i lavori e le attività manuali come attività degradanti, tanto è vero che i termini che designano questi mestieri (shu o qiao), al pari dell’italiano arte, si trovano spesso associati all’idea della magia o della sovversione; questa è tra l’altro una delle cause della scarsa produzione di testi di carattere tecnico in Cina. L’agricoltura e le tecnologie ad essa associate (che includevano la produzione tessile, la macinatura dei cereali e altri processi di trasformazione degli alimenti, e l’idraulica) facevano eccezione; infatti, l’agricoltura costituiva sia l’’occupazione fondamentale’ (yaoshu) della gente del popolo, sia un rispettabile modo di guadagnarsi da vivere per i nobili. La decisione di ritirarsi dalla vita pubblica per guidare l’aratro non aveva nulla di vergognoso, e un agronomo istruito come Jia poteva ammettere senza reticenze di aver chiesto informazioni agli anziani e imparato dall’esperienza personale.

L’agronomia rappresentò pertanto il campo in cui le conoscenze della gente comune e la cultura degli studiosi potevano intersecarsi; lo scopo dello scrittore di agronomia era quello di fornire istruzioni su un insieme di tecniche complesse che erano già chiare a chiunque.
È importante, tra l’altro, che u testo come le Tecniche essenziali per il popolo dimostra la conoscenza dei principî cosmici, l’erudizione etimologica e le capacità organizzative del suo autore; al centro però c’è il patrimonio di conoscenze pratiche accumulato da Jia, la sua esperienza personale, fisica, dell’agricoltura, che egli stesso si premura di sottolineare nella prefazione e che condivideva con il suo fattore e i suoi lavoranti.
Da sottolineare così che come la medicina, l’alchimia e la geomanzia, l’agricoltura comporta la manipolazione e lo sfruttamento delle energie cosmiche da parte degli uomini; tuttavia, i testi tecnici di medicina, alchimia e geomanzia non possiedono affatto la trasparenza di quelli di agraria.
Le procedure tecniche usate nella medicina, nell’alchimia e nella geomanzia erano spesso descritte per mezzo di una terminologia generica riferita alle trasformazioni cosmiche, la quale acquistava un significato specifico soltanto in rapporto al contesto. Nel libri di agronomia, invece, i termini tecnici hanno un significato specifico e, per chi lo conosce, il testo è totalmente comprensibile; non vi sono infatti doppi sensi e, avendo a disposizione l’attrezzatura adeguata, le istruzioni fornite permettono di eseguire perfettamente ogni procedura. Insomma quello che oggi definiremmo un vero e proprio manuale pratico.
Gli scrittori di libri di agronomia non si limitavano comunque a trascrivere parola per parola ciò che avevano udito dai vecchi contadini, ma astraevano da un vasto fondo d’informazioni una serie di conoscenze di carattere generale che potevano essere applicate in luoghi diversi. I nomi vernacolari di un certo utensile o di una certa tecnica spesso variavano in modo significativo da una località all’altra e da un’epoca all’altra. Le scelte terminologiche degli scrittori erano determinate da numerosi fattori; prima di tutto dall’esperienza personale, e quindi i termini prescelti erano quelli usati nel paese d’origine dell’autore; molte volte, però, questi erano diversi da quelli usati nelle opere dei maestri di agronomia, su cui l’autore stesso aveva studiato. Occorreva dunque conciliare il rispetto per la tradizione storica erudita con l’esigenza di produrre un’opera coerente e aggiornata.
Pur tuttavia, a volte, vista anche l’estensione del Paese, con le sue variabili biologiche e pedoclimatiche, le incoerenze terminologiche si rivelavano impossibili da superare. È il caso della nomenclatura relativa ai cereali, e in particolare alle diverse qualità di miglio, in cui la confusione ha inizio con le iscrizioni su ossa oracolari del periodo Shang databili al XV sec. a.C., si prolunga per tutta l’epoca storica e sopravvive trionfalmente ancora oggi. Benché i Cinesi non abbiano mai minimamente dubitato che Setaria italica e Panicum miliaceum fossero due specie distinte, la confusione e l’incoerenza terminologica tra i loro nomi, o tra i termini generici e quelli designanti le varietà glutinose e non glutinose, sono dilagate tanto nella letteratura colta quanto nell’uso comune sin dai tempi degli Han.

Guido Bissanti

Segue XI parte




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