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Metano artico e riscaldamento globale

Metano artico e riscaldamento globale

I grandi cambiamenti climatici, legati in parte all’azione delle attività umane, in parte ai fenomeni ciclici delle ere geologiche, non possono non interessare e, per certi versi preoccupare, l’opinione pubblica.
Una di queste preoccupazioni può essere legata al rilascio del metano artico marino e terrestre nelle zone del permafrost Artico, dove si trovano riserve di tale gas.
La perdita di ghiaccio marino è correlata al riscaldamento delle latitudini settentrionali che provoca la fusione del permafrost, sia marino, sia terrestre. Lawrence et al. suggeriscono che l’attuale rapida fusione del ghiaccio marino potrà produrre un rapido scioglimento del permafrost artico.
Si tratta di un processo naturale che può determinare un aumento consistente dell’effetto serra, contribuendo dunque al riscaldamento globale, in quanto il metano è appunto un gas serra.
Grandi quantità di metano sono immagazzinate nell’Artico in depositi di gas naturale, come il permafrost e come i clatrati sottomarini. Il permafrost e i clatrati degradano con il calore, perciò grandi rilasci di metano da queste sorgenti possono contribuire al loro degrado.
Questo processo è talmente importante che viene monitorato da studiosi di tutto il mondo per determinare la probabilità dell’evento, o meglio degli eventi nei vari territori artici del Pianeta Terra.
Il fenomeno è evidente per esempio in Siberia dove alcuni ricercatori tengono sotto osservazione il terreno che sembra possedere delle bolle che, sottoposte a pressione con i piedi delle persone, si muove come se fosse di gelatina.
Queste bolle quando arrivano poi alla fase critica esplodono rilasciando nell’aria quantitativi più o meno grandi di gas metano.
Anche se il fenomeno al momento è raro è noto agli studiosi ed il suo monitoraggio può stabilire se il processo è in accelerazione o meno.
Le indagini e gli studi svolte negli ultimi anni, nelle penisole Yamal e Gydan, ha portato all’individuazione di circa 7.000 bolle di questo tipo e tutte sembravano essersi formate negli ultimi anni.
La preoccupazione adesso sta nello stabilire se queste 7.000 bolle possa esplodere senza preavviso, rilasciando gas serra. Dalle indagini eseguite negli ultimi anni i ricercatori hanno notato che da queste sacche di terra fuoriesce aria con alte concentrazione di metano (1.000 volte più del normale) e anidride carbonica (25 volte più del normale).

Un altro elemento di notevole preoccupazione consiste nel fatto che dopo l’esplosione di una di queste sacche nella penisola di Yamal si è creato un cratere di circa 30 metri al cui interno sono state registrate alte concentrazioni di metano (9,6 per cento rispetto allo 0,000179 per cento che si ha normalmente nell’aria), segno che il gas non si esaurisce dopo l’apertura, ma che siamo in presenza di enormi riserve in profondità.
La spiegazione del fenomeno sembrerebbe direttamente proporzionale alle ondate di caldo degli ultimi anni che hanno interessato, oltre a varie zone del Pianeta, tutta la Siberia e che hanno spinto il permafrost della tundra siberiana a scongelarsi. Stando alle recenti ricerche si era ipotizzato che un aumento globale della temperatura di 1,5 gradi centigradi sarebbe sufficiente per fondere quasi completamente il permafrost, ma a causa di estati anormalmente calde si sospetta che la fusione si stia già verificando in diverse parti della regione russa.
Questo fenomeno è inoltre correlato alla geologia dell’area che può avere contribuito alla produzione delle bolle ricche di metano. Secondo Vasilij Bogoyavlensky dell’Accademia Russa delle Scienze che studia queste bolle da anni, nella regione interessata dal fenomeno, tra 100 milioni di anni fa e 93 milioni di anni or sono si formò un giacimento di gas che oggi dovrebbe trovarsi molto vicino alla superficie, ossia tra 500 e 1.200 metri di profondità.
Queste enormi sacche di gas metano salgono in superficie attraverso fratture e faglie e mettono in pressione gli strati argillosi del permafrost. In condizioni anomale verificatesi ultimamente per le alte temperature poi, stanno portando alla rottura del suolo, con la fuga di gas e la nascita di veri e propri i crateri.
Adesso i ricercatori dovranno stabilire, sulla base di vari studi e ricerche il reale pericolo ed i tempi dello stesso.
Ma la cosa più allarmante non è solo l’attività geologica, che potrebbe portare ad una catastrofe senza precedenti, ma la totale noncuranza delle politiche nazionali che continuano ad affrontare l’economia planetaria ancora in termini economici e di mercato, vere responsabili del riscaldamento globale, e non in termini ecologici.

Guido Bissanti




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