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COP 21 e Agricoltura

COP 21 e Agricoltura

La Conferenza di Rio sui cambiamenti climatici, COP 21 o CMP 11, come è noto, si è tenuta a Parigi, Francia, dal 30 novembre al 12 dicembre del 2015. Questa Conferenza ha rappresentato la 21ª sessione delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC)
Dal 1992 e la 11ª sessione sull’applicazione del protocollo di Kyoto del 1997.
L’obiettivo della conferenza è stato quello di concludere, per la prima volta in oltre 20 anni di mediazione da parte delle Nazioni Unite, un accordo vincolante e universale sul clima, accettato da tutte le nazioni.
La conferenza ha negoziato un accordo globale sulla riduzione dei cambiamenti climatici, il cui testo ha rappresentato un consenso dei rappresentanti delle 195 parti partecipanti. L’accordo diventava giuridicamente vincolante, se ratificato da almeno 55 paesi che insieme rappresentino almeno il 55% delle emissioni globali di gas serra. Le parti dovevano firmare l’accordo a New York tra il 22 aprile 2016 al 21 aprile 2017, e anche adottarlo all’interno dei propri sistemi giuridici (attraverso la ratifica, accettazione, approvazione o adesione).

Di fatto, entro la scadenza prevista, l’accordo è stato ratificato da 175 i Paesi.
Secondo il comitato organizzatore prima dell’inizio dei colloqui, il risultato chiave è stato quello di prevedere un accordo per fissare l’obiettivo di limitare l’incremento del riscaldamento globale a meno di 2 gradi Celsius (°C) rispetto ai livelli pre-industriali. L’accordo prevede un’emissione antropica di gas serra pari a zero da raggiungere durante la seconda metà del XXI secolo. Nella versione adottata dell’Accordo di Parigi, le parti si impegneranno anche di “proseguire gli sforzi per” limitare l’aumento della temperatura di 1,5 °C. Secondo alcuni scienziati, l’obiettivo di 1,5 °C richiederà l’inizio delle “emissioni zero” a partire da un periodo compreso tra il 2030 e il 2050.
Come spesso succede nella storia gli eventi non camminano mai da soli. Il COP21 ha seguito di pochi mesi la pubblicazione dell’enciclica “Laudato si” di Papa Francesco che ha determinato non poco influenza sulla stessa: l’enciclica entra nel merito di un’azione contro i cambiamenti climatici.
Il 12 dicembre 2015 i 196 paesi partecipanti hanno concordato al termine della conferenza e all’unanimità un patto globale, chiamato Accordo di Parigi, per ridurre le emissioni come parte del metodo per la riduzione dei gas serra. Nel documento di 12 pagine i membri hanno concordato di ridurre la loro produzione di ossido di carbonio “il più presto possibile” e di fare del loro meglio per mantenere il riscaldamento globale “ben al di sotto di 2 °C” in più rispetto ai livelli pre-industriali. Il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius ha detto questo piano “ambizioso ed equilibrato” è stato una “svolta storica” per l’obiettivo di ridurre il riscaldamento globale.
Durante i lavori della COP21, in tutto il mondo, oltre 600.000 persone hanno preso parte a manifestazioni in favore di un accordo forte (che sarebbero state di più se a Parigi, non fossero state vietate manifestazioni e riunioni pubbliche a causa degli attacchi terroristici avvenuti poche settimane prima della conferenza).
Ma nell’accordo pare debole, e soprattutto non c’è ancora una ricaduta sensibile, la presa di posizione delle politiche agricole di tutto il mondo e dell’Europa in particolare.
L’agricoltura si attesta come una delle principali cause della distruzione delle foreste, specialmente nei paesi tropicali. Foreste dalle cui risorse dipendono direttamente 1,6 miliardi di persone, nonché il clima stesso del pianeta perché, è bene ricordarlo, contengono molto più carbonio di quanto non ne contenga oggi l’intera atmosfera. Azzerare la distruzione e la degradazione delle foreste (così come stabilito dal quindicesimo Sustaninable Development Goal) costituisce pertanto una fra le più importanti singole azioni di mitigazione dei cambiamenti climatici.
Ma sono anche i Sistemi Agricoli che devono subire una totale ristrutturazione.
Per Richard McNally (Smart Development Works) è fondamentale un approccio multi-stakeholder alla pianificazione della produzione alimentare, nonché il supporto finanziario da parte dei governi. Un’altra autorità del settore, Richard Donovan (Rain Forest Alliance) ha infine posto l’attenzione sull’importanza della creazione di sistemi di monitoraggio efficaci basati su indicatori chiari e definiti, così che le aziende del settore agricolo possano dimostrare i risultati degli sforzi intrapresi per ridurre il proprio impatto sugli ecosistemi.
Esistono dunque gli strumenti per ridurre l’impatto dell’agricoltura sugli ecosistemi, pur garantendo una produzione sufficiente a sostenere la crescita demografica globale.
Ma tutti questi sono solo buoni intenti e nobili obiettivi.
Di fatto manca una quasi totale mancanza di regole da sottoporre al settore agricolo che va da indici di compatibilità aziendale da inserire nei Programmi di Sviluppo Rurale (PSR) fino alla Pianificazione Territoriale ed in nuovi assetti e rapporti di reciprocità tra produzione agricola e consumi. Reti di distribuzione, Accorciamento di filiera, Modelli Agricoli ed Umani Ecosostenibili, Sistemi di Packaging, ecc..
Tutto questo equivale a dire che il settore agricolo non può essere lasciato sotto lo sciacallaggio mediatico del libero mercato, dei parametri reddituali agricoli svincolati dai bilanci energetici e da altre demagogie poco ortodosse che si impongono anche contro la Scienza e la Tecnica come uniche verità.
È giunto il momento di affrontare la questione di sana pianta e questo, se non lo si fosse capito, è un argomento tanto importante da coinvolgere in un unico tema: Fame nel mondo, Cambiamenti climatici, Ecosistemi e benessere futuro dell’intera Umanità.
Altrimenti vanificheremo la grande Enciclica di Papa Francesco che, guarda caso (quindi andatela a leggere) affronta la questione con un approccio totalmente e diametralmente opposto a quello di una Finanza basata su un Riduzionismo Scientifico senza precedenti.
È ancora poco perché la Politica incominci ad occuparsene invece di parametrare ancora tutto sul Prodotto Interno Lordo (PIL)?

Guido Bissanti




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