Un Mondo Ecosostenibile
Alimentazione Sostenibile

Il Cibo che risparmia il Pianeta

Il Cibo che risparmia il Pianeta

Immaginate il nostro Pianeta (con tutto quello che c’è dentro e succede al suo interno) una complessa macchina; pensate al vano motore della Vs auto ma molto più complesso. All’interno del nostro Pianeta ogni nostro comportamento, abitudine, carattere, attività (tutto insomma) contribuisce al cattivo o buon funzionamento di questo motore. Come pezzi di un motore ogni cosa porta con se il suo contributo.
Di queste attività, comportamenti, stili di vita, ecc. il cibo, dalla produzione fino al modo con cui lo consumiamo, è uno dei “pezzi” che contribuisce al buono o cattivo funzionamento di questo motore. Ciò equivale a dire che se fino ad oggi questo pezzo contribuiva al cattivo funzionamento del motore va cambiato. Nulla è irreversibile.
In poche parole ci vuole un nuovo progetto per ripensare all’uso del Cibo e siccome il Cibo si produce, si trasporta e si mangia diverse sono le discipline che devono convergere con l’unico comune multiplo.
A questo si aggiunga, per doverosa completezza di informazione che il cibo, entrando nel nostro organismo, trasporta con se al nostro interno le dinamiche e le frequenze accumulate (chiamiamo questa caratteristica salubrità complessiva). Tant’è che secondo gli scienziati della statunitense Union of Concerned Scientists ciò che si mette in tavola determina un quinto dell’impatto ambientale di una famiglia media. Questo significa che già, solo quando si fa la spesa, si può scegliere di sfruttare o, viceversa, di rispettare l’ambiente. Ma quali sono i parametri di cui tenere conto per diventare consumatori sostenibili?

Vediamo le 8 regole per produrre un cibo sostenibile.

  1. Il Biologico (o comunque modelli di produzione naturali) risparmia ed addirittura assorbono la CO2. Oltre a consumare meno energia ed emettere meno gas serra, l’agricoltura biologica (cioè senza ausilio della chimica e con modelli produttivi ecologici) funziona da serbatoio di carbonio: ogni ettaro così coltivato assorbe una tonnellata e mezza di CO2. La Fao, nel rapporto “Agricoltura biologica e sicurezza alimentare” scrive che “gli elementi di forza dell’agricoltura biologica sono l’indipendenza dai combustibili fossili e il fare affidamento su mezzi di produzione disponibili localmente. Intervenendo con processi naturali, l’agricoltura biologica incrementa la resistenza degli ecosistemi nei confronti di condizioni climatiche difficili”. Anche gli allevamenti bio sono meno impattanti perché, grazie al tipo di dieta del bestiame e al ridotto affollamento, generano emissioni ridotte.
  2. Alimenti di Stagione. Per il consumatore consapevole pretendere di mangiare tutto l’anno è anacronistico, oltre che dispendioso e poco gustoso. I vegetali cresciuti fuori stagione, infatti, crescono in serre riscaldate, dove per ricreare artificialmente le condizioni di coltivazione ideali servono molta energia e molta chimica, con costi ambientali insostenibili. Ma c’è di peggio. Spesso anche le serre più energivore non bastano a fornirci quello che vogliamo e così siamo costretti a importare il cibo da altri Paesi. I prodotti coltivati nella “giusta” stagione sono più gustosi, ricchi di nutrienti e principi attivi benefici e meno impattanti per l’ambiente. Crescono con le condizioni atmosferiche naturali, senza forzature e sprechi di energia; oltre a subire meno trattamenti con sostanze chimiche, richiedono meno lavoro con mezzi meccanici e un minor dispendio energetico. A questo si aggiunga l’aspetto salutistico dell’alimentazione periodica (stagionale) che consente al nostro organismo (ed ai nostri organi interni) di “depurarsi” periodicamente da alcuni alimenti.
  3. Filera Corta. Gli alimenti che arrivano da lontano richiedono filiere complesse e lunghi trasporti, il che li rende poco sostenibili. La cosiddetta “filiera corta” è quella che mette in contatto agricoltore e consumatore, riduce trasporti, imballaggi e costi, a tutto vantaggio dell’ambiente. I prodotti coltivati nella propria area geografica, soprattutto se biologici, sono quindi le scelte di spesa anti-emissioni da preferire per contenere l’anidride carbonica nell’atmosfera, responsabile dell’effetto serra. E’ importante considerare anche che molto spesso gli alimenti che arrivano da lontano sono solo apparentemente freschi, in realtà vengono raccolti acerbi, conservati in frigoriferi speciali ad atmosfera modificata, trattati con gas antiparassitari, e hanno perso la maggior parte del loro contenuto vitaminico e del loro gusto. Per di più, dal punto di vista ecologico, produrre cibo proveniente da ecosistemi equilibrati (con un buon rapporto tra la produzione aziendale e l’ecosistema circostante) contribuisce a diminuire le alterazioni delle biocenosi parassitarie consentendo un minore uso di anticrittogamici e/o metodi di lotta “poco ortodossi”.
  4. Meno carne aiuta l’ambiente. Secondo gli studi dell’università di Stoccolma un pasto con carne e altri ingredienti d’importazione genera nove volte la CO2 di un pasto vegetariano preparato con cibi locali. Questo perché ogni chilo di carne se ne “mangia” ben dieci di cereali e di foraggio consumando una quantità di terreno dieci volte superiore a quella necessaria per l’equivalente calorico di una dieta vegetale. La produzione di un chilo di carne comporta, in media, l’emissione in atmosfera di 30,4 chili di anidride carbonica equivalente, mentre per la stessa quantità di legumi l’emissione media è 26 volte più bassa. E il consumo d’acqua per un chilo di carne è di 15.500 litri contro i 100 litri in media di un chilo di ortaggi. Infine, le deiezioni dei bovini emettono una quantità considerevole di metano e ossido di azoto, gas serra dannosi. Per correttezza di informazione questi dati si riferiscono soprattutto agli allevamenti intensivi. Per cui va aggiunto che la presenza degli animali nelle nostre aziende è fondamentale (per chiudere il ciclo della sostanza organica senza la quale il suolo desertifica) ma va garantita secondo un corretto carico bestiame.
  5. Confezioni, no grazie. Quando possibile, è sempre meglio acquistare cibo che non sia confezionato. Gli involucri e gli imballaggi, infatti, hanno un impatto ambientale da non sottovalutare e secondo recenti studi, contengono sostanze chimiche potenzialmente dannose che possono facilmente migrare negli alimenti. Se il packaging è proprio indispensabile, facciamo attenzione a sceglierlo in materiale riciclato, in bio-plastica o in carta certificata da foreste a gestione sostenibile, studiato per risparmiare spazio e materia prima. A tal proposito va quindi ripensata la normativa sul confezionamento dei prodotti agroalimentari consentendo una drastica diminuzione del confezionamento e degli imballaggi.
  1. Fresco è meglio di conservato e trasformato. Meglio leggere sempre con attenzione le etichette e acquistare gli alimenti meno elaborati e con il minor contenuto di additivi. Più un cibo è stato trattato, aromatizzato, colorato o irradiato, più è povero di nutrienti e ricco di additivi potenzialmente dannosi. Inoltre, il consumo energetico richiesto per la produzione dei cibi freschi è minore. A questo si aggiunga i costi indiretti (che vale un po’ per tutta la catena del cibo) per le malattie indotte da una cattiva alimentazione che incidono in maniera esorbitante sulla spesa sanitaria contribuendo così ad incrementare l’emissione di CO2 e gas ad effetto serra.
  2. Usa dei trasporti e della macchina in modo intelligente. A fare la spesa, spesso, si va il più delle volte in auto, soprattutto se si vive in una zona lontana dai negozi. Per inquinare meno e risparmiare tempo, cerchiamo di pianificare l’uscita per i nostri acquisti abbinandola a qualche altro impegno per cui è richiesta l’auto. Prepariamo una lista della spesa per non rischiare di dover tornare a comprare qualcosa che ci si è dimenticati di acquistare. E se abbiamo dei vicini di casa simpatici, o degli amici allineati con i nostri orari, facciamo carpooling con loro verso il nostro rivenditore di fiducia.
  3. Preparazione degli Alimenti. Una delle cause poi di incredibile dispendio di energia (e quindi di emissione di CO2) è la preparazione in cucina degli alimenti. Una dieta crudista ovviamente risparmia notevolmente gas combustibili o resistenze elettriche dei vostri fornelli. Al solito anche qui si aggiunga il concetto salutistico in quanto è dimostrato che cibi non crudi o comunque non eccessivamente cotti, contribuiscono ad una dieta sicuramente più salutare e che diminuisce notevolmente l’uso dei farmaci e della spesa sanitaria.

È evidente che per salvaguardare il nostro Pianeta, ma io aggiungerei, per garantire una via più dignitosa e di maggiore benessere servono tre azioni:

  1. Azione Politica. Un ripensamento generale sulla filiera agroalimentare: dal momento della produzione (Politiche Agricole) al momento del consumo. Spesso, fino ad oggi, politica e burocrazia hanno agito con modalità scollegate e soprattutto con una carenza cognitiva di insieme molto preoccupante. Va sollecitata una nuova coscienza politica e tecnocratica, ma soprattutto vanno ripensati alcuni modelli fiscali che contribuiscano alla diminuzione di quella famosa “Impronta Ecologica” di cui tanto si parla ma di cui poco si fa in termini concreti.
  2. Azione Divulgativa. Soprattutto l’informazione pubblica deve prendersi il compito, attraverso un progetto politico mirato, chiaro ed indipendente (cosa alquanto complessa) di predisporre un ampio sistema di informazione e divulgazione che coinvolga tutte le fasce della società, sia dal punto di vista economico che delle età. Ogni cittadino deve sentirsi parte attiva e fondamentale nella filiera del cibo.
  3. Azione Educativa. Dalla famiglia alla scuola, la filiera del cibo deve divenire materia di insegnamento e di apprendimento. Vanno attuati dei programmi specifici, dettagliati, che contribuiscano soprattutto alla coscienza civica di un nuovo modello di cittadino.

Il mondo è diventato globale e la risoluzione della coscienza planetaria è qualcosa che ci appartiene tutti, fino ai confini più estremi.

Guido Bissanti




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